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Sintesi

Tesina multidisciplinare per l'esame di stato liceo scientifico.

Ho cercato di evidenziare l'aspetto del peccato in ogni autore o fenomeno preso in considerazione

Materie Interessate: Italiano, Latino, Filosofia, Storia, Inglese, Storia dell' arte e Geografia, Astronomica

Dalla presentazione

Perché "i sette peccati capitali"? beh, l'idea è nata all'improvviso, senza pensarci né cercarla Era ormai maggio, in classe non si parlava che dell'esame e si accavallavano proposte sull'argomento da scegliere e ci si sforzava di riuscire a fare i collegamenti giusti tra le varie materie, quando una voce esclamò: "L'accidia!". Non ci avevamo mai pensato eppure l'accidia era il male del nostro secolo, ma non era l'unico e sarebbe stato riduttivo isolarlo ed ecco come nel cercare di ricordare quali erano i restanti sei, trovai il titolo: I sette peccati capitali.

Mi era capitato di sentirne parlare ma sempre con la stessa superficialità  con cui spesso ci lasciamo vivere,un argomento quindi del tutto sconosciuto a cui mi sono avvicinata con la stessa curiosità  di un bambino che si appresta a scoprire e a dare un nome e una spiegazione a ciò che lo circonda. Iniziai così a sfamare l'interesse che nutrivo e a riportare quelli che erano solo idee astratte frutto di un momento di pausa tra amici, in qualcosa di concreto. Pochi sanno che durante il medioevo la chiesa aveva incluso nei Peccati Capitali anche la tristezza, in quanto questo sentimento indicava il non apprezzare le opere che Dio aveva compiuto per gli uomini e che secondo la Chiesa il peggiore dei sette peccati è la superbia, poiché con questo sentimento si tenderebbe a mettersi sullo stesso livello di Dio, considerarlo quindi inferiore a come dovrebbe essere considerato. Infatti è proprio la superbia il peccato di cui si sono macchiati Lucifero, Adamo ed Eva.

Nella società  moderna, spesso l'uomo si sente protagonista del mondo, invincibile, non accorgendosi che in realtà  è solo una pedina nelle mani di chi non ha intenzione di perdere e conduce il suo gioco, l'uomo tende a guardare gli altri prima di se stesso, puntando il dito, accusando e condannando senza diritto di appello, il peccato nasce allora forse nelle convinzioni sbagliate che l'uomo considera ed accetta come giuste.

Se ci si riflette un po', ci accorgeremo tutti che almeno una volta abbiamo peccato nel sentirci non adatti né preparati al ritmo incessante che la vita impone, nel non saper resistere a quel dolce che sembra chiamarci da dietro una vetrina, nel restare impigliati nella trappola dei piaceri del corpo, a tutti sarà  capitato di invidiare qualcuno non per quello che l'altro possiede ma nel non avere ciò che l'altro ha, quante volte ci sentiamo superiori non rendendoci conti che nessuno è inferiore, e quanti non hanno mai perso il controllo lasciando spazio alla rabbia o hanno preferito tenere chiuso il portafogli

Beh, siamo tutti vittime o carnefici dei sette peccati capitali, ma per noi peccare è diventata quotidianità , abitudine e non ci facciamo caso né tanto meno poi l'ammettiamo! A scuola, durante quelle sette ore impari a conoscere gli autori o i fenomeni che studi attraverso delle pagine che altri hanno scritto per te e che ancora prima loro avevano scritto per essere ora studiati, apprezzati o criticati per il loro lavoro, eppure al di là  di ogni parola che ancora resta o di qualche azione che ancora si ricorda si cela un uomo che pecca!

Questo è il caso di D'annunzio e la lussuria, Schopenhauer e l'accidia, Hitler e la superbia, Marziale e l'invidia, Dickens e l'avarizia, Dalì e la gola o I fenomeni vulcanici e l'ira della terra. Sarà  un caso che nell'estate 2003 la Algida ha messo in commercio una serie limitata di gelati ispirati ai sette peccati capitali?

Io non credo al caso ma nemmeno che tutto abbia una spiegazione però a tutto se ne può dare una, certo è individuale, la prospettiva cambia a seconda del punto di vista , spesso però è semplice ed è l'unica!

Estratto del documento

Abbandono smodato ai piaceri…

Che cos'è

La radice della parola lussuria coincide con quella Cosa è stato detto a proposito della

della parola lusso - che indica una esagerazione - e "lussuria"

quella della parola lussazione - che significa

deformazione o divisione. Rendimi casto, ma non subito.

Appare quindi chiaro il significato di lussuria, che Sant'Agostino

designa qualche cosa di esagerato e di parziale.

Il corpo viene oggettivato e la persona

spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la Il sesso è la cosa più divertente che ho fatto

musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza senza ridere.

fondamentale poiché devono supplire alla Woody Allen

mancanza di un altro tipo di seduzione che

scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre Il piacere è come certe droghe medicinali: per

che fisica. ottenere sempre lo stesso risultato bisogna

La lussuria è quindi una conseguenza di un certo raddoppiare la dose.

tipo di paura: la paura del confronto con un altro Honorè de Balzac

essere umano nel quale è possibile rispecchiarsi. Il

lussurioso non si vuole specchiare, non si vuole

vedere, non si vuole confrontare… Le donne troppo virtuose hanno in se

qualcosa che non è mai casto.

Denis Diderot

Il pudore inventò il vestito per godere maglio

della nudità.

Carlo Dossi

L’arte del «vivere inimitabile»

Tutta la vita è senza mutamento.

Ha un solo volto la malinconia.

Il pensiero ha per cima la follia.

E l'amore è legato al tradimento.

In queste parole si riconosce un uomo particolare, un poeta eccezionale, che rendeva bello e

piacevole ogni cosa che scriveva, il poeta della ‘Lussuria ’, Gabriele D’Annunzio. D’Annunzio è

sinonimo di piacere, anzi di piaceri: tutti quelli che concesse alla sua insopprimibile necessità di

delizie. E i piaceri che si accordò furono cento e più di cento, dalla più raffinata voluttà alla più

semplice cosa. D'Annunzio ricercò e assaporò tutti gli aspetti del piacere della vita utilizzando ogni

mezzo: la “lussuria belluina”, il “piacere perverso” e la “immaginazione impura”. Il solo modo che

conosceva per placare le voglie imperiose della carne, era quello di abbandonarsi alla “sensualità

fuor dai sensi”, perché solo “dopo una lunga voluttà occulta, dopo la malvagia ebbrezza, il corpo è

come alleviato”. Ma da buon maestro dei piaceri, sapeva bene che la voluttà è anche nel non essere

mai sazio, e la sua perizia era allora nell’assaporare le mirabili fattezze di una donna dopo l’amore:

perché il piacere sta “nel possedere il corpo intero, quasi nell'assorbire e sorbire tutte le curve, tutte

le rotondità, e le cavità e le lunghezze”. Ma la cosa fantastica in D’Annunzio è che riusciva a trarre

“Non temo di guardare

nutrimento intellettuale proprio dall'istinto sessuale, e una volta scrisse:

nel più profondo di me per riscoprire come dall'ingombro carnale, come dalla bestialità

indomita, come dalla turbolenza sanguigna si esalino le aure divine dei mio spirito” .

D'Annunzio si è valso della lussuria per una sorta di conoscenza e una sorta di ascesi. Quel che per

altri è piacere, per lui è sacrificio e conoscimento. In nessuno degli scritti ascetici, che sono stati

forse la sua più forte passione letteraria, si troverà contemplata e indagata la morte come nei suoi

libri erotici: la carne non è se non uno spirito devoto alla morte. In questo senso nessuno è stato più

carnale di Gabriele D'Annunzio, devoto costante alla morte. Non solo egli s'è visto più volte e s'è

descritto morto... egli ha temuto la morte. La sua devozione nasce, come nei primitivi, dall'orrore

del suo Dio o demone. Che egli l'abbia cercata, la morte, che ne sia stato tentato, non significa che

non la tema... Egli sente come la morte sia l'esperienza maggiore; più grande dell'amore; più

decisiva dell'arte; più pericolosa dell'eroismo tragico. Ma essa è anche l'unica esperienza che non

consenta ritorni. Egli vorrebbe arricchire la sua vita con la morte".

“Il Piacere", considerato la vera e propria "Bibbia" del decadentismo italiano, in cui il protagonista

incarna il simbolo della sfrenatezza sensuale che sfocia nella lussuria, generando insoddisfazione e

inappagamento dei desideri, è anche il simbolo del piacere di D’Annunzio che vuole esprimere,

attraverso il protagonista, tutto il suo ardore per il sesso femminile.

Andrea Sperelli è un personaggio autobiografico, poichè è l'incarnazione di quello che l'autore

avrebbe voluto essere. Andrea Sperelli il protagonista de "il piacere" è propulsore di questa

tendenza estetica della cultura decadente, per cui l'arte diviene oggetto di culto e la vita stessa si

risolve in essa.. La ricerca del bello come unico valore, indifferenza per ogni convenzione etica, il

disprezzo dei valori borghesi.

Sperelli è una figura che più che il pensiero amava l'espressione, la forma ai contenuti, l'importanza

che dà alla vitalità e alla sensualità (o piuttosto lussuria), e lo stesso concetto che guida la vita di

D'Annunzio "Bisogna fare la propria vita, come si fa “un’opera d'arte" in lui "il senso estetico

sostituisce quello morale".

L'esteta vive da uomo fuori dal comune perché eccezionalmente dotato e raffinato. Nel romanzo il

poeta rivela una ricerca della bellezza come prototipo di una donna affascinante e sfuggente,

espressione di ciò che può ammaliare un esteta. Gabriele D'Annunzio volle realizzare un modo di

vita eccezionale, libero da ogni convenzione e costrizione, in una perenne tensione erotica ed

eroica, in un'atmosfera impregnata di fasto, di raffinatezza di sensualità, di bellezza, e scandita da

gesti clamorosi e parole singolari cercando di interpretare al meglio un atteggiamento tipico del

decadentismo. D’Annunzio rappresenta nella sua passionalità le ascendenze del mondo classico e i

primi albori di una modernità dominata dal sacro fuoco interiore. Inizialmente, egli si rapporta al

verso dantesco con “Primo Vere”, poi si volge agli influssi carducciani, per poi esprimere in

narrativa un versante letterario italiano che viene considerato emblema di eleganza e raffinatezza

stilistica, nel quale si schiudono a ventaglio influssi di vita mondana, esperienze amorose

individuali, vocazione per il teatro, cui D’Annunzio viene indirizzato attraverso personalità di attrici

come Ida Rubinstein ed Eleonora Duse. D’Annunzio crea drammi di lussuria e di morte, dove

l’eroina o l’eroe sono costantemente in contrasto con le idee della morale borghese, portata a

reprimere le caratteristiche istintuali dell’essere umano, ed a mistificare le azioni e le teorie

nietzschiane del superuomo. Dalle liriche di “Alcyone” alla “Figlia di Iorio”, la poesia esprime

l’epico sentimento, e la crepuscolarità, in una musica dannunziana, versata all’impeto nostalgico,

amoroso, naturalistico. Ma il piacere quando diventa vizio e quindi lussuria, è mai soddisfatto? E’

proprio questo il ‘quid ’, lui è infatti insoddisfatto, e cerca costantemente nella carne e nella

passione un qualcosa di irraggiungibile. D’Annunzio è stato considerato un grande amante, ma non

è mai riuscito a stare più di tanto tempo con la stessa donna; non è per amore, ma per passione. E’

passato da donne bellissime, a attrici famose, fino ad arrivare a Parigi, città trasgressiva con i suoi

‘Bordelli ’ , dove inizia a frequentare le famosissime Prostitute. Un Uomo particolarissimo, a volte

incompreso proprio per questa sua voglia ossessiva e incontrollabile della sessualità, ma rimarrà per

sempre nella storia come uno dei più grandi amanti che ci sia mai stato.

disinteresse per il presente e mancanza di prospettive per il futuro

Il termine

Il termine, nel greco classico, designa la

negligenza, l'indifferenza, la mancanza di cure e La parola all'accidia...!!!

di interesse per una cosa. Designa inoltre

l'abbattimento, lo scoraggiamento, la Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei

prostrazione, la stanchezza, la noia e la starmene seduto per ore a guardarlo.

depressione dell'uomo di fronte alla vita. Jerome K. Jerome

É lo smarrimento estremo: si produce uno stato

d'animo che intacca e rischia di disorientare tutto La cosa più deliziosa non è non aver nulla

ciò che raggiunge. da fare: è aver qualcosa da fare, e non

Due conseguenze tipiche sono l'instabilità e il farla!

disprezzo per gli impegni della propria vita. Marcel Achard

L'uomo non padroneggia più la vita; le vicende lo

avviluppano inestricabili, ed egli non sa più Un pigro è un uomo che non fa finta di

vederci chiaro. Non sa più come cavarsela in lavorare.

determinate vicende della propria esistenza; e il Nicolas de Chamforet

compito a lui affidato gli si erge davanti

insuperabile, come la parete di una montagna. I momenti d'ozio sono intervalli di lucidità

nei disordini della vita.

Ambrose Bierce

Una vita ricca e attiva,un sentire dolente

Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio del 1788 da una ricca famiglia borghese e

morì a Francoforte nel 1860. Suo padre era un bravo mercante che era riuscito ad accrescere il già

cospicuo patrimonio familiare. Questa florida condizione economica consentì al giovane

Schopenhauer di viaggiare molto e conoscere ambienti stimolanti sul piano umano e culturale. Egli

dunque ebbe modo di conoscere il cure vivo e pulsante dell’Europa, però, questa esperienza

eccezionale non lo indirizzò, come era prevedibile,verso i traffici e i commerci, ma servì solo ad

aggravare la sua tendenza a chiudersi in se stesso e a nutrire una visione pessimistica della vita. I

temi dominanti delle sue meditazioni giovanili sono infatti quelli della morte e dell’eternità, dello

smarrimento di fronte alla grandiosa maestà della natura.

Qualunque sia la causa del sentire doloroso e tormentato del giovane Schopenhauer, certo è che egli

nutrì sempre una crescente insofferenza per il mondo borghese da cui era circondato. Dopo la morte

del padre, forse per suicidio, il distacco da tale mondo si fece più profondo e, grazie alla madre, che

aveva anch’essa voltato le spalle al mondo mercantile,egli poté dedicarsi agli studi classici,

abbandonandosi alla contemplazione della cultura, della filosofia e dell’arte greca.

Il rifiuto totale della vita

E’ in questi anni di studio e di meditazione, che egli avvertì il bisogno di far chiarezza sul proprio

sentimento di insoddisfazione esistenziale e di distacco dalle ordinarie preoccupazioni della vita.

Schopenhauer giunse a un rifiuto totale della vita. Intraprese allora anche lo studio della filosofia.

Platone lo appassionò perché rispondeva alle esigenze del suo animo, specie nel desiderio di

evadere dalla prigione del mondo sensibile per sollevarsi al mondo delle idee; e lo stesso si dica per

Kant, il filosofo che Schopenhauer ebbe sempre come punto di riferimento privilegiato. In Kant

egli trovava una lucida critica al realismo, cioè alla credenza che le cose abbiano una realtà e un

significato indipendenti dal soggetto, e in particolare l’affermazione che la mente dell’uomo avverte

il bisogno di andare oltre il mondo mutevole e incerto dei fenomeni per raggiungere la “cosa in sé” ,

vale a dire l’essenza profonda delle cose. Su questo punto tra i due non c’è accordo, infatti mentre

per Kant la “cosa in sé” è soltanto pensabile, un concetto non raggiungibile; per Schopenhauer essa

si può conquistare con il faticoso processo di chiarificazione interiore che il saggio o il filosofo

possono percorrere.

Che cos’è il mondo?

Nel 1818 Schopenhauer pubblicò il suo capolavoro, il mondo come volontà e rappresentazione,che

avrebbe dovuto diffondere la sua verità nel mondo vile e meschino della filosofia tedesca, ma che

non ebbe alcun successo.

Alla domanda <Che cos’è il mondo?> Schopenhauer risponde ponendosi da una duplice

prospettiva: da un lato la prospettiva della rappresentazione intellettuale o, meglio, della scienza; e

dall’altro quella della volontà.

I due punti di vista mettono capo a due soluzioni differenti. Secondo quella della conoscenza il

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