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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: L'assurdo, luci ed ombre del 900

Autore: Zeffiri Marta

Descrizione: ho trattato il tema del bizzarro non solo come espressione del bizzarro ma come l'illogicità  e la contraddizione si ritrovano nel teatro, che per me è la più grande rappresentazione della vita reale.

Materie trattate: Italiano, Francese, Inglese, Storia, Geografia, Matematica, Economia, Arte

Area: umanistica

Sommario: ITALIANO: Luigi Pirandello FRANCESE: Ionesco, Rhinocèros INGLESE: Beckett, Waiting for Godot STORIA: LA GUERRA FREDDA GEOGRAFIA: Internet, Identità  online MATEMATICA: Il sistema matematico ECONOMIA: Il bilancio desercizio ARTE: Il dadaismo

Estratto del documento

è il dramma più famoso di Luigi Pirandello. Con questa

Sei personaggi in cerca d'autore

rappresentazione egli vuole dimostrare che il dramma borghese è irrappresentabile e che

l’arte stessa è incapace di cogliere il significato della vita.

Sei personaggi in cerca d’autore segna una svolta, in quanto raggiunge entrambi gli

elementi impliciti nella ricerca teorica di Pirandello sul teatro:

• L’autonomia piena dei personaggi dall’autore e la dissacrazione del momento artistico.

L’autonomia dei personaggi è tale che essi sono addirittura portati in scena “in cerca

d’autore”, ciascuno con la sua verità in opposizione a quella degli altri e in assenza di un

autore capace di dare un senso alla vicenda. La dissacrazione giunge sino all’esibizione e

alla messa a nudo degli artifici teatrali, alla negazione della materialità del palcoscenico e

cioè della tradizionale barriera fra scena e spettatori.

“Teatro nel teatro”

Questa particolare tecnica teatrale consiste nel mettere in scena un’altra recita mentre la

rappresentazione va avanti; gli attori della scena assistono a un’altra rappresentazione

teatrale e si trasformano essi stessi in spettatori. Realtà e finzione in tal modo si scambiano

le parti, si alternano e si mescolano, cosicché diventa difficile distinguerle. Questa tecnica

viene messa in pratica la prima volta da Shakespeare nell’Amleto. Pirandello la inserisce

invece in un discorso complessivo che riguarda in realtà l’impossibilità dell’arte di conoscere

e di riprodurre la vita.

“La critica al dramma borghese”

Pirandello nella sua critica non vuole colpire direttamente il dramma borghese ma

vuole colpire più in alto, vuole mettere in questione il potere stesso dell’arte. Nella

sua opera egli infatti spiega che il vero dramma dell’opera non è quello

melodrammatico portato sulla scena da sei personaggi, ma un altro: l’autore non è

stato in grado di trovare alla vicenda un “significato universale” e per questo li ha

rifiutati.

Questo è il vero dramma: l’impossibilità dell’arte moderna di individuare il

significato della vita.

La vicenda

Il dramma Sei personaggi in cerca d'autore narra di un capocomico che, mentre prova sulla

scena "Il giuoco delle parti" dello stesso Pirandello, si vede piombare in teatro sei persone,

sei personaggi, che lottano l'un contro l'altro e tutti contro il capocomico per vedere

rappresentato il loro dramma che nessun autore ha voluto scrivere.

"Un uomo sulla cinquantina, in giacca nera e calzoni chiari, dall'aria aggrottata e dagli occhi

scontrosi per mortificazione; una povera donna in gramaglie vedovili che avea per mano

una bimbetta di quattr'anni da un lato e con un ragazzo di poco più di dieci dall'altro; una

giovinetta ardita e procace, vestita anch'essa di nero ma con uno sfarzo equivoco e

sfrontato, tutta un fremito di gajo sdegno mordente contro quel vecchio mortificato e contro

un giovane sui vent'anni che si teneva discosto e chiuso in sé come se avesse in dispetto

tutti quanti".

Cominciano così, quasi a forza, a narrare il loro dramma. Il capocomico è dapprima

disinteressato e innervosito poi, man mano che si va avanti nella storia, si fa attento. Il

Padre infatti, dopo essersi accorto che la Madre amava un suo impiegato, la cacciò da casa

e affidò il figlio legittimo ad una balia. Ma quando l'impiegato morì, la Madre, con i figli

illegittimi: la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, si trovò in una grave situazione finanziaria

e fu costretta ad andare a lavorare come sarta da Madama Pace, la quale obbligò la

Figliastra a prostituirsi. Nella "bottega" di Madama Pace la Figliastra incontra Il Padre. La

Madre e i suoi figli si stabiliscono a casa del Padre dove incontrano il Figlio.

I sei personaggi incarnano ognuno una visione diversa dello stesso dramma che ogni

personaggio vive con una "sua" verità inconciliabile con quella degli altri. Questo è il

dramma pirandelliano della solitudine e dell'incomunicabilità che viene spiegato dal Padre

quando, rivolgendosi al capocomico, gli dice: «ciascuno di noi - veda - si crede "uno" ma

non è vero: è "tanti" signore, "tanti" secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi;

"uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con l'illusione d'esser sempre "uno per

tutti" e sempre "quest‘uno" che ci crediamo in ogni nostro atto! Non è vero!».

In questo "teatro nel teatro" Pirandello non narra il dramma dei personaggi ma il loro

tentativo di trovare un autore che lo rappresenti. I sei personaggi sono diversi perché

ognuno di loro vive una parte diversa dello stesso dramma. Il Padre è distrutto dal rimorso

per le proprie colpe; la Figliastra, vittima del Padre si vuole vendicare proprio

rappresentandole e rendendole immortali sul palcoscenico. Il Figlio, sdegnato con tutti, si

sente estraneo alla famiglia. La Madre vive solo per le due creaturine indifese che ha ai

fianchi, le quali vivono anche loro un dramma che non si manifesta. Nell'ultima parte

dell'opera vi è una contrapposizione tra realtà e finzione espressa per mezzo degli attori

che, quando vedono il Giovinetto ferito, si dividono non sapendo quale è la verità. L'ultima

parte e anche surreale perché la Bambina, viva , recita la propria morte.

Sei personaggi in cerca d'autore è un testo teatrale, quindi Pirandello non narra i fatti ma

scrive le battute e le note sceniche; non vi è dunque voce narrante e il testo è tutto in

discorso diretto. L'opera pur essendo un atto unico è spezzata in tre parti poiché la vicenda

si svolge in tempo reale e i cambiamenti di scena avvengono a sipario alzato; i fatti si

svolgono in un pomeriggio e sono narrati in ordine cronologico ma i personaggi rievocano

ricordi passati.

Fils de père roumain et de mère française, Eugène Ionesco naît en Roumanie en 1912, mais il

passe son enfance en France. Devenu professeur de français dans son pays natal en 1934, il vient

s’installer définitivement en France peu avant la guerre. Il travaille d’abord comme correcteur

dans une maison d’éditions, puis, naturalisé français en 1950 et encouragé par ses nouveaux

amis, il commence à écrire et publier ses pièces de théâtre. Ses débuts ne sont pas faciles, car il

met sur la scène des dialogues gouvernés par l’absurde et ne renonce jamais à la provocation:

par conséquent il doit se défendre des critiques souvent très dures que lui adressent les

conservateurs et les gauchistes aussi. Cela conduit peut-être Ionesco à définir plus clairement sa

position dans ses pièces mais aussi au cours de nombreuses interviews : il ne croit pas au

théâtre engagé ou au message et son objectif essentiel est celui de mettre en scène le vide et

l’angoisse de la société qui l’entoure.

Son œuvre comprend essentiellement des pièces de théâtre, mais aussi un roman « Le

Solitaire », quelques nouvelles et un film, « La Vase ».

Son élection à l’Académie française en 1970 et la représentation de ses pièces dans les théâtres

les plus importants du monde consacrent définitivement Ionesco.

Le théâtre d’Eugène Ionesco est généralement classé dans la catégorie « théâtre de

l’absurde », qui comprend aussi les œuvres de Beckett. En effet, dès ses premiers ouvrages,

l’auteur propose sa logique incohérente et paradoxale, ses personnages incapables de

communiquer.

L’absurdité du langage dénonce la banalisation de la communication et veut rendre à la

parole sa force évocatrice, perdue dans les conventions sociales. En même temps, les

formules abusées, les répétitions, le jeux de mots révèlent les angoisses et les obsessions de

l’home moderne et la peur de perdre sa propre identité.

Dans toute l’œuvre d’Ionesco on remarque la présence obsédante de l’angoisse de la mort.

Cet attachement à la vie et aux différences individuelles, la profonde tristesse de son

humour, la volonté de sortir de la solitude, la bataille de ses personnages contre des menaces

incompréhensibles donnent au théâtre d’Eugène Ionesco une tendresse qui manque aux

autres novateurs de l’écriture dramatique.

Eugène Ionesco est décédé le 28 mars 1994 à son domicilie à Paris. Cérémonie à l’église

orthodoxe. Il fut enterré Vendredi saint, qui était en même temps le premier Avril, et repose au

Cimetière de Montparnasse…

… mais son œuvre est toujours là !

Cette pièce, l’une des plus ambitieuses et importantes de l’œuvre d’Ionesco, a été mise en

scène pour la première fois par Jean-Louis Barrault en 1859. La pièce dépeint une épidémidie

imaginaire de « rhinocérite », maladie qui effraie tous les habitants d’une ville et les

transforme bientôt tous en rhinocéros.

Cette pièce est généralement interprétée comme une métaphore de la montée des

totalitarismes à l'aube de la Seconde Guerre Mondiale et aborde les thèmes de la conformité

et de la résistance.

Cette pièce se divise en trois actes, chacun montrant un stade de l'évolution de la

« rhinocérite ».

Acte I

Dans l'acte I, les rhinocéros en liberté provoquent tout d'abord l'étonnement et choquent les

personnages. Jean ne parvient pas à croire que ce qu'il a vu était réel, il énonce même

clairement « cela ne devrait pas exister ». L'épicier jette un cri de fureur en voyant la

ménagère partir avec son chat ensanglanté « Nous ne pouvons pas nous permettre que nos

chats soient écrasés par des rhinocéros ou par n'importe quoi ! ». Comme à la montée de

chaque mouvement fasciste, les gens sont tout d'abord effrayés.

Acte II

Les habitants commencent à se transformer en rhinocéros et à suivre la rhinocérite. C'est là

que l'on relève les premières oppositions clairement marquées, selon Botard c'est « une

histoire à dormir debout ! », « c'est une machination infâme ». Ce dernier ne veut pas croire

en la réalité de la rhinocérite. Mais pourtant lui aussi va se transformer en rhinocéros malgré

ces préjugés, comme quoi même les plus résistants se font avoir par les beaux discours de la

dictature. Les personnes commencent à se transformer en rhinocéros : c'est le cas de

Monsieur Boeuf, rejoint ensuite par sa femme, « je ne peux pas le laisser comme ça » dit-elle

pour se justifier. Les pompiers sont débordés, le nombre de rhinocéros augmente dans la

ville. Ensuite, Jean, personnage si soucieux de l'ordre au départ et si choqué par la présence

de rhinocéros en ville, se transforme lui-même en rhinocéros, sous les yeux désespérés de

son ami Bérenger. On assiste ainsi à la métamorphose d'un être humain en rhinocéros. Jean

est tout d'abord malade et pâle, il a une bosse sur le front, respire bruyamment et a tendance

à grogner. Puis il verdit de plus en plus et commence à durcir, ses veines sont saillantes, sa

voix devient rauque, sa bosse grossit de plus en plus pour former une corne. Jean refuse que

son ami appelle un médecin, il parcourt sa chambre tel une bête en cage, sa voix devient de

plus en plus rauque et Jean émet des barrissements. Selon lui, il n'y a rien d'extraordinaire au

fait que Boeuf soit devenu rhinocéros, « Après tout, les rhinocéros sont des créatures comme

nous, qui ont le droit à la vie au même titre que nous ! », lui qui était si cultivé, si littéraire, il

proclame soudain « l'humanisme est périmé ! Vous êtes un vieux sentimental ridicule. »

Acte III

Enfin, à l'acte III, tout le monde devient rhinocéros, même Daisy et Dudard. Bérenger est le

seul à réagir humainement et à ne pas trouver cela normal. Il s'affole et se révolte contre la

rhinocérite. Dudard minimise la chose puis devient rhinocéros, et Daisy refuse de « sauver le

monde » pour finalement suivre les rhinocéros qu'elle trouve soudainement beaux, dont elle

admire l'ardeur et l'énergie. Finalement, après beaucoup d'hésitation, Bérenger décide de ne

pas capituler : « Je suis le dernier homme, je le resterai jusqu'au bout ! Je ne capitule pas ! »

Interprétation

Dettagli
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