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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: IL POTERE DELLE PAROLE
Autore: Filomena Furlan
Descrizione: lavoro sull'importanza delle parole nella vita sociale, politica e culturale
Materie trattate: Psicologia, Storia, Italiano, Francese, Inglese
Area: umanistica
Sommario: Psicologia, la comunicazione nonviolenta, l'importanza del corretto uso delle parole per vivere bene, Storia, la questione palestinese,l'utilizzo nella CNV in alcuni seminari di mediazione, Inglese, il discorso di Obama Presidente degli USA, il potere delle parole in politica, Italiano, la parola poetica dal preromanticismo al primo Novecento, Francese, Rimbaud, Voyelles, l'lchimia della parola letteraria
naturalmente nella mente, l’imperdibile possibilità di essere in due luoghi contemporaneamente… Perché
l’autore è colui che invade il lettore e permette alla sua anima di evadere dalla realtà contingente.
In ogni caso, le parole non possono essere morte: esse sono parte integrante della vita e dell’essere umano; la
poesia stessa è nata con l’uomo e morirà con esso, le parole sono fatte per raccontare la vita e per unire realtà
altrimenti inconciliabili. Quindi sarebbe bene che si dedicasse più spazio e più tempo alle parole “piene”,
anche in un contesto sociale come quello in cui viviamo ora.
Perché se davvero la parola fosse stanca e avesse perso il proprio potere, Khaled Hosseini non sarebbe mai
riuscito a spiegare a milioni di persone la vita di un bambino ed una ragazza afghani e personaggi illustri
come il giovane Roberto Saviano non sarebbero perseguitati della mafia. Il potere delle parole 5
2.PAROLA COME STRUMENTO DELLA
COMUNICAZIONE
L’uomo è, per definizione, un essere sociale; per questo, la parola ha un ruolo estremamente
importante nel mondo. È la lingua, l’espressione attraverso le parole, che avvicina gli uomini e
permette loro di crescere nell’interesse del progresso della società.
L’intelligenza umana ha dato vita ad un universo in cui ognuno riesce a trovare lo strumento adatto
a spiegare i propri pensieri, misteriosi e nascosti, ad altri individui: la parola. Essa non è un
semplice verso, un gesto o un suono, è il risultato della ricerca della vicinanza e del contatto
intellettuale con gli altri.
Infatti, la parola è un medium, cioè un’estensione di informazioni che contribuisce all’interazione
tra individui nella società.
La storia umana, vista dal punto di vista della comunicazione, può essere suddivisa in tre grandi
periodi: l’era tribale, l’era meccanica e l’era elettrica.
L’era tribale pone l’accento sulla parola orale, viva e carica di emozioni; l’uomo tribale, non
letterato, sente la parola come forza viva e ne esalta il potere magico. La parola orale è un medium
inclusivo e partecipe, di conseguenza permette il coinvolgimento dell’uomo nella vita della società
a cui appartiene.
L’era meccanica è caratterizzata da uno spirito scientifico e analitico, che porta all’invenzione dei
caratteri a stampa; mentre la parola stampata diviene semplicemente un magazzino di informazione
e permette la determinazione di un’ortografia, una sintassi e una pronuncia corrette, la parola scritta
consente di esporre chiaramente in sequenza e ha potere di divisione, comporta un distacco dal
coinvolgimento emotivo; per questo, l’uomo dell’era meccanica non partecipa all’intero processo
sociale.
È invece proprio dell’era elettrica un ritorno allo spirito ed alle dinamiche sociali di tipo tribale,
seppur su scala planetaria; grazie alle nuove tecnologie, l’uomo si trova a vivere in un villaggio
globale, in cui è possibile e necessaria l’estensione di tutti i sensi e la parola orale, scritta e stampata
coesistono. Il potere delle parole 6
3.LE PAROLE SONO FINESTRE (OPPURE MURI)
“Le parole sono finestre, oppure muri,
ci imprigionano o ci danno la libertà”
Ruth Bebermeyer
Il mondo in cui viviamo, la società di cui facciamo parte è caratterizzata da infinite possibilità di
comunicare; il progresso e la tecnologia hanno contribuito notevolmente alla capacità di
comunicazione, tuttavia l’uomo moderno non si trova ancora completamente a suo agio nella
società.
Il problema consiste nel fatto che l’uomo è violento per natura, e secondo Arun Gandhi ciò di cui ha
bisogno è di portare un cambiamento qualitativo nella sua vita.
“Spesso non riconosciamo che siamo violenti perché crediamo che la violenza consista solo di lotte,
di uccisioni, aggressioni o guerre - tutte cose che la persona media di solito non fa”, spiega il nipote
del leggendario M.K. Gandhi. Invece esiste un altro tipo di violenza, chiamata “violenza passiva”,
la quale può essere addirittura definita più insidiosa di quella attiva. Essa è infatti alla base de
meccanismo che genera rabbia nella vittima, quindi in altri termini è proprio la violenza passiva che
alimenta la violenza fisica.
Già Gandhi aveva sottolineato con enfasi che dobbiamo diventare noi stessi il cambiamento che
vorremmo nel mondo, se vogliamo davvero cambiare qualcosa.
Il mondo è così come noi lo abbiamo fatto, se cambiamo noi sicuramente anche esso cambierà.
Possiamo cominciare con le parole, imparando ad usarle nel modo giusto e al momento giusto ed
evitando di considerarle superflue, vuote, inutili. Il libro che ho letto, e che dà il titolo a questa parte
del mio percorso, introduce il lettore in un’atmosfera diversa da quella in cui mi sono abituata a
vivere, basata sull’importanza della nonviolenza nella comunicazione. Essa infatti dovrebbe
possibilità delle parole di
permettere a ciò che è positivo in noi di sbocciare, grazie alla
trasmettere i nostri sentimenti.
Marshall Rosenberg porta avanti questo discorso da anni, esponendo un processo di comunicazione
nonviolenta dai contenuti estremamente profondi e proponendo soluzioni estremamente semplici.
grande importanza
Egli attribuisce una alle parole. Con le parole neghiamo le nostre
responsabilità, attribuendo i nostri atti a forze impersonali, alle condizioni di salute, alle autorità o a
pulsioni incontrollabili… l’uso disinvolto e approssimativo delle parole ci fa contribuire quasi senza
che ce ne accorgiamo alla strutturazione violenta dei nostri rapporti sociali. Invece bisogna
recuperare l’originaria naturalezza dell’uomo nel dare e nel ricevere con empatia: la
comunicazione nonviolenta (CNV) ci aiuta a metterci in relazione con noi stessi e con gli altri, in un
modo che permette alla nostra naturale empatia di sbocciare. Essa ci guida nel ridare forma al modo
Il potere delle parole 7
in cui ci esprimiamo ed ascoltiamo gli altri, concentrando la nostra consapevolezza su quattro aree:
che cosa osserviamo, che cosa sentiamo, di che cosa abbiamo bisogno e che cosa chiediamo per
arricchire le nostre vite.
La CNV promuove l’ascolto profondo, il rispetto e l’empatia e genera un desiderio reciproco di dare
col cuore. Alcune persone usano la CNV per rispondere ai propri sentimenti, altre per dare
maggiore profondità alle loro relazioni personali ed altre ancora per costruire relazioni efficaci sul
luogo di lavoro o nell’area politica. In tutto il mondo, la CNV è utilizzata per mediare dispute e
conflitti ad ogni livello; in particolare, il professor Rosenberg ha partecipato a diverse conferenze
riguardanti la questione israeliano-palestinese.
La comunicazione che blocca l’empatia
Provare gioia nel dare e nel ricevere con empatia fa parte della nostra natura. Tuttavia il professore
spiega come abbiamo imparato presto molte forme di “comunicazione che aliena dalla vita”, che ci
portano a parlare e a comportarci in modi che feriscono gli altri e noi stessi. Una forma di
comunicazione di questo tipo è l’uso di giudizi moralistici, che implicano il torto o la cattiveria di
coloro i quali non agiscono in armonia con i nostri valori. Un’altra forma di comunicazione che
aliena dalla vita è l’uso di paragoni, che possono bloccare l’empatia sia verso noi stessi che verso
gli altri. Questa comunicazione, inoltre, offusca la nostra consapevolezza di essere ognuno
responsabile dei propri pensieri, sentimenti ed azioni. Un’ulteriore forma di linguaggio che blocca
l’empatia è comunicare i nostri desideri nella forma di pretese.
Le quattro componenti della comunicazione nonviolenta:
OSSERVARE SENZA VALUTARE: la prima componente della CNV comporta la
• separazione dell’osservazione dalla valutazione. Quando combiniamo l’osservazione con la
valutazione, gli altri saranno propensi a udire una critica e ad opporre resistenza a quello
che diciamo. La CNV è un linguaggio di processo che scoraggia le generalizzazioni
statiche. Al contrario, le osservazioni dovrebbero essere circostanziate, nel tempo e nel
contesto.
INDIVIDUARE ED ESPRIMERE I SENTIMENTI: la seconda componente che è
• necessaria per esprimere noi stessi sono i sentimenti. Sviluppando un vocabolario di
sentimenti che ci permetta di descrivere le nostre emozioni con chiarezza e specificità,
possiamo connetterci più facilmente l’uno con l’altro. Permettere a noi stessi di mostrarci
vulnerabili, esprimendo i nostri sentimenti, può aiutarci a risolvere i conflitti. La CNV
distingue l’espressione dei sentimenti veri e propri da quelle parole e quelle affermazioni
che descrivono pensieri, considerazioni ed interpretazioni.
PRENDERSI LA RESPONSABILITÀ DEI PROPRI SENTIMENTI: la terza componente
• della CNV è il riconoscimento dei bisogni che stanno dietro i nostri sentimenti. Ciò che gli
altri dicono o fanno può essere lo stimolo, ma mai la causa dei nostri sentimenti; quando
qualcuno ci comunica qualcosa in modo negativo, abbiamo quattro possibilità di scelta
relative ai modi in cui ricevere il messaggio: 1) incolpare noi stessi; 2) incolpare gli altri; 3)
percepire i nostri sentimenti ed i nostri bisogni; 4) percepire i sentimenti ed i bisogni
nascosti nel messaggio negativo dell’altra persona. I giudizi, le critiche, le diagnosi e le
Il potere delle parole 8
interpretazioni degli altri sono tutte espressioni alienate dai nostri bisogni e valori
personali. Quando gli altri sentono una critica, tendono ad investire le loro energie
nell’autodifesa o nel contrattacco. Tanto più direttamente riusciamo a collegare i nostri
sentimenti ed i nostri bisogni, tanto più facile è per gli altri rispondere con empatia. In un
mondo in cui spesso siamo giudicati con asprezza se individuiamo e riveliamo i nostri
bisogni, esprimerli può fare paura, soprattutto alle donne cui è stato insegnato ad ignorare i
loro bisogni per aver cura di quelli degli altri. Nel processo di sviluppo della responsabilità
emotiva, la maggior parte di noi sperimenta tre stadi: 1) la “schiavitù emotiva”, in cui ci
rendiamo responsabili dei sentimenti altrui; 2) lo “stadio scontroso”, nel corso del quale
rifiutiamo di ammettere che ci importa di quello che gli altri sentono o desiderano; 3) la
“liberazione emotiva”, in cui accettiamo la piena responsabilità dei nostri sentimenti ma
non di quelli altrui, e contemporaneamente siamo consapevoli del fatto che non potremmo
mai soddisfare i nostri bisogni a spese di quelli di altre persone.
RICHIESTE CHE POSSONO ARRICCHIRE LA VITA: la quarta componente della CNV
• riguarda il problema di quello che vorremmo chiedere gli uni agli altri per arricchire le
nostre vite. Cerchiamo di evitare le formulazioni vaghe, astratte o ambigue, e ricordiamo di
usare un linguaggio di azione positivo, dichiarando quello che vogliamo anziché quello che
non vogliamo. Quando parliamo, tanto più ci è chiaro che cosa vogliamo in cambio, tanto
più è probabile che lo otterremo. Dal momento che il messaggio che mandiamo non sempre
coincide con quello che viene ricevuto, abbiamo bisogno di imparare a scoprire se il nostro
messaggio è stato compreso esattamente. Abbiamo bisogno di avere chiara la lettura della
risposta che vogliamo ricevere, soprattutto quando stiamo esprimendoci in un gruppo;
altrimenti, potremmo dar vita a conversazioni improduttive che fanno perdere al gruppo un
notevole ammontare di tempo. Le richieste sono percepite come pretese quando chi ascolta
crede che sarà incolpato o punito se non si conformerà ad esse.
Possiamo aiutare gli altri ad aver fiducia nel fatto che stiamo facendo una richiesta e non
una pretesa esprimendo il nostro desiderio che loro obbediscano solo se lo fanno volentieri.
Lo scopo della CNV non è quello di cambiare le persone e il loro comportamento per fare
le cose a modo nostro; è invece quello di creare relazioni basate sull’onestà e sull’empatia,
che successivamente soddisferanno i bisogni di tutti.
Ricevere con empatia
L’empatia è una comprensione rispettosa di quello che gli altri provano. Invece di offrire empatia,