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Laurea in matematica
Anche se si tratta di un argomento ben noto, ricordiamo l'idea centrale del "programma di Erlangen" di Felix Klein. Un tipo di geometria è assegnato quando sono dati un insieme X (non vuoto) e un gruppo G di trasformazioni su X.
Noti X e G, ci si propone di studiare le proprietà dei sottoinsiemi di X, le quali sono invarianti rispetto alle trasformazioni di G. Spesso X è dotato di una struttura, che determina il gruppo G. Per esempio, se X è dotato della struttura di spazio topologico, è naturale assumere come G il gruppo degli omeomorfismi di X e chiamare topologiche le proprietà dei sottoinsiemi di X invarianti per gli omeomorfismi di G. Si noti che così si inquadra nel "programma di Erlangen" lo studio di un singolo spazio topologico, non lo studio di tutti gli spazi topologici, cosa che si fa invece abitualmente in topologia generale.Anche assegnato uno spazio ambiente, ci si può porre, però, oltre al problema indicato sopra, anche un problema leggermente diverso. Assegnamo ancora uno spazio topologico X; consideriamo tutti i suoi sottoinsiemi (non vuoti) e tutti i possibili omeomorfismi tra tali sottoinsiemi (non soltanto le restrizioni degli omeomorfismi dell'intero spazio X).
Gli omeomorfismi che consideriamo ora non formano più gruppo; si può parlare di un gruppoide di trasformazioni.
Per le proprietà di sottoinsiemi di X, abbiamo ora due tipi di invarianza:
- invarianza rispetto ai soli omeomorfismi di X;
- invarianza rispetto a tutti gli omeomorfismi tra sottoinsiemi di X.
La seconda invarianza implica la prima (tra gli omeomorfismi tra sottoinsiemi di X ci sono, in particolare, le restrizioni degli omeomorfismi di X), ma non viceversa.
Per esempio, si può considerare come X lo spazio euclideo tridimensionale e come proprietà quella di una curva chiusa semplice di essere annodata (con linguaggio più tecnico: la proprietà di un nodo di essere intrecciato). Si tratta di una proprietà invariante nel primo senso, ma non nel secondo. Chiameremo "punto di vista di Klein" lo studio dell'invarianza nel primo caso, "punto di vista di von Staudt" lo studio dell'invarianza nel secondo. L'uso di questo secondo termine è forse un po' arbitrario: conviene precisare in quale senso sia stato adottato da alcuni autori, nell'ambito della geometria proiettiva.
Nel 1847, venticinque anni prima del "programma di Erlangen", von Staudt dimostrò che, nel piano proiettivo reale, esiste una e una sola proiettività tra due rette, che trasforma una terna ordinata di punti distinti della prima in una terna ordinata di punti distinti della seconda. È stato poi dimostrato:
- in un qualunque piano proiettivo P, esiste almeno una proiettività tra due rette che trasforma una terna ordinata di punti distinti della prima in una terna ordinata di punti distinti della seconda;
- si ha l'unicità se e solo se P è il piano proiettivo su un campo.
Per "punto di vista di von Staudt" si intende, propriamente, lo studio dei legami tra le proprietà di un piano proiettivo P e le proprietà del gruppo delle proiettività su una retta di P. In modo esteso, il termine è stato usato per strutture di incidenza diverse dai piani proiettivi. Con un'estensione ulteriore, e forse eccessiva, nella tesi useremo il termine anche nel senso indicato nel capoverso precedente.
Più in particolare, il contenuto della tesi è il seguente. I primi due capitoli riguardano il "programma di Erlangen" del Klein. Si
tratta di un argomento che si trova spesso esposto nei testi universitari; pertanto, non si è voluto darne una trattazione completa e si è preferito portare l'attenzione su due gruppi di trasformazioni degli spazi euclidei, meno frequentemente citati: il gruppo delle applicazioni bilipschitziane e il gruppo delle trasformazioni cremoniane intere. Entrambi contengono, come sottogruppo, il gruppo delle affinità .Di conseguenza si inizia l'esposizione, nel primo capitolo, analizzando alcune proprietà invarianti rispetto al gruppo delle affinità , con particolare attenzione alla proprietà che lega la misura di Lebesgue di un insieme alla suddetta collezione.In seguito, dopo alcuni richiami sulle applicazioni lipschitziane, si introduce la famiglia delle applicazioni bilipschitziane e si studia l'invarianza della dimensione di Hausdorff di un insieme.Il secondo capitolo è dedicato alle trasformazioni cremoniane, in particolare alle trasformazioni cremoniane intere: alla caratterizzazione di alcune proprietà invarianti, segue la presentazione della "congettura dello jacobiano".Si passa poi al "punto di vista" di von Staudt. È sembrato opportuno incominciare con alcuni richiami di geometria proiettiva; questirappresentano il contenuto del capitolo successivo: si descrivono tre diverse impostazioni della geometria proiettiva, a cui si fa riferimento per definire le proiettività , le collineazioni e le involuzioni.La costruzione grafica di un'involuzione permette di caratterizzare le quaterne armoniche: nel quarto capitolo, dopo una breve presentazione di carattere storico, si enuncia un risultato, noto come teorema di Staudt, che lega le proiettività alle corrispondenze staudiane, cioè alle corrispondenze biunivoche che mutano ogni quaterna armonica in una quaterna armonica.Il quinto capitolo è dedicato alla discussione di alcune proprietà , prevalentemente topologiche, per le quali è possibile distinguere tra "punti di vista" di Klein e di von Staudt.A conclusione della tesi, si presentano alcune situazioni di invarianza in altri ambiti della Matematica, con casi particolari in cui i due punti di vista coincidono.
a) in un qualunque piano proiettivo P, esiste almeno una proiettività tra
due rette che trasforma una terna ordinata di punti distinti della
prima in una terna ordinata di punti distinti della seconda;
b) si ha l’unicità se e solo se P è il piano proiettivo su un campo.
Per “punto di vista di von Staudt” si intende, propriamente, lo studio dei
legami tra le proprietà di un piano proiettivo P e le proprietà del gruppo
delle proiettività su una retta di P. In modo esteso, il termine è stato usato
per strutture di incidenza diverse dai piani proiettivi. Con un’estensione
ulteriore, e forse eccessiva, nella tesi useremo il termine anche nel senso
indicato nel capoverso precedente.
Più in particolare, il contenuto della tesi è il seguente.
I primi due capitoli riguardano il “programma di Erlangen” del Klein. Si
tratta di un argomento che si trova spesso esposto nei testi universitari;
pertanto, non si è voluto darne una trattazione completa e si è preferito
portare l’attenzione su due gruppi di trasformazioni degli spazi euclidei,
meno frequentemente citati: il gruppo delle applicazioni bilipschitziane e il
gruppo delle trasformazioni cremoniane intere. Entrambi contengono, come
sottogruppo, il gruppo delle affinità.
Di conseguenza si inizia l’esposizione, nel primo capitolo, analizzando
alcune proprietà invarianti rispetto al gruppo delle affinità, con particolare
attenzione alla proprietà che lega la misura di Lebesgue di un insieme alla
suddetta collezione.
In seguito, dopo alcuni richiami sulle applicazioni lipschitziane, si introduce
la famiglia delle applicazioni bilipschitziane e si studia l’invarianza della
dimensione di Hausdorff di un insieme.
Il secondo capitolo è dedicato alle trasformazioni cremoniane, in particolare
alle trasformazioni cremoniane intere: alla caratterizzazione di alcune
proprietà invarianti, segue la presentazione della “congettura dello
jacobiano”.
Si passa poi al “punto di vista” di von Staudt. È sembrato opportuno
incominciare con alcuni richiami di geometria proiettiva; questi
rappresentano il contenuto del capitolo successivo: si descrivono tre diverse
impostazioni della geometria proiettiva, a cui si fa riferimento per definire
le proiettività, le collineazioni e le involuzioni.
La costruzione grafica di un’involuzione permette di caratterizzare le
quaterne armoniche: nel quarto capitolo, dopo una breve presentazione di
carattere storico, si enuncia un risultato, noto come teorema di Staudt, che
lega le proiettività alle corrispondenze staudiane, cioè alle corrispondenze
biunivoche che mutano ogni quaterna armonica in una quaterna armonica.
Il quinto capitolo è dedicato alla discussione di alcune proprietà,
prevalentemente topologiche, per le quali è possibile distinguere tra “punti
di vista” di Klein e di von Staudt.
A conclusione della tesi, si presentano alcune situazioni di invarianza in
altri ambiti della Matematica, con casi particolari in cui i due punti di vista
coincidono. - 3 -
CAPITOLO 1
In prima istanza, nell’ottica del programma di Erlangen, esamineremo
l’invarianza di alcune delle più significative proprietà di sottoinsiemi di un
certo ambiente (che verrà specificato di volta in volta), rispetto alle
collezioni delle affinità e delle applicazioni bilipschitziane, di cui le stesse
affinità fanno parte.
Spunti interessanti sono forniti anche dalla teoria della misura e, per questa
ragione, risulterà efficace presentare alcune proprietà delle misure di
Lebesgue e di Hausdorff, invarianti rispetto ai gruppi delle suddette
trasformazioni.
1.1 Affinità
Def. Si dice affinità, un’applicazione biunivoca che può essere rappresen-
tata con la seguente uguaglianza:
y = Ax + b A è una matrice nxn con determinante non nullo, x, y e
n
b sono vettori di R .
Se n = 1, ogni affinità è una similitudine, perchè si rappresenta nella forma
y = ax + b, con rapporto di similitudine pari a |a|.
Se n = 2 si ha un’affinità del piano , cioè una trasformazione che conserva
le rette.
Esempi di affinità nel piano:
1) Le similitudini (e le isometrie, in particolare) conservano le rette e
sono, dunque, affinità.
2) Dati una retta r, un vettore v, non parallelo ad r e k positivo, si dice
omologia di asse r, direzione v e rapporto k la trasformazione O R,V,K
definita da O (P)=P se P è un punto di r; altrimenti O (P)=P',
R,V,K R,V,K
con P' punto ottenuto come segue:
si considera la retta s, passante per P e parallela a v e il punto Q di
intersezione tra r ed s; P' è il punto appartenente alla semiretta con
origine Q passante per P, tale che d(P', Q) = kd(P, Q).
- 4 -
Prop. Le affinità conservano il parallelismo tra rette, i parallelogrammi e i
rapporti tra le distanze di punti allineati.
Data cioè un’affinità , e P, Q, R punti allineati distinti, sia h tale che
α d(P, Q) = hd(P, R)
(P), (Q), (R), che sono allineati, verificano la condizione:
allora i punti α α α
d( (P), (Q)) = hd( (P), (R)).
α α α α
La proprietà di essere una curva algebrica piana è invariante per affinità; si
può dimostrare che si conservano anche il grado della curva, il numero e la
molteplicità delle sue componenti irriducibili.
Si analizza come un triangolo equilatero inscritto in una circon-
Esercizio ferenza, si trasforma sotto l’azione di un’affinità.
Sia f un’affinità: essa trasforma il triangolo ABC, inscritto nella
circonferenza, in un triangolo A'B'C', inscritto in un’ellisse. Il centro della
circonferenza si trasforma nel centro dell’ellisse.
Si vuole provare che, nota l’ellisse trasformata della circonferenza e fissato
A'=f(A), il triangolo A'B'C', trasformato di ABC, è determinato.
Si costruisce la parallela r alla retta s per BC, passante per A e ivi tangente
alla circonferenza; il segmento BC ha come punto medio M, che è punto
medio anche del raggio OH (questo come conseguenza del fatto che il
circocentro è anche baricentro del triangolo isoscele e le mediane risultano
divise dal baricentro in due parti, una doppia dell’altra).
- 5 -
Essendo f un’affinità, le rette parallele r ed s sono da essa trasformate nelle
rette parallele r ' ed s'.
Fissato A'=f(A), la tangente per A' all’ellisse (trasformata della
circonferenza) risulta essere la trasformata di r. Per quanto detto prima, la
trasformata di s è parallela a r ' e passa per M' = f(M), punto medio di O'H'
(con O'=f(O), centro dell’ellisse). M' sarà anche punto medio di B'C',
segmento che giace su s'. B' e C' sono i trasformati di B e C: si individua,
pertanto, il triangolo A'B'C'.
Un’affinità può trasformare una circonferenza in un’ellisse arbitraria e un
triangolo equilatero in un triangolo arbitrario, però non può trasformare un
triangolo equilatero inscritto in una circonferenza in un triangolo del tutto
arbitrario inscritto nell’ellisse trasformata.
1.2 Affinità e misura di Lebesgue n
Considerato lo spazio di misura (R , L, ), con la -algebra dei misurabili
secondo Lebesgue e la misura di Lebesgue; vale il seguente:
Teor. Ogni affinità altera la misura di Lebesgue di un sottoinsieme B di L
di un fattore costante, pari a |det A|.
Si deve provare che, data un’affinità , vale la seguente uguaglianza:
α
λ λ
( (B)) = (B), con = |det A|.
α ρ ρ
- 6 -
Premettiamo alla dimostrazione il seguente risultato:
n n
Sia un aperto di R e : R un’applicazione iniettiva di classe
Teor. φ
1
C , tale che per ogni x in , la matrice jacobiana J (x) non sia sin-
φ
, chiuso e limitato; allo-
golare. Sia B un sottoinsieme misurabile di
ra anche (B) è misurabile e vale la formula:
φ ϕ ρ
∫ ∫
=
f ( x ' ) dx ' f ( ( x )) ( x ) dx , ove (x)= |det J (x)|,
φ
ρ
ϕ ( B ) B
per ogni funzione f: (B) R, continua.
φ n
Certamente si può considerare = R : una qualunque affinità (= )
α φ
soddisfa alle ipotesi del teorema.
È chiaro che vale la seguente relazione:
α ρ
∫ ∫
= o
fdx ( f ) dx e B è misurabile secondo Lebesgue.
α ( B ) B
un’affinità, nella forma y = Ax + b è chiaro che la matrice
Essendo ,
α
jacobiana di è proprio A: si ha dunque = |det A|.
α ρ
Poichè la misura di Lebesgue dell’insieme (B), può essere presentata come
α
l’integrale sull’insieme stesso della costante 1, sfruttando il teorema di cui
sopra si ottiene:
λ α ρ ρ ρλ
∫ ∫ ∫
= = = =
( ( B )) dx ' dx dx ( B )
α ( B ) B B
Nell’ottica del Programma di Erlangen, la misura di un sottoinsieme
Oss. misurabile è invariante per isometrie.
Le proprietà di avere misura non nulla e misura finita sono, invece,
invarianti per affinità.
Vale, inoltre, il seguente:
Dato un gruppo G, localmente compatto (cioè i punti hanno intorni
Teor. compatti) e di Hausdorff, esiste un’unica misura finita sui compatti
e positiva sugli aperti di G, invariante per traslazioni.
- 7 -
1.3 Applicazioni lipschitziane
Sia X uno spazio metrico, un’applicazione f: X X si dice lipschit-
Def. ziana se esiste una costante positiva L tale per cui:
d(f(x), f(y)) Ld(x, y).
Se lo spazio metrico è proprio la retta reale, come distanza si considera
quella euclidea: d(x, y)= |x-y|.
Esempi:
* La funzione quadrato non è lipschitziana; fissata un’arbitraria costante L,
basta scegliere y = 0 e x > L.
* La restrizione di tale funzione a un intervallo risulta invece lipschitziana:
considerando l’intervallo [-5, 5]
− = + − ≤ + − ≤ −
2 2
x y x y x y ( x y ) x y 10 x y
Si generalizza scegliendo un intervallo [-M, M] e L=2M.
=
f ( x ) x non è lipschitziana: scegliendo y = 0,
* La funzione radice
≤ -2
x Lx è falsa per tutti gli positivi se = 0, per 0 < < se >0. Si
x L x L L
può ottenere la lipschitzianità restringendosi a particolari intervalli del ti-
[ ] 1
=
δ +∞ L
,
po , con la scelta .
δ
2
* La funzione segno non è lipschitziana.
Una funzione f: [a, b] R si dice a variazione limitata se, suddiviso
Def. l’intervallo [a, b] in un numero finito di parti n
∑
= −
= = V f ( x ) f ( x )
< < <
a x x x b
... , la variazione è
+
i 1 i
0 1 n =
i 0
finita.
Ogni funzione lipschitziana è a variazione limitata.
Prop. - 8 -
f a b
Per ipotesi sia una funzione lipschitziana sull’intervallo [ , ], esiste allora
una costante L tale per cui: d f x f y Ld x y
( ( ), ( ))= ( , ).
Si ha: − = ≤ = − = −
f ( x ) f ( x ) d ( f ( x ), f ( x )) Ld ( x , x ) L x x L ( x x )
+ + + + +
i 1 i i 1 i i 1 i i 1 i i 1 i
L’ultimo passaggio è giustificato dalla scelta degli estremi dei
sottointervalli.
Si ottiene:
n
∑ ∑
= − ≤ − = −
V f ( x ) f ( x ) L ( x x ) L (
b a ) ,
+ +
i 1 i i 1 i
=
i 0 i
poichè i termini intermedi si elidono a coppie.
La variazione è, dunque, finita.
Il viceversa è falso.
Si può mostrare che ogni applicazione monotona è a variazione limitata: la
=
f x x
( )
funzione radice è monotona, perciò a variazione limitata, ma
non è lipschitziana come già detto.
1.4 Applicazioni bilipschitziane f
Sia X uno spazio metrico, un’applicazione : X X si dice bilipscit-
Def. ziana se esistono due costanti positive c e c tali che:
1 2
d x, y d f f y d x, y x y
c ( ) ( (x), ( )) c ( ), per ogni e in X.
1 2
f
In altre parole, si richiede che sia lipschitziana e invertibile e che anche
l’inversa sia lipschitziana. - 9 -
Ogni affinità è un’applicazione bilipschitziana.
Prop.
Per comodità grafica, ci si riferisce a un’affinità nel piano; la dimostrazione
n
si estende facilmente a una qualunque affinità di R .
2 2
: R R .
Sia, dunque r
Si consideri un’arbitraria retta , passante per l’origine O.
r r r
| : ( ) è una similitudine di rapporto ( ).
r 1 1
Si consideri, ora, la circonferenza unitaria S , centrata nell’origine; (S ) è
(O) = O (ipotesi
un’ellisse centrata nell’origine, nell’ipotesi che si abbia
certamente non limitativa, dato che a essa ci si può sempre ricondurre
mediante una traslazione).
Sia P un punto della circonferenza e sia Q il suo trasformato: essendo
OP=1, OQ fornisce il rapporto di similitudine, relativo alla retta per OP.
1 1
Essendo S compatta ed continua, (S ) è un compatto. Per cui la distanza
1
(S ) da O ha massimo M. Tale valore è una costante di
dei punti di
Lipschitz per . - 10 -
-1
Analogamente, è un’affinità e ci permette di trovare un valore N tale per
cui:
d x, y d x y d x ,y x y
M ( ) ( ( ), ( )) N ( ), per ogni e in R.