genista-aloe.jpgL’argomento prescelto per questo elaborato rispecchia in modo fedele la storia di vita e di ricerca del suo autore: nasce infatti dal desiderio di coniugare un decennale percorso di studi nell’ambito dei beni culturali e dell’archeologia con il più recente interesse per la pedagogia e per le discipline dell’ambito della formazione. Nasce, inoltre, dalla volontà di sostanziare in termini teorici il lavoro svolto in prima persona come operatore didattico nei musei e sul campo dei beni culturali del nostro territorio.

La tematica in esame corre il rischio, già nella definizione del titolo, di essere ambigua o nebulosa. I due ambiti d’indagine presi in esame, quello della didattica nel museo o nel territorio e quella delle nuove tecnologie, sono entrambi molto vasti ed in continua evoluzione; per questo motivo si è posta in più occasioni nel corso dell’elaborato la necessità di puntualizzare i confini della ricerca, di mettere a fuoco l’ambito d’indagine e, in alcuni casi, di operare precise scelte di campo. Perciò si è scelto di dare alla tesi una struttura rigorosa, che forse potrà apparire un po’ schematica, ma necessaria per poter sviscerare, si spera senza ambiguità, i nodi tematici fondamentali.

Nel primo capitolo si prende in esame la questione della didattica come “scienza –dice Franco Frabboni- della traslocazione della conoscenza” applicata al museo, ai beni culturali, al territorio, al patrimonio. Attraverso una breve storia delle definizioni sviluppate nel corso del Novecento nel dibattito italiano e in quello europeo, si arriva a definire quale campo d’indagine privilegiato quello della didattica dei beni culturali, terminologia fortemente inclusiva che permette di considerare in un’unica categoria “tutte le testimonianze aventi valore di civiltà”, fra cui, ovviamente, i musei e le mostre temporanee; ma anche gli scavi archeologici, gli antichi itinerari, il paesaggio con le sue specificità, gli archivi storici, i beni immateriali, le auto d’epoca…

Dopo avere definito la natura della conoscenza che si desidera “traslocare”, si individuano i tratti salienti della figura dell’operatore didattico, le specificità del suo agire e il (mancato) riconoscimento istituzionale della sua professionalità attraverso una breve analisi delle fonti legislative. Ne emerge il quadro un po’ sconfortante di una attività che, nell’ambito dell’organizzazione degli enti pubblici deputati alla tutela del patrimonio, è considerata uno dei “servizi aggiuntivi”, insieme ai servizi di pulizie e di ristorazione. Nell’ambito delle istituzioni formalmente deputate alla istruzione e formazione, la didattica dei beni culturali viene invece “relegata” negli spazi dedicati alle attività trasversali rispetto al curricolo, programmata attraverso percorsi interdisciplinari. Nonostante dunque sul piano teorico si ribadisca la necessità di valorizzarla e dare ad essa piena dignità, si tratta da ogni punto di vista di una attività didattica fortemente marginalizzata. Si vedrà infatti come, sul piano della riflessione pedagogica, la didattica dei beni culturali richiami l’importanza di costruire quello che Frabboni definisce un “sistema formativo integrato”, nel quale il territorio divenga il vero trait d’union dell’educazione permanente, uno strumento importante affinchè ogni individuo si costruisca una più forte identità sociale conquistando le chiavi della partecipazione attiva ad una società che diviene, contestualmente, più consapevole di sé e della propria storia. La didattica dei beni culturali si avvale di specifiche strategie che devono prevedere, rispetto al momento di fruizione diretta, un “prima” e un “dopo” altamente strutturati, la programmazione e la valutazione o, come efficacemente suggerisce Emma Nardi, pensare e valutare per ri-pensare. La didattica museale si confronta sistematicamente con un pubblico eterogeneo e sconosciuto, rispetto al quale diviene indispensabile prendere attentamente in esame le dinamiche che sorgono nel triangolo operatore- beni culturali- pubblico. Si giunge, così, a delineare una nuova e attuale prospettiva che mette a fuoco il museo (o il territorio), quale contesto privilegiato di sperimentazione per l’inclusione sociale e culturale delle diversità, a dispetto della sua storia di istituzione marcata da una valenza elitaria.

Nel secondo capitolo si proporrà una breve sintesi del dibattito relativo alle nuove tecnologie, anche in questo caso cercando di definire il campo delle “tecnologie dell’educazione”: il dibattito internazionale passa attraverso la valorizzazione del computer a cui si attribuisce un ruolo di “tutor” per potenziare l’individualizzazione in una prospettiva di insegnamento tradizionale, fino a promuovere l’uso delle tecnologie come supporto alla costruzione di modelli di insegnamento/apprendimento innovativi, su base partecipativa e costruttivista. Non sono le tecnologie, in sintesi, a modificare il mondo dell’educazione, ma queste divengono uno strumento potente nelle mani dell’insegnante, al quale spetta il compito di allestire adeguati ambienti formativi. Le nuove tecnologie, si vedrà, possono assumere un ruolo oltremodo significativo nella trasmissione di valori complessi nell’ambito dei beni culturali e delle arti visive. Trattandosi di strumenti efficaci su un piano “sinestetico” essi sono in grado di amplificare la percezione visiva e sensoriale dell’oggetto in esame, di trasmettere, ad esempio, gli esiti scientificamente complessi e problematici della ricerca storica attraverso quadri d’insieme ricostruttivi ed evocativi che sono in grado di raggiungere qualsiasi destinatario e di modulare perfettamente il contenuto da trasmettere. Verranno quindi esaminate le varie tipologie di strumenti utilizzati per potenziare la didattica museale e, in base all’analisi del loro funzionamento nel contesto della didattica dei beni culturali, si individuerà quale parametro saliente quello della loro “ubicazione”, dato dalla distinzione tra tecnologie “in presenza” e “ad accesso remoto”. Attraverso le nuove tecnologie in presenza si vedrà come divenga possibile implementare i confini della fruizione ed aumentarne la qualità; attraverso le nuove tecnologie a distanza, inoltre, è possibile agevolare la programmazione di quel “prima” e quel “dopo” che differenziano la didattica strutturata dalla divulgazione. Tutte queste diversificate applicazioni convergono a fornire alla didattica museale un contributo innovativo ed importante, che permette di trasformare il processo di apprendimento attivato dal museo; giungendo a concludere, sulla linea di Luciano Cecconi, che “quello multimediale è il mezzo per eccellenza della didattica museale”.

Infine, il terzo capitolo del lavoro verrà dedicato all’analisi di un caso: la vicenda di una mostra temporanea dedicata al mondo medievale supportata da numerose installazioni multimediali diversificate e complesse. Di questo evento verranno analizzate le fasi progettuali, le esperienze divulgative e didattiche e la fruizione da parte del pubblico; si considererà inoltre il risultato di un progetto strutturato di didattica dei beni culturali costruito intorno a questo evento, e svolto insieme a due classi di scuola primaria. Questa esperienza permetterà di concretizzare le varie parti della trattazione precedente: il problema dell’analisi delle differenti modalità di comunicazione col pubblico in museo, un esempio di progettazione trasversale al curricolo pensata intorno ai beni culturali, la funzione delle nuove tecnologie nelle loro diverse applicazioni nell’ottica degli allestitori e dei fruitori, le riflessioni dei bambini rispetto alla tecnologia, la possibilità di utilizzare la storia e i beni culturali come strumento di integrazione delle diversità.

Scarica le tesi LA PRATICA DIDATTICA FRA BENI CULTURALI E NUOVE TECNOLOGIE: L’ESPERIENZA DELLA MOSTRA “VIVERE IL MEDIOEVO”

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