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Alcuni degli eventi più tragici della storia contemporanea sono stati causati da omicidi di uomini illustri. È il caso, ad esempio, dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Causa scatenante dell’inizio del conflitto fu, infatti, l’uccisione dell’erede al trono asburgico, l’arciduca Francesco Ferdinando, a Sarajevo il 28 giugno 1914. Come ricorda Rosario Villari in Storia contemporanea, l’assassinio fu compiuto per ano di uno studente serbo.
L’Austria, quindi, mandò un ultimatum alla Serbia, al quale fece seguire, dopo poco più di un mese, la dichiarazione di guerra. Si mise in moto il sistema di alleanze allora vigente: i paesi della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia) si trovarono a fronteggiarsi contro quelli della Triplice Alleanza (Austria e Germania). L’Italia, pur facendo parte dell’Alleanza, si dichiarò inizialmente neutrale perché il trattato era a scopo difensivo e non offensivo: avrebbe dovuto, cioè, partecipare ai combattimenti nel caso in cui l’Austria o la Germania fossero state attaccate, mentre invece in questa occasione era stata l’Austria a dichiarare guerra. Purtroppo conosciamo tutti ciò che devastò l’Europa in quattro anni di guerra: dal 1914 al 1918 il vecchio continente fu teatro di sanguinosi combattimenti che lasciarono sul terreno numerosissime vittime che si battevano per la conquista di pochi metri di terra. Questo nuovo tipo di guerra, combattuta per la prima volta da tutti i cittadini maschi, nelle trincee in condizioni igienico-sanitarie precarie e con nuove armi, fu definita dal papa di allora, Benedetto XV, un’“inutile strage”. Alla fine del conflitto, di cui risultarono vincitori i paesi dell’Intesa e l’Italia che era scesa in campo al loro fianco, l’Europa si trovò ad avere un nuovo volto politico. Al primo conflitto mondiale seguì un periodo di agitazioni politiche in tutti i paesi: i governi non riuscivano a fronteggiare queste nuove situazioni e, in particolare in paesi come Germania con Hitler, Spagna con il generale Franco, Russia con Lenin e Italia con Mussolini si giunse alla formazione di veri e propri regimi totalitari (anche se in Italia si parla di “totalitarismo imperfetto” perché tutte le decisioni del duce erano comunque sottoposte alla sorveglianza del re). Emblematico è ciò che avvenne in Italia in occasione delle lezioni politiche del 1924. Come ricorda Giuliano Procacci in Storia degli italiani, nell’aprile del 1924 si tennero delle elezioni politiche caratterizzate dall’«intimidazione e della violenza nei confronti degli avversari politici e di un ritorno di fiamma dello squadrismo». Vincitori di queste elezioni fu il partito fascista, ma i brogli vennero denunciati in Parlamento da Giacomo Matteotti. In seguito a queste sue accuse, il deputato socialista fu rapito a maggio e fu ritrovato cadavere pochi mesi dopo in una macchina nella campagna romana. Era chiaro a tutti che era stato il partito fascista a commettere questo omicidio. Perciò Mussolini, il 3 gennaio 1925, si presentò alla Camera per assumersi tutte le responsabilità dell’omicidio. L’atto più importante, però, fu quello di sfidare la Camera a metterlo sotto lo stato di accusa. La Camera non lo fece segnando, in questo modo, la fine dello stato liberale e l’inizio della creazione dello stato totalitario in Italia. La violenza in Italia continuò anche dopo la fine del secondo conflitto mondiale. L’Italia dovette ripartire da zero, si ricostruì per intero lo stato e la sua nuova forma di potere. Un referendum del 1946 decretò la fine della monarchia (con conseguente esilio del re) e l’inizio della Repubblica. I nuovi partiti politici ricostruirono le basi dello stato democratico. Nel 1948 entrò in vigore la nuova costituzione. Negli anni successivi l’Italia conobbe sviluppo e crescita grazie soprattutto all’azione della Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi. Ma le violenze non finirono. Infatti, come ricorda un articolo di Roberto Raja pubblicato sul Corriere della Sera on line intitolato I cinquantacinque giorni del sequestro Moro, nel marzo 1978 le Brigate Rosse rapirono a Roma Aldo Moro con tutta la scorta per poi ucciderlo due mesi più tardi. Il corpo del presidente della DC fu ritrovato in un’auto, una Renault rossa, in una via romana situata tra la sede del PCI e quella della DC.

Gli omicidi politici non sono stati attuati solo in Italia. L’esempio più importante è l’uccisione del Presidente degli Stati Uniti Kennedy a Dallas nel 1963. Come ricorda Massimo L. Salvadori in Storia dell’età contemporanea, Kennedy possedeva un’ideologia progressista che gli attirò una forte opposizione da parte dei Conservatori. E fu proprio quest’odio che lo portò alla morte: il Presidente rimase vittima di un attentato durante il suo viaggio a Dallas compiuto per farsi propaganda politica in vista delle successive elezioni presidenziali a cui voleva ricandidarsi. Nessuno accertò mai chi fu l’artefice di questo delitto, ma la sua organizzazione «trovò certamente complicità ad altissimi livelli».