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La Terra, l’unico pianeta finora conosciuto in grado di ospitare forme di vita, negli ultimi anni sta mostrando i segni della sua fragilità. Per molto tempo si è ritenuto che essa sia sempre in grado di soddisfare le richieste dei suoi abitanti, ma purtroppo non è così. A partire dalla rivoluzione industriale, gli equilibri uomo-ambiente si sono modificati notevolmente e ad avere la peggio, in nome di un sempre maggiore benessere, è stato il nostro pianeta.
Oggi si sente parlare molto di inquinamento nelle sue diverse forme (acqua, aria, suolo) e ci si sta rendendo conto che la Terra non ce la fa più a sostenere i ritmi di crescita che l’uomo le impone. Stanno nascendo così gravi problemi che, a lungo andare, rischiano di mettere in serio pericolo la sopravvivenza delle specie viventi sul pianeta. Come afferma Wolfgang Behringer in Storia culturale del clima, i colpevoli dei cambiamenti che stanno avvenendo sulla Terra non sono solo le grandi industrie, ma siamo tutti noi. Secondo Behringer, l’uomo ha iniziato a prendere coscienza della fragilità della Terra dal 1969, anno in cui la si è osservata dalla Luna. Hanno assunto, quindi, importanza temi come la protezione dell’ambiente e della natura. L’uomo, infatti, sta danneggiando irrimediabilmente ciò che lo circonda ed è necessario che prenda coscienza di ciò. Utili in questo senso sono le campagne di sensibilizzazione sui problemi che stanno mettendo a serio rischio l’equilibrio del nostro pianeta. Oggi non si parla più solo di disboscamento o del buco dell’ozono, ma si discute soprattutto sul surriscaldamento globale. I suoi effetti sono sotto gli occhi di tutti: si sta assistendo alla progressiva scomparsa delle stagioni intermedie (autunno e primavera), i livelli dei mari si stanno innalzando a causa dello scioglimento dei ghiacciai, molte specie sono a rischio estinzione perché il loro habitat viene modificato dalle alte temperature. Tutti noi siamo responsabili di questo cambiamento, dal «boscimano sudafricano, che incendia la savana per cacciare o per guadagnare terreno coltivabile, al fazendero argentino, i cui manzi producono metano, al coltivatore di riso a Bali e al banchiere cinese, che fa i suoi affari in uno studio dotato di aria condizionata». A peggiorare la situazione è il ritmo di crescita della popolazione mondiale. Come afferma Amartya Sen in Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, in poco tempo il numero di abitanti del nostro pianeta è aumentato notevolmente: basti pensare che solo nel decennio 1980-1990 il pianeta è cresciuto di 923 milioni di unità. Le risorse della Terra, dunque, non bastano per soddisfare le esigenze di tutti. Si rischia, a lungo andare, di esaurirle, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dell’uomo. Come afferma Jacques Attali in Domani, chi governerà il mondo?, compito dell’uomo di oggi è porre l’attenzione sulle generazioni future per garantire che anch’esse possano esercitare i loro diritti attingendo alle risorse che la Terra mette a disposizione. Il nostro pianeta, infatti, è la casa di tutte le specie viventi e umane sia odierne che future. Attali, inoltre, afferma che tutti gli uomini devono avere una “cittadinanza mondiale” e, quindi, devono sentirsi a casa propria sulla Terra. Come sostiene Luce Irigaray in Condividere il mondo, bisogna che tutti accettino chi è diverso da loro perché il mondo appartiene a tutti e tutti sono il ponte fra la natura e la cultura. Solo se si accetta l’altro si giungerà ad una democratica mondializzazione.

Cosa fare affinché la Terra possa garantire anche alle generazioni future la sopravvivenza? Come afferma Sen nella medesima opera, bisogna interrogarsi seriamente sulla necessità di un intervento pubblico che agevoli il rallentamento della crescita demografica. Oggi, infatti, il ritmo di crescita della popolazione è calato. Io ritengo che sia necessario che ognuno di noi cominci a rispettare ciò che lo circonda compiendo piccoli gesti quotidiani, come fare una corretta raccolta differenziata e evitare gli sprechi di acqua ed energia. Dobbiamo avere la consapevolezza che le risorse della Terra sono limitate e che, se esse finiranno, non sarà più possibile la sopravvivenza delle specie. Bisogna, dunque, che si mettano da parte gli interessi economici in nome del perdurare della vita sul nostro pianeta.