_stan
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Ogni qual volta si ascolta una notizia al telegiornale si apprende della messa in atto di azioni violente: mariti che uccidono le mogli, madri che sgozzano i figli, popoli che combattono barbaramente gli uni contro gli altri. Io ritengo che la violenza non porti mai a nulla di buono, ma che anzi alimenti sempre più l’odio verso il prossimo. Il Novecento è stato un secolo molto violento, in cui si sono combattuti atroci conflitti che hanno generato morte e distruzione in tutto il pianeta.
Ma non sono mancate, per fortuna, forme di opposizione a carattere pacifico. Esse si sono sviluppate soprattutto in India e America. In India il promotore della politica della non violenza è stato Gandhi. Egli, in Antiche come le montagne, fa una differenza fra chi pratica la violenza e chi invece no. Afferma che l’aggressività è una legge propria dei bruti, i quali conoscono solo la forza fisica, mentre la non violenza è la legge di tutta la specie umana e, quindi, è praticabile da tutti, non solo da santi e saggi. Essa è una vera e propria religione e consiste nell’opporsi al sistema non praticando atti brutali, ma avendo la consapevolezza della propria forza salvando dal dispotismo il proprio onore, la propria religione e la propria anima. Si tratta, quindi, di una presa di coscienza della propria forza interiore che riesce a minare le basi dell’impero. Praticando la non violenza, l’India è riuscita ad affrontare l’Inghilterra arrivando alla propria indipendenza. Mentre in India si combatteva per l’autonomia, negli Stati Uniti era in atto uno scontro tra bianchi e neri. I neri erano discriminati dai bianchi, non avevano diritti e venivano sfruttati in ogni modo. Ad un certo punto, essi hanno cominciato a rivendicare i propri diritti. La loro guida è stata Martin Luther King. Egli, in un suo celebre discorso, ha invitato i suoi seguaci a conquistare i propri diritti non utilizzando la violenza, ma facendo perno sulla dignità e la disciplina. Questo perché la forza dell’anima è più forte di quella fisica ed è l’unica che può permettere di raggiungere giustamente una vera e propria democrazia.

La politica della non violenza si è sviluppata all’indomani di sanguinosi conflitti mondiali. Il Novecento ha visto combattere due terribili e massacranti guerre a distanza di pochi anni l’una dall’altra, mentre altri violentissimi combattimenti si sono avuti per l’indipendenza di alcuni stati. Il primo conflitto mondiale è stato combattuto all’inizio del XX secolo e ha portato molte innovazioni nel modo di combattere. A prendere parte agli scontri, per la prima volta nella storia dell’umanità, sono stati tutti gli uomini (non solo coloro che potevano permettersi di comprare l’armatura come avveniva nei secoli precedenti). Inoltre sono stati fatti progressi anche nelle armi: per la prima volta si sono usati armi di distruzione di massa potenti (come, ad esempio, il carro armato, gli aerei o le mitragliatrici) che hanno causato un numero di vittime più elevato rispetto ai conflitti del passato. L’uomo è venuto a conoscenza di una violenza inaudita: era costretto a sparare al nemico per conquistare pochi metri di terra (si combatteva, infatti, nelle trincee) e combatteva accanto ai corpi martoriati dei propri compagni in condizioni climatiche e igienico-sanitarie alquanto precarie. La guerra, quindi, ha lasciato segni indelebili in chi l’ha combattuta. Infatti coloro che sono riusciti a ritornare dalla guerra hanno continuato a mettere in atto azioni violente. Come afferma George L. Mosse in Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, anche alla fine del primo conflitto mondiale tutti i paesi sono stati invasi dal processo di brutalizzazione. Questo perché era stata accettata l’idea stessa di guerra e perché quest’ultima aveva sviluppato un nuovo atteggiamento mentale. Stavolta il nemico da combattere era interno, cioè la politica. Ecco perché, negli anni immediatamente successivi la Prima Guerra Mondiale e precedenti la Seconda, si è avuta una diffusione della criminalità e dell’attivismo politico.

Come afferma Walter Benjamin in Per la critica della violenza, la violenza minaccia soprattutto il diritto. L’unico ambito, però, in cui essa può ancora manifestarsi secondo l’ordinamento giuridico è quello della lotta di classe. Essa utilizza come “arma” lo sciopero, anche se è discusso se il non agire (e, quindi, lo sciopero) possa essere considerato violenza. Sta di fatto che esso nel tempo è stato concesso ai lavoratori dagli stati.

Io concordo con la politica della non violenza perché sono fermamente convinto che col dialogo possano risolversi numerosi problemi in minor tempo rispetto a quanto ne occorrerebbe con l’uso delle armi.