_antoniobernardo
(90 punti)
11' di lettura
3,5 / 5 (6)

Era a piedi; andava solo, col suo passo randagio; gli occhi perduti nei suoi sogni perenni, che li velavano di nebbie azzurre. Era vestito come tutti gli altri, ma sembrava nella folla, un mendicante; e, sembrava, nel tempo stesso, anche un re. Un re in esilio

Natalia Ginzburg descrive così Adriano Olivetti nel suo romanzo "Lessico famigliare".

La madre valdese (Luisa Revel), il padre (Camillo) di origine ebraica, Adriano aveva un'intelligenza intuitiva, quasi profetica.

E come un patriarca biblico guidò il suo popolo (manager e operai amarano identificarsi come gli olivettiani).

Adriano si laurea al Politecnico di Torino in Chimica industriale e viene inviato dal padre negli Stati Uniti per aggiornarsi sulle nuove tecniche gestionali. Nel 1924, inizia il suo percorso nell'azienda paterna, come operaio apprendista. L'esperienza lavorativa segna la sua vita di uomo e di imprenditore, tanto che, diversi anni più tardi, quando ormai la Olivetti è un colosso internazionale ricorda quei giorni dicendo: "Per lavorare in azienda bisogna capire il nero dei lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager. Non si può dirigere se non si sa cosa fanno gli altri."

Negli anni '40, la Olivetti entra nel mercato delle macchine calcolatrici, fino ad allora dominato da produttori americani. Durante la guerra un operaio con la 5° elementare, Natale Capellaro che era stato assunto dall'ing Camillo, è fermato all'uscita dal lavoro. Sta portando via senza autorizzazione materiali di laboratorio. Perciò viene sospeso dal lavoro. Adriano Olivetti lo convoca per chiedergli conto dell'accaduto. E Capellaro tranquillamente gli parla: da anni è costretto a collaborare con ingegneri troppo legati ai loro schemi, incapaci di soluzioni innovative. Mostra il progetto di una nuova macchina, al quale ha lavorato a casa, in segreto. Per questo ha avuto bisogno di portare fuori attrezzi e materiali. Olivetti, che conosce l'uomo, intuisce le potenzialità dell'idea e lo invita a proseguire. Capellaro è un lavoratore e progettista insaziabile. Il suo cassetto è pieno di schizzi; per lui tempo libero e lavoro si identificano. A lui si devono la progettazione della Divisumma 24 e di altre calcolatrici di successo, divenne direttore generale tecnico e ricevette nel 1962 la laurea in ingegneria, honoris causa, dall'università di Bari.

Proprio le macchine da calcolo furono un pilastro del successo economico della Olivetti, i ricavi da esse prodotti erano cinque o sei volte i costi necessari a produrle ed il motivo di questo elevato margine di contribuzione era molto semplice: nel mondo Olivetti era l'unica azienda in grado di mettere sul mercato macchine di quel tipo.

"Fra il 1928 e il 1934, la fabbrica subisce una lunga crisi interna. È una trasformazione totale dei sistemi direttivi. La fabbrica aveva raggiunto, prima di quei tempi, un alto equilibrio umano. Erano i tempi di mio Padre e di Domenico Burzio, un binomio per me inscindibile. Io allora ero molto giovane e non avevo capito di loro che una parte. Vi era una realtà nel loro esempio, nel loro modo di affrontare i problemi della fabbrica, che sfuggiva a un esame razionale, a un esame unitario, a un esame che volesse confrontare le cose col metro dei raffronti, che volesse paragonare le cose soltanto dai risultati. Questo qualcosa, l'ho detto, era invisibile ed era la loro grandissima umanità, per cui nella loro superiorità, quando discutevano o esaminavano il regime di vita o il regime di fabbrica, ciascun lavoratore era pari a loro, era un uomo di fronte a un uomo. Ma allora la fabbrica aveva 600 operai. Il regime dell'economia, il regime dei mercati, il regime di concorrenza esigevano un rinnovamento, esigevano di incamminarci su una strada nuova, verso l'idea di una grande fabbrica. C'era al di là dell'Atlantico il modello, c'era una spinta quasi inesorabile ad andare verso un nuovo stato di cose più grande, più efficiente, dove molti più lavoratori avrebbero trovato ragione di esistenza. Ma mio Padre esitava, perché – e me lo disse per lunghi anni e per lunghi momenti – la grande fabbrica avrebbe distrutto l'Uomo, avrebbe distrutto una possibilità di contatti umani, avrebbe portato a considerare tutto l'ingranaggio umano come un ingranaggio meccanico. Ogni uomo come un numero. Ma il cammino aperto si dispiegò ugualmente. La fabbrica aveva la sua logica e questa logica si sviluppò inesorabilmente. Nel 1934 gli operai salgono a 1.200, nel 1937 a 2.000, nel 1940 a 3.000. La macchina scientifica si era messa in moto, gli uffici tecnici si ingrandivano, nuovi prodotti erano studiati, erano messi in produzione, erano venduti. Ogni anno gli architetti studiavano degli ingrandimenti. C'era qualche cosa di bello in questo, c'era un certo orgoglio nel vedere dalla vecchia fabbrica di mattoni rossi uscire queste grandi vetrate moderne. E a poco a poco delinearsi la fabbrica come è attualmente." Adriano Olivetti (1901 -1960) dal discorso ai dipendenti del Giugno 1945.

"La macchina scientifica" che Adriano aveva messo in moto era quella della teoria e pratica della gestione e organizzazione aziendale basata sullo "scientific management" di Taylor ma anche sulla nuova scuola delle "human relations" di Mayo. olivetti.pngIl risultato fu una particolare attenzione alla qualità dei prodotti al design e alla soddisfazione di tutti gli stakeholders: l'azionista, i dipendenti, i clienti, i fornitori, il tessuto sociale del canavese, ecc. L'apporto fondamentale è nella visione imprenditoriale della centralità del progresso tecnico nel mondo contemporaneo. Ne deriva, come imprenditore, la convinzione che fare impresa significa partecipare direttamente, come interprete attivo, al progresso tecnologico. Consegue, per la politica, la necessità di far fruttare tale progresso per il bene comune, dunque per essere all'altezza dei problemi che il progresso stesso pone alla società. Nessuna ombra di sospetto nei confronti di scienza e tecnologia. Nessun timore che esse possano diventare una fonte quasi inevitabile di mali sociali, nessuna insomma delle apprensioni che spesso si colgono nei discorsi di stampo conservatore, populista e larvatamente reazionari, oppure nelle perorazioni della sinistra luddista. Ovvero, come avviene nel clima di superficiale indifferenza al quale non sono estranee neppure le aree cosiddette riformiste. C'è piuttosto consapevolezza piena che le potenzialità del progresso scientifico e tecnico vanno colte, assecondate, indirizzate, cioè governate. Di qui, l'insistenza forte per un sistema di istituzioni democratiche diverso da quello ereditato dallo Stato prefascista.

Uno degli argomenti principali della critica olivettiana alle istituzioni della vecchia democrazia parlamentare è, che esse non si sono dimostrate capaci di dialogare in modo dinamico e costruttivo con il mondo della scienza e della tecnica. Adriano attrae alla Olivetti, oltre agli ingegneri: economisti, psicologi, sociologi, letterati, artisti, architetti, urbanisti, ecc. e fonda il movimento politico denominato "Comunità". Nella democrazia delle comunità si accresce l'apporto della cultura, si aprono e diffondono canali di conoscenza, viene favorito il confronto informato fra i politici nell'ambito degli ordini, si amplia la presenza costante dei cittadini. (Cfr. Costruire le istituzioni della democrazia: la lezione di Adriano Olivetti, Sergio Ristuccia, Marsilio, Venezia 2009).

Nell'esilio in Svizzera, durante la seconda guerra mondiale, Adriano appronta il saggio "L'ordine politico della comunità" ma il vero motore dello sviluppo economico e sociale resta per lui l'impresa. La sua azienda diventa nel dopoguerra un modello per l'eccellenza tecnologica e per l'organizzazione del lavoro: L'organizzazione informale è altrettanto importante di quella formale e i rapporti orizzontali sono diffusi quanto quelli verticali; nel 1948 viene istituito il Comitato di Gestione per i servizi sociali e l'assistenza (unico esempio di organo paritetico tra datori di lavoro e dipendenti); nel 1956 la Olivetti riduce la settimana lavorativa da 48 a 45 ore, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro; nel Canavese partecipa alla realizzazione di quartieri residenziali per i dipendenti, di musei, biblioteche, mense, colonie (Massa e Brusson). Nel solco della vocazione all'innovazione furono poi costruite le residenze di "Talponia" e "Canarinia" ed anche un carcere modello ad Ivrea. Crescono le quote di mercato, la produttività , la redditività assieme alla vocazione nazionale ed internazionale dell'azienda: in Italia Olivetti apre stabilimenti a Pozzuoli, Agliè e Scaramagno, in Sud America vi sono stabilimenti in Argentina e in Brasile, filiali erano presenti negli USA, Canada e Germania, ecc.

La ricerca sui calcolatori elettronici viene effettuata negli Stati Uniti e a Pisa portando nel 1959 alla realizzazione, nei laboratori di Borgolombardo, dell'Elea 9003 il primo computer commerciale funzionante interamente a transistor (dopo l'invenzione di Shockley nel 1948 del transistor, il primo computer sperimentale funzionante parzialmente a transistor era stato messo a punto nel 1955 dai laboratori Bell negli USA). Nel 1959 viene acquistata la Underwood (11.000 dipendenti) che negli Stati Uniti ha una grande rete commerciale per la vendita delle macchine da ufficio.

Adriano muore improvvisamente a 59 anni durante un viaggio in treno tra Milano e Losanna. Lascia un impresa presente su tutti i mercati più importanti con 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all'estero. Solo oggi, forse, si comprendono appieno i suoi contributi alla visione delle soluzioni ai problemi delle organizzazioni aziendali:
1) Valori immateriali (lo spirito imprenditoriale, il sapere, la cultura, la capacità di innovare).
2) Priorità ai giovani (energia, capacità di creare) e valorizzazione degli anziani (esperienza).
3) Attenzione al capitale intellettuale (Olivetti progettava e vendeva intelligenza e competenza).
4) Organizzazione piatta. Fecondità delle strutture informali.
5) Importanza della immagine, comunicazione e design.
6) Responsabilità sociale dell'impresa, sostenibilità.
7) Intuizione dell'importanza dell'information technology.