Provo a spiegarmi meglio, ma avrò delle difficoltà a non ripetermi. Come si può leggere
qui, "A formal language is often defined by means of a formal grammar such as a regular grammar or context-free grammar, also called its formation rule". Ovvero un linguaggio formale è di per sé vuoto, privo di qualsiasi contenuto, ma fatto di regole che permettono di ottenere da "cose valide" in quel linguaggio "cose diverse e ancora valide". Le regole formali per l'espressione della proposizione "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere neanche col senso della frase. Una volta che abbiamo per le mani una teoria ed una interpretazione, possiamo parlare di valori di verità. Ancora, le regole formali per l'assegnazione di un valore di verità a proposizioni del tipo "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere con l'oggetto della teoria matematica che indichiamo con $1$. Ovviamente, visto che lo scopo con cui sviluppiamo la teoria è quello di formalizzare concetti empirici, un predicato di esistenza e unicità verrà definito in maniera tale che sia vero quando riflette la nostra idea intuitiva di "esiste, è unico". Chiaramente questa definizione fa appello alla nostra idea di "uno", ma il punto è che noi non siamo né macchine né oggetti matematici, l'uno empirico che abbiamo in testa è qualcosa di immediato, sì, ma privo di senso dal punto di vista dei linguaggi formali. Ripeto, una macchina di Turing non può "pensare ad "uno"". Noi sì, e definiamo delle regole in cui l'unicità abbia formalmente senso tutte le volte che lo ha empiricamente (in realtà farlo alla perfezione è impossibile, ma questo è un altro discorso). Queste "regole" non sono altro che delle assegnazioni fatte a priori, quindi se proprio vuoi la circolarità sta qui, ovvero nelle
interpretazioni, assegniamo un valore di verità $V$ alle proposizioni che affermano "è unico" di qualcosa che sappiamo già essere unico, ecc. Tutto questo viene prima della definizione formale di un insieme numerico. Quello che indichiamo con $1$ è un
simbolo che usiamo nel nostro
linguaggio formale, soggetto a determinate
regole che trovano interpretazione in un
modello. Per intenderci, tutto questo alla fine ci permette di scrivere \(1 = \{ \emptyset , \{ \emptyset \}\}\). Ciò non ha niente a che vedere con l'unicità di cui prima. Tuttavia, anche qui l'oggetto $1$ è costruito in modo da poter catturare e rappresentare nella nostra teoria la maggior parte delle proprietà che intuitivamente vogliamo che rispetti. Dopo questa gran fatica, una macchina di Turing sa "capire "$1$"" e lavorando con $1$ produce risultati che noi troviamo sensati anche appellandoci al nostro intuito, pur non trattandosi di un essere pensante, il che è una bella conquista.
Uno degli errori più comuni sta nel pensare che finché non definiamo rigorosamente degli enti astratti la realtà non abbia senso, in realtà è l'esatto opposto, noi abbiamo a che fare con una realtà estremamente complicata e costruiamo degli enti astratti per imparare a gestirla "un pezzo alla volta"
1. Un altro è quello di pensare che il linguaggio formale rappresenti precisamente le cose nebulose che abbiamo in testa. Anche questo è sbagliato, un linguaggio formale di per sé è vuoto e privo di qualsiasi significato empirico o ontologico; ovviamente se abbiamo sviluppato tale linguaggio lo abbiamo fatto per sfruttarlo, e infatti possiamo usarlo per modellizzare cose "concrete", ma si tratta di un modello, con tutti i limiti del caso, non si tratta della trasposizione perfetta dei nostri pensieri o della realtà. Un po' come la simulazione in scala, o la simulazione al computer di un fenomeno fisico non sono il fenomeno stesso. Si lavora per rendere il modello sempre più aderente a quel che vuol rappresentare
2, ma ciò non toglie che il modello resterà sempre un modello e la realtà una cosa ben diversa.
In tutto questo, la cosa bella del modello che abbiamo con fatica tirato su (oltre al fatto che è straordinariamente coerente) è proprio il fatto che "poggia sui suoi piedi" ed è anche bello stabile, non c'è niente di circolare alla base.
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Quanto riporto è la base comune sulla quale bene o male credo concordino un po' tutti. Da qui si possono aprire discussioni diverse, che esulano dall'interesse puramente matematico e di natura più
filosofica sulla natura del modello che studiamo e le meccaniche di tale studio, ma questa è un'altra storia, e ad ogni modo è praticamente indipendente da quanto ho scritto finora.
Immagino di essere stato ridondante e di aver ripetuto cose che avevo già scritto; me ne scuso, ma non saprei spiegarmi diversamente. Comunque, se ti interessa l'argomento ti consiglio di procurarti qualche testo di logica matematica, lì trovi tutto spiegato in maniera infinitamente migliore dei miei sproloqui scritti.
\( \displaystyle \mathbb{C}^{*} \! \cong \mathbb{R}^{+} \! \times \mathbb{R} / \mathbb{Z} \)
\( \displaystyle {\rm Hom}(A \otimes B, C) \cong {\rm Hom}(A, {\rm Hom}(B,C)) \)
«(...) per consegnare alla morte una goccia di splendore,
di umanità,
di verità...»