I bravi “educatori”, che siano professori, genitori, o esperti di didattica, da sempre non fanno che spingere gli studenti a dare il massimo, ad impegnarsi il più possibile nello studio, senza preoccuparsi del voto, senza dar peso ad un mero numero, a patto di fare un buon lavoro. L’attuale sistema scolastico, tuttavia, basato su crediti e debiti su cui si andrà a comporre parte del voto della maturità, nullifica i buoni propositi della precedente posizione, e conferisce grandissima importanza al singolo voto. Non sarà un voto alto a cambiarti la vita? Beh forse no, ma di certo la migliorerà.

Proprio in questi giorni, giorni di scrutini, si riapre il dibattito tra presidi e professori, quest’ultimi accusati di non usare nel giudizio tutti i voti concessi, arrivando ad assegnare mai, o quasi mai, voti come 9 o 10. Tutti abbiamo incontrato nella nostra carriera scolastica, almeno un prof che non conosceva altri voti superiori all’8. Ma i voti alti esistono, ed è giusto che vengano assegnati, per premiare i meriti e valorizzare i talenti, magari rendendo loro la vita più facile. Bisogna cambiare: si dia 10 a chi merita 10. L’appello dei presidi arriva dopo che l’Università Statale di Milano ha annunciato che il primo anno sarà gratis per i lodati alla maturità.
Interessante vero? Certo che sì, ma per prendere la lode alla maturità si arriva con la media del 9 per tre anni. E l’esito dell’esame di Stato oggi pesa per l’accesso a certe facoltà o per ottenere borse di studi e agevolazioni. Non è giusto che siano penalizzati gli studenti che nel loro percorso scolastico devono confrontarsi con professori poco propensi a dare voti alti.
Cosa faranno i presidi quando in certe sezioni, con certi insegnanti, ai nove e ai dieci non arriva mai nessuno? L’urgenza di provvedimenti è immediata. Si pensa ad una formazione specifica dei prof legata proprio all’attività di giudizio. Inoltre sul breve periodo il Miur sembra voler intervenire per stabilire nuove linee guida e griglie di valutazione che puntino alla valorizzazione dei talenti, piuttosto che all’arrotondamento delle insufficienze.

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