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Marco
Il the inglese uccide Cameriero
Le sue formule ed i suoi calcoli rimangono preziosissime perle, che i matematici avrebbero
impiegato anni per estrarre, per dimostrarle.
Ancora oggi alcune sue intuizioni lasciano sconcertati ed increduli e molte delle teorie
matematiche moderne basano il loro fondamento su quei veri e propri “lampi di genio”.
Senza insegnamenti, senza laurea, solo con la "Synopsis", la lavagnetta o la carta che non
bastava mai (la riutilizzava con inchiostro diverso), Ramanujan aveva imparato, da solo, a fare
matematica come nessun altro sapeva:
"Sto tracciando un nuovo percorso tutto mio", avrebbe scritto.
Senza soldi e senza lavoro, la madre Komalatammal gli diede in sposa una bambina di nove
anni, Janaki. Iniziò allora un periodo di peregrinazioni da una città all'altra, in cerca di un lavoro,
presentandosi da personaggi ritenuti influenti, con gli incomprensibili quaderni per curriculum e
a volte senza i soldi per il cibo o il treno. Alla fine Ramanujan, il più grande matematico indiano,
uno dei più originali di sempre, trovò un lavoro a Madras come ... contabile!
Contabile? Contabile a 20 sterline l’anno...
Un genio messo lì a fare “2 casse + 5 casse + n casse...”, bah !!!
Ramanujan era ben consapevole che quello non era il suo posto, ardeva dal desiderio di poter
mostrare i suoi lavori e le sue intuizioni a persone realmente competenti, che potessero valutarle
e apprezzarle. Consigliato, scrisse quindi la “Lettera” e la inviò a quelli che in quel periodo erano
considerati i matematici più eminenti.
Alcuni bollarono i contenuti come astrusi e bizzarri (non solo alcuni maestri non “capiscono un
tubo”), ma Hardy no! Beh! Sì, forse, in un primo momento, ma poi...
Ma torniamo in Inghilterra a vedere cosa combinano i due illustri matematici alle prese con
quelle intricate diramazioni e “labirintose” sequenze di serie e formule numeriche a volte appena
accennate, altre talmente contorte da doverle decifrare.
I due sembrano ragazzini “ipereccitati” alle prese con un nuovo gioco:
H. - “Qui dice di riuscire a calcolare il numero di partizioni per ogni numero intero...”
L. - “Spostati. Fai vedere anche me”
H. - “Leggi. Leggi. In questa pagina sostiene di riuscire a calcolare la quantità di numeri primi
minore di X. Assurdo! Allora Gauss, e Riemann e noi... noi che abbiamo fatto in questi ultimi
anni? Quali Dei lo ispirano?”
L. - “Non facciamoci ingannare da queste formulazioni a dir poco fantasiose. Metodo, metodo e
dimostrazione.”
H. - “Già le dimostrazioni! Io non ne vedo alcuna. Qui urge che il ragazzo ci porga delle
spiegazioni!“
Dopo varie discussioni e supposizioni, decisero di rispondere alla lettera:
“Gentile sig. Ramanujan, i contenuti della sua missiva risultano davvero interessanti ma
necessiterebbero di ulteriori dettagli e non di meno di dimostrazioni. La prego di voler accludere
nella sua prossima, anche le necessarie dimostrazioni. Le sue ipotesi ...”
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Seguirono altre lettere ed altre risposte, ma, per quanto Ramanujan cercasse di esaudire le
richieste di Hardy, quest’ultimo non era soddisfatto; per lui le dimostrazioni erano una vera e
propria ossessione. Una volta, durante una sua conversazione con un collega disse:
“ Se io riuscissi a dimostrare con la logica che tu morirai entro cinque minuti, sarei addolorato
per la tua morte imminente, ma il mio dolore sarebbe molto mitigato dal piacere della
dimostrazione“
Hardy aveva compreso che si trovava di fronte ad un vero genio, che però, a causa della sua
precaria istruzione e formazione, parlava un “linguaggio matematico” personalissimo ed a volte
incomprensibile. Necessitava, secondo lui, che fosse incanalato verso canoni matematico-
espressivi consoni ed ufficiali; era chiaro che, benché traboccasse di talento, Ramanujan aveva
un disperato bisogno di essere aggiornato sullo stato attuale delle conoscenze.
Così sia Hardy che Littlewood decisero che avrebbero cercato di fare il possibile per portare
Ramanujan a Cambridge. Inviarono in India E. H. Neville per convincere Ramanujan a seguirlo
in Inghilterra, ma questi, bramino praticante, era riluttante, la sua religione gli impediva di
attraversare i mari. Fu un amico che si rese conto che, nonostante gli impedimenti imposti dalla
sua fede, Ramanujan desiderava ardentemente di potersi confrontare direttamente con i
matematici inglesi.
Escogitò così un piano: lo portò al tempio di Namagiri a cercare ispirazione divina e dopo tre
notti passate a dormire sul pavimento del tempio, Ramanujan si svegliò improvvisamente e disse
all’amico: “ Ho visto in un lampo di luce splendente, Namagiri che mi ha ordinato di attraversare
il mare “.
La sua Dea e musa ispiratrice lo aveva quindi messo su una nave il 17 marzo 1914 e dopo circa
un mese, Ramanujan arrivò a Cambridge, nel “tempio” della Matematica di quel periodo.
Me lo immagino come un personaggio di quei documentari storici in cui i protagonisti, emigranti
in cerca di lavoro, scendono dal treno con il loro carico di valige di cartone legate a doppio
spago, frastornati dal viaggio, ma soprattutto dall’assordante rumore della “civiltà”.
Confuso, emozionato ed agitato, si presenta al cospetto del grande matematico inglese.
Ebbe così inizio una delle più grandi collaborazioni della storia della Matematica.
Ramanujan iniziò ad aprire la sua mente ad Hardy; questi intuì ben presto che il piccolo indiano
non aveva nessuna idea di cosa fosse una dimostrazione, perché aveva studiato soltanto su un
manuale di formule, e i suoi risultati li otteneva in maniera quasi inconscia.
Un compagno di scuola ricorderà di averlo visto spesso alzarsi a metà della notte per scrivere le
formule che aveva sognato. Lui stesso precisò che l'ispirazione onirica gli veniva dalla dea
Namagiri, o che il dio Narasimha gli mostrava nel sonno dei rotoli, dei quali al risveglio egli
riusciva a trascrivere soltanto una piccola parte.
Il sodalizio tra Hardy e Ramanujuan, per quanto stimolante, risultava problematico
a causa di un evidente contrasto culturale. Gli incontri e le loro discussioni matematiche, spesso
si riducevano a dei monologhi in cui l’indiano sciorinava sempre nuove teorie ed idee; fu proprio
Hardy che una volta osservò: “Sembrava ridicolo angustiarlo domandandogli come avesse
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scoperto questo o quel problema noto, quando lui me ne mostrava una mezza dozzina di nuovi
quasi ogni giorno”. L’inglese scoprì che dare un’educazione matematica a Ramanujan era una
vera e propria impresa di equilibrismo, temeva infatti che, se lo avesse costretto a cercare anche
le dimostrazioni delle sue teorie, l’incantesimo si sarebbe potuto spezzare.
Chiese a Littlewood di provare a farlo familiarizzare con il rigore matematico occidentale, ma
anche questi ben presto si arrese: “ Come si fa ad insegnare qualcosa a qualcuno che in risposta
alle domande presenta valanghe di idee originali che ti bloccano immediatamente?”.
Cerchiamo di immaginare bene la situazione.
Ramanujan si trovava lontano dalla sua casa e dai suoi affetti, in un paese straniero in cui, clima
ed abitudini alimentari lo costringevano a grossi sacrifici, parlava un linguaggio matematico che
nessuno comprendeva, ma...
Ne fa una precisa descrizione proprio Neville, il suo accompagnatore durante il viaggio verso la
civiltà matematica occidentale: “Soffriva le piccole pene della vita in una civiltà straniera, il
gusto sgradevole di verdure a cui non era avvezzo, le scarpe che gli tormentavano i piedi , tenuti
liberi per ventisei anni... Ma era un uomo felice, che trovava gioia nella società matematica in
cui stava facendo il suo ingresso”.
Ogni giorno girovagava per il college, goffo ed in ciabatte (aveva avuto una dispensa), ma
appena si accomodava nell’ufficio di Hardy, con i suoi quaderni aperti davanti a sé, poteva
finalmente rifugiarsi tra le braccia delle sue equazioni e formule, e Hardy lo fissava perso nella
rete dei suoi magici teoremi.
Finalmente il matematico inglese poteva cercare di approfondire e chiarire i contenuti dell’ormai
famosa lettera, direttamente con l’autore.
Chiaramente la sua attenzione fu sin da subito per quell’affermazione che l’indiano aveva fatto
riguardo ai numeri primi e che non era mai stato in grado di dimostrare.
Capì però ben presto che la teoria di Ramanujan non era la soluzione che cercava, ormai da anni,
per scardinare con una formula l’ipotesi di Riemann e, in qualche modo, cercò di dissuadere il
giovane dal continuare a cercare una soluzione ad un problema “impossibile da dimostrare”.
Trasferì, inconsapevolmente, i suoi “dogmi”, le sue paure e quelle della matematica occidentale,
sul matematico indiano, che quindi non continuò la sua ricerca di una soluzione al problema.
“Il the inglese”, caldo, se non addirittura bollente, con il suo vapore intenso, aveva creato una
“cappa” densa e tenebrosa tale da oscurare la visione ottimistica di Ramanujan.
Si possono fare solo supposizioni su ciò che Ramanujan avrebbe potuto scoprire se non gli fosse
stata trasmessa la “paura” per i numeri primi.
Eppure il giovane genio indiano aveva sempre avuto una visione della matematica e dei suoi
numeri come di qualcosa di raggiungibile ed afferrabile, di cui godere con gioia svelandone i
segreti; non aveva mai avuto nessun timore referenziale.
Fu proprio l’ingenua fiducia di Ramanujan nell’esistenza di formule esatte per esprimere
importanti sequenze numeriche, come quella dei numeri primi, ad aprire la strada verso la
dimostrazione della congettura di Goldbach, già presente nelle undici pagine della “Lettera”;
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Il the inglese uccide Cameriero
l’ormai ex contabile di Madras aveva affermato di poter generare la sequenza delle partizioni di
un numero intero.
Altro problema fino ad allora rimasto indomato.
Quanti modi diversi ci sono di dividere cinque pietre in pile diverse?
Sembra uno di quei problemi che si danno a scuola per stimolare i ragazzini a contare e a trovare
insiemi diversi.
Il piccolo Ramanujan, nel suo paesello indiano, non avendo altro con cui giocare, si divertiva a
contare le pietre, ma non si limitava al semplice
“1 pietra, 2 pietre, 3 pietre …” o “1 pietra + 3 pietre = 4 pietre ...“.
No! Dalla sua fantasia, curiosità e ricerca di risposte, era scaturito un bel giochino:
“ “
IMPILIAMO LE PIETRE
Giocando giocando, con numeri sempre più grandi, visto che spesso le pietre a disposizione non
bastavano, il ragazzino aveva pensato bene di trovare un sistema che gli permettesse di impilare
le pietre, anche quelle che lui “immaginava” di avere, in modo veloce e soprattutto cercando di
prevedere il numero di soluzioni.
Per i curiosi, queste sono le partizioni dei primi numeri fino al 15
numero 1 2 23 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
partizioni 1 2 3 5 7 11 15 22 30 42 56 77 101 135 176
Aveva accennato di questo suo “sistema” ad Hardy, e lavorandoci un po’ sopra, con il genio di
Ramanujan e la competenza formale dell’inglese, i due ricavarono, questa volta, una formula
eccezionale che consentiva di ottenere il giusto numero di partizioni di un numero.
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1
π −
n 2
24
−
cosh 1
k 3
1
−
1 d
( ) ∑ ∑ ω π
−
= +
hn
2 i k
4
p n k e O n
π h , k
dn
2 1
≤ ≤ −
1 k N h mod k n
24
Guardando questa formula si rimane stupefatti ed increduli: come può essere stata mai
concepita?
Ho provato solo a riscriverla, utilizzando i migliori editor matematici in circolazione e non ci
sono riuscito; dico riscriverla, copiarla. Niente.
, , differenziali, funzioni trigonometriche, numeri immaginari ...
π
2
Littlewood ebbe a dire: “Dobbiamo il teorema ad una collaborazione eccezionalmente felice fra
due uomini dotati di talenti assai dissimili, alla quale ciascuno diede il contributo migliore, più