L'esistenza in matematica è fondamentalmente una idea, una immagine mentale. Possiamo ragionare in questo modo: quando si chiede di dimostrare che esiste un certo ente matematico, abbiamo una idea dell'oggetto e lo mostriamo. Diciamo: vedi, ora questo ente φ ha questa proprietà. Ma certe volte, in Matematica, c'è da mostrare che non è possibile fare una certa azione, come nel caso della topologia banale che rende un certo spazio connesso. Non è possibile ottenere lo spazio come aperti non vuoti digiunti. In questo caso come si immagina il processo? Non dev'esserci l'idea, in pratica. E allora io mi immagino di andare davanti all'insieme, che nella mia testa è disegnato in simboli come fosse sulla lavagna e con la mano dico ecco vedi che non ci riesco, vedi che non ci riesco. Ma a me non mi soddisfa questa cosa. Perchè? Perchè non rimango folgorato come quando ho l'idea di un oggetto esistente. È così bello ed evidente quando esiste una cosa, ho l'immagine dentro di me. Invece quando non esiste immagino sempre me stesso che con la mano non ce la fa, non ce la fa a tirare fuori quello che viene chiesto perchè non c'è e allora sono nervoso.
Provo a spiegarlo in un altro modo:
Immaginate una stanza. Nella stanza non c'è un certo oggetto, tipo un pallone. Per dimostrarlo cosa faccio? Cerco in tutta la stanza il pallone. Ho cercato dappertutto e non c'è. Poi mi fermo. E se non ho guardato bene? Allora mi viene l'affanno e continuo a cercare. Questa è l'immagine che ho quando devo provare la non-esistenza. Lo so che i due aperti disgiunti non ci sono. Ma poi penso e mi focalizzo e si, non ci sono. Poi non ci penso più. E non sono sicuro. Allora mi rifocalizzo e si non ci sono, c'è solo il vuoto e X. Dov'è lo sbaglio? Secondo me nel mio modo di ideare.