Re: 2+2=4

Messaggioda dissonance » 20/02/2015, 14:48

La mia impressione è che fai molti giri di parole per introdurre un concetto che in realtà è parecchio più semplice, quello dell'aritmetica modulare. Si tratta dell'aritmetica delle lancette dell'orologio, che tornano a 0 quando passano il 12. In questa aritmetica 13=1 (difatti uno può dire "sono le 13" oppure "è l'una", ed è la stessa cosa). Ma non occorre assolutamente tirare in ballo intelligenze artificiali, quarte dimensioni, fantascienze varie.
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Re: 2+2=4

Messaggioda stenford » 20/02/2015, 15:13

Riguardo l'esempio sì(in effetti non riuscirei a trovare un'esempio affine a ciò che voglio intendere per ovvie ragioni), ma il concetto che sta alla base e a qui stavo pensando in questi giorni ed a cui non sono arrivato ad una risposta era l'ultima parte, non l'esempio.
Cioè la matematica è creata e modellata comunque da come noi vediamo il mondo ed adoperando la logica arriviamo ad altri risultati(poi si possono raggiungere risultati anche contro intuitivi, ma sempre ragionando su ciò su cui possiamo avere esperienza come le rette parallele che si incontrano all'infinito).
Per esempio per l'aritmetica modulare noi vediamo l'orologio che partendo da 0 dopo aver contato 12 volte ritorna allo 0, cioè la base di tale idea è ricavabile da una percezione della realtà.
Quello che mi chiedevo era:
Se con un'altro modo di percepire le cose, fosse possibile arrivare a risultati diversi da come li concepiamo noi.
Credo sia una disquisizione prettamente filosofica, sull'univocità dei risultati data una famiglia di modi di percepire la realtà e l'utilizzo della logica.
Cioè cosa mi garantisce che se esistesse un'altra forma di vita che percepisce(termine stretto) il mondo diversamente da noi e raggiungesse,dato un modo di rappresentazione della realtà diversa dalla nostra, tramite l'utilizzo della logica a risultati in completa opposizione con i nostri che siano errati?
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Re: 2+2=4

Messaggioda Frink » 20/02/2015, 17:44

Ma non vedo nessun problema in quello che scrivi:

La matematica che usiamo noi parte da degli assiomi, e con il ragionamento deduttivo giunge a risultati validi in quel sistema assiomatico. Se un ipotetico mondo alieno percepisse la realtà in modo diverso, avrebbe a suo tempo posto assiomi diversi (sempre che questo sia vero, e non abbia invece posto gli stessi nostri assiomi, chissà).
In tal caso, basta "ricominciare" a fare matematica in quel nuovo sistema assiomatico, sviluppando una matematica diversa: se vuoi in piccolo è già stato fatto con le geometrie non euclidee.
Questo tuttavia non nullifica assolutamente la matematica che facciamo oggi. La nostra matematica ha valenza universale e perenne perché è opera di intelletto: le stesse premesse non sono basate sull'esperienza (anche se potresti obiettare che in parte lo sono, vedi gli assiomi geometrici) ma sono costruzioni mentali. Tutte le teorie da esse derivate sono coerenti con le premesse e quindi corrette ovunque nel tempo e nello spazio.
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Re: 2+2=4

Messaggioda Epimenide93 » 20/02/2015, 18:43

stenford ha scritto:Se con un'altro modo di percepire le cose, fosse possibile arrivare a risultati diversi da come li concepiamo noi.

Mai sentito parlare di logica quantistica?

Quanto al resto, non proverò a formulare una risposta articolata, per la mia concezione filosofica sono domande senza senso (niente di personale, sia ben chiaro).

Trovo in parte condivisibile il ragionamento di Frink, a meno di una sottigliezza: la correttezza della matematica è una cosa tautologica, la matematica è corretta perché siamo noi a decidere cosa considerare tale, a più livelli. Parlare di "valenza universale" mi sembra eccessivo a meno di non accettare a priori un qualche tipo di antropocentrismo (che comunque non mi disturba).
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Re: 2+2=4

Messaggioda stenford » 20/02/2015, 20:00

No purtroppo la mia ignoranza in questo campo è manifesta, comunque grazie per la spiegazione articolata frink!
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Re: 2+2=4

Messaggioda newton_1372 » 06/03/2015, 11:28

Non ho capito bene cosa volevate dirmi qualche giorno fa...volete dirmi che è possibile definire il concetto di "ESISTE ED E' UNICA" senza aver inventato l' "UNO"? E come?!
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Re: 2+2=4

Messaggioda Epimenide93 » 06/03/2015, 12:45

Provo a spiegarmi meglio, ma avrò delle difficoltà a non ripetermi. Come si può leggere qui, "A formal language is often defined by means of a formal grammar such as a regular grammar or context-free grammar, also called its formation rule". Ovvero un linguaggio formale è di per sé vuoto, privo di qualsiasi contenuto, ma fatto di regole che permettono di ottenere da "cose valide" in quel linguaggio "cose diverse e ancora valide". Le regole formali per l'espressione della proposizione "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere neanche col senso della frase. Una volta che abbiamo per le mani una teoria ed una interpretazione, possiamo parlare di valori di verità. Ancora, le regole formali per l'assegnazione di un valore di verità a proposizioni del tipo "Esiste un unico $x$ tale che $P(x)$" non hanno niente a che vedere con l'oggetto della teoria matematica che indichiamo con $1$. Ovviamente, visto che lo scopo con cui sviluppiamo la teoria è quello di formalizzare concetti empirici, un predicato di esistenza e unicità verrà definito in maniera tale che sia vero quando riflette la nostra idea intuitiva di "esiste, è unico". Chiaramente questa definizione fa appello alla nostra idea di "uno", ma il punto è che noi non siamo né macchine né oggetti matematici, l'uno empirico che abbiamo in testa è qualcosa di immediato, sì, ma privo di senso dal punto di vista dei linguaggi formali. Ripeto, una macchina di Turing non può "pensare ad "uno"". Noi sì, e definiamo delle regole in cui l'unicità abbia formalmente senso tutte le volte che lo ha empiricamente (in realtà farlo alla perfezione è impossibile, ma questo è un altro discorso). Queste "regole" non sono altro che delle assegnazioni fatte a priori, quindi se proprio vuoi la circolarità sta qui, ovvero nelle interpretazioni, assegniamo un valore di verità $V$ alle proposizioni che affermano "è unico" di qualcosa che sappiamo già essere unico, ecc. Tutto questo viene prima della definizione formale di un insieme numerico. Quello che indichiamo con $1$ è un simbolo che usiamo nel nostro linguaggio formale, soggetto a determinate regole che trovano interpretazione in un modello. Per intenderci, tutto questo alla fine ci permette di scrivere \(1 = \{ \emptyset , \{ \emptyset \}\}\). Ciò non ha niente a che vedere con l'unicità di cui prima. Tuttavia, anche qui l'oggetto $1$ è costruito in modo da poter catturare e rappresentare nella nostra teoria la maggior parte delle proprietà che intuitivamente vogliamo che rispetti. Dopo questa gran fatica, una macchina di Turing sa "capire "$1$"" e lavorando con $1$ produce risultati che noi troviamo sensati anche appellandoci al nostro intuito, pur non trattandosi di un essere pensante, il che è una bella conquista.

Uno degli errori più comuni sta nel pensare che finché non definiamo rigorosamente degli enti astratti la realtà non abbia senso, in realtà è l'esatto opposto, noi abbiamo a che fare con una realtà estremamente complicata e costruiamo degli enti astratti per imparare a gestirla "un pezzo alla volta"1. Un altro è quello di pensare che il linguaggio formale rappresenti precisamente le cose nebulose che abbiamo in testa. Anche questo è sbagliato, un linguaggio formale di per sé è vuoto e privo di qualsiasi significato empirico o ontologico; ovviamente se abbiamo sviluppato tale linguaggio lo abbiamo fatto per sfruttarlo, e infatti possiamo usarlo per modellizzare cose "concrete", ma si tratta di un modello, con tutti i limiti del caso, non si tratta della trasposizione perfetta dei nostri pensieri o della realtà. Un po' come la simulazione in scala, o la simulazione al computer di un fenomeno fisico non sono il fenomeno stesso. Si lavora per rendere il modello sempre più aderente a quel che vuol rappresentare2, ma ciò non toglie che il modello resterà sempre un modello e la realtà una cosa ben diversa.

In tutto questo, la cosa bella del modello che abbiamo con fatica tirato su (oltre al fatto che è straordinariamente coerente) è proprio il fatto che "poggia sui suoi piedi" ed è anche bello stabile, non c'è niente di circolare alla base.

Testo nascosto, perché contrassegnato dall'autore come fuori tema. Fai click in quest'area per vederlo.
Quanto riporto è la base comune sulla quale bene o male credo concordino un po' tutti. Da qui si possono aprire discussioni diverse, che esulano dall'interesse puramente matematico e di natura più filosofica sulla natura del modello che studiamo e le meccaniche di tale studio, ma questa è un'altra storia, e ad ogni modo è praticamente indipendente da quanto ho scritto finora.


Immagino di essere stato ridondante e di aver ripetuto cose che avevo già scritto; me ne scuso, ma non saprei spiegarmi diversamente. Comunque, se ti interessa l'argomento ti consiglio di procurarti qualche testo di logica matematica, lì trovi tutto spiegato in maniera infinitamente migliore dei miei sproloqui scritti.

Note

  1. questo porta alla nascita di gente come il sottoscritto che diventa un caso patologico e si interessa più agli enti costruiti ad arte che alla realtà che vogliono rappresentare :P
  2. e questo è il motivo per cui la gente come il sottoscritto non viene rinchiusa in manicomio
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Re: 2+2=4

Messaggioda newton_1372 » 07/03/2015, 08:01

Ma volendo essere piu concisi...come definisci il concetto di unicità senza usare la parola "UNO"? Il predicato esistenziale è definito a parte...adesso devo dire che quell'elemento, una volta trovato in quell'insieme, è unico...e non avendo ancora a disposizione i naturali, non posso usare la parola "uno"
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Re: 2+2=4

Messaggioda Epimenide93 » 07/03/2015, 16:43

Se hai un linguaggio dal primo ordine in su basta, dato un \(x_0\) che soddisfi \(P(x)\) (nessun problema in virtù dell'esistenza), imporre che ogni elemento distinto da \(x_0\) non soddisfi \(P(x)\).

Se avessi capito che per te il problema stava tutto qui sarei stato da subito più sintetico :-D

Ad ogni modo "uno" è una parola del metalinguaggio, non avrebbe comunque senso definire l'unicità in termini di "uno".
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