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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: Chi dice Donna Dice...

Autore: Langella Dario

Descrizione: in questa tesina è trattato il proverbio "chi dice donna dice danno" sostituendo l'aggettivo finale "danno" con altri argomenti di diversa trattazione. quest'ultimo aggettivo va a sostituirsi con i seguenti aggettivi e nomi: silvia, beatrice, solit

Materie trattate: Storia, Filosofia, Italiano, Fisica, Inglese, Storia Dell'arte, Francese, Geografia Astronomica

Area: umanistica

Sommario: Italiano, Leopardi, A silvia, I canti, Dante, Beatrice, Divina commedia, Filosofia, madre, Schopenhauer, L'arte di trattare le donne, Storia, Emancipazione femminile, Suffraggette, storia dell'Arte, Degas, Le ballerine, Geografia astronomica, Margherita Hack, Le stelle, L'universo, Fisica, Campo magnetico terrestre, Inglese, Solitudine, Emily Dickinson, Poesie, Francese, Sofferenza, Nana, Emile Zola, Le rougot maquar

Estratto del documento

zoni quanto negli idilli si affaccia un bisogno di espressione di tipo esistenziale, nonché la ten-

denza alla riflessione filosofica e alla concettualizzazione sistematica. Ciò, per un verso, impri-

me un significato lirico anche alle oggettive canzoni civili, e, per un altro, conferisce un rigore

di elaborazione teorica agli idilli. L’impegno patriottico e civile delle canzoni si conclude, dopo

la delusione dei moti rivoluzionari del 1821, con la canzone Bruto minore, nella quale l’eroe ro-

mano, sconfitto, dichiara inutile l’impegno in nome della virtù e si uccide. Un significato meno

direttamente “politico” ha l’altra canzone del suicidio, l’ Ultimo canto di Saffo. Accanto alle

due canzoni si collocano altri testi, anch’essi conclusivi di questa stagione, come Alla Primave-

ra, o delle favole antiche e Alla sua donna, con la quale Leopardi si licenzia per cinque anni

dalla poesia. Questa prima fase della poesia leopardiana è raccolta - oltre che in alcuni fram-

menti stampati in fondo al libro - nei primi diciotto testi dei Canti (fra i quali però sono com-

presi anche due componimenti degli anni Trenta: Il passero solitario e Consalvo). L’ordine di

disposizione fa precedere le canzoni, seguite dagli idilli. Una funzione di conclusione provviso-

ria e di cerniera è assegnata alla canzone Alla sua donna (1823), in diciottesima posizione (cfr.

La struttura dei Canti e i tempi di composizione).

La seconda fase della poesia leopardiana (1828-1830): i canti pisano-recanatesi

L’ epistola Al conte Carlo Pepoli, del 1826, aveva pronunciato in via definitiva la rinuncia alla poe-

sia. Alla base di tale distacco stavano, tra loro connesse, ragioni storiche (la impoeticità del

moderno), ragioni ideologiche (la caduta del “sistema della natura e delle illusioni” che aveva

animato la prima poesia leopardiana), ragioni infine esistenziali (una crisi di sensibilità e di ab-

bandono immaginativo). Nella primavera del 1828, eccezionalmente in sintonia con il clima e

con l’ambiente pisano, Leopardi riprende a comporre testi poetici, consegnando in poche set-

timane Il risorgimento e A Silvia. Nei due anni successivi, a Recanati, nasceranno altri grandi

testi Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante de"’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sa-

bato del vi"a,io; forse anche Il passero solitario). Le analogie tematiche o strutturali intercorrenti

tra questi componimenti li isolano nel corpo della produzione leopardiana, facendone un mo-

mento specifico e ben caratterizzato. È da respingere la definizione di “grandi idilli” spesso uti-

lizzata in passato: essa tende infatti a mettere in risalto la continuità con gli “idilli” giovanili,

valorizzando l’aspetto descrittivo-emozionale e respingendo il carattere filosofico-argomentati-

vo. In realtà i due momenti non sono mai scindibili, e la novità di questa nuova fase dell’arte

leopardiana consiste innanzitutto nel nuovo punto di incontro tra di essi. Più corretta è dunque

l’altra definizione corrente (“canti pisano-recanatesi”), centrata in modo neutro sui luoghi di

composizione.

Il primo testo di questa nuova stagione, Il risorgimento (aprile 1828), prende le mosse dalla crisi

che aveva provocato il precedente silenzio poetico, ripercorrendone i sintomi sulla base del-

l’esposizione di Al conte Carlo Pepoli, che non a caso la precede nella meditata struttura dei

Canti. Il risorgimento ha una chiara funzione programmatica e, nella prospettiva del libro, strut-

turale; ma resta formalmente irrisolto ed ancor meno significativo è lo Scherzo composto nel

febbraio di quell’anno e dedicato a ironizzare sulla frettolosa trascuratezza delle composizioni

poetiche moderne. La prima grande prova delle potenzialità espressive del nuovo atteggiamen-

to, lungamente maturato attraverso l’esperienza delle Operette morali e di pertinenti appunti

consegnati allo Zibaldone, è dunque A Silvia, primo esempio di canzone libera.

Esame di Stato 2009- Chi dice donna dice... 10

La terza fase della poesia leopardiana (1831-1837)

Il “ciclo di Aspasia”

Il definitivo abbandono di Recanati, nel 1830, e l’impegnativo contatto con l’ambiente fiorenti-

no dei cattolici moderati dell’«Antologia», il presentarsi di nuove e intense esperienze esisten-

ziali, soprattutto d’amore, infine il confronto negli anni napoletani con una tendenza culturale

dominante di tipo spiritualistico-regressivo; tutto un insieme insomma inedito e significativo di

vicende spinse Leopardi, nei sei o sette anni conclusivi della propria vicenda biografica, a tenta-

re un nuovo, radicale rinnovamento poetico.

A mettere inizialmente in moto tale rinnovamento è l’esperienza dell’amore, vissuta con inten-

sità negli anni fiorentini tra il 1830 e il 1833. A suscitare la violenta passione del poeta fu la bel-

lissima Fanny Targioni Tozzetti, da lui amata senza essere ricambiato. La donna è chiamata

«Aspasia» solo nell’ultimo dei testi a lei dedicati. “Aspasia” è il nome di una prostituta amata da

Pericle; il significato «infamante» (Peruzzi) dal punto di vista etimologico (il termine significa

all’incirca ‘donna da letto’) ne rende in qualche modo impropria l’utilizzazione, ormai consueta,

per l’intero ciclo (che alcuni studiosi definiscono infatti “canti dell’amore fiorentino”). Tale ci-

clo si compone di cinque testi composti tra la primavera del 1831 e quella del 1834. Il più antico

è con ogni probabilità Il pensiero dominante, ostinatamente dedicato a una definizione e rap-

presentazione concettuale dell’amore. Le altre liriche del “ciclo” sono Amore e morte, Con-

salvo, A se stesso e Aspasia. Valutando l’insieme del ciclo, è bene sottolineare come, nei mo-

menti espressivi e concettuali più alti (e soprattutto nel Pensiero dominante e in Amore e

morte), l’esperienza della passione amorosa si qualifichi al di fuori della tradizione lirica del

petrarchismo, e si svincoli d’altra parte anche dai suoi aggiornamenti più radicali, mediati da

Tasso e poi dalla recente letteratura preromantica e romantica (dall’Ossian al Werther).

La radicalità dell’esperienza amorosa costringe a rivisitare l’intero sistema concettuale e filoso-

fico che presiede alla meditazione e alla scrittura leopardiana. Si conferma una volta di più il

legame intimo tra esperienza personale e riflessione filosofica. Da questo punto di vista l’amore

costituisce una sorta di illusione non consumabile, cioè non smascherabile mai per intero dalla

ragione e non cedevole davanti agli attacchi dell’età adulta. Esso è dunque la dimostrazione più

profonda dell’infelicità umana, dato che amando si concepisce e accarezza con l’immaginazione

una ipotesi di felicità poi non effettivamente realizzabile; ma, al tempo stesso, è la maggiore

consolazione concessa dal fato agli uomini, che attraverso questa illusione possono affrontare

consapevolmente il male della vita. Per questo l’amore si associa alla morte quale bene supremo

per gli uomini. La formulazione del binomio “amore e morte” (oggetto esplicito di uno dei testi

del ciclo) sancisce una nuova apertura eroica per il soggetto, che se sperimenta l’amore può sfi-

dare la morte e perfino invocarla.

Le canzoni sepolcrali

La centralità del soggetto biografico, riscontrabile nel "ciclo di Aspasia" come già nella stagione

dei grandi canti pisano-recanatesi, lascia il posto, nella struttura dei Canti (corrispondente in

questo caso alla successione cronologica della produzione leopardiana), a una ricerca fondata su

interrogazioni oggettive di carattere filosofico. Quanto nelle canzoni d’amore domina il coin-

volgimento emotivo, tanto in quelle successive è tentato un esercizio di distacco e di obiettivi-

tà. Accanto a testi di più diretto impegno ideologico-politico, come la Palinodia e la Ginestra,

si collocano le due canzoni sepolcrali, composte probabilmente tra il 1834 e il 1835, a Napoli.

Esame di Stato 2009- Chi dice donna dice... 11

Entrambe affrontano il tema della morte, con una ripresa del precedente foscoliano dei Sepol-

cri e di una tradizione tematica assai diffusa nel periodo neoclassico e preromantico. I testi

leopardiani si distinguono però per un più vivo senso della caducità e della perdita, le quali ven-

gono rappresentate senza alcuna prospettiva di possibile riscatto, né umanistico come in Fo-

scolo né religioso come in tanta poesia sepolcrale preromantica. La morte riacquista in Leo-

pardi la dimensione tragica del lutto che è presente in certi scrittori classici. L’esperienza della

perdita diviene l’occasione per interrogare energicamente l’intera vicenda umana, sottoponen-

do a una verifica esistenziale la condizione dei viventi. Vengono in tal modo coinvolti nell’anali-

si tutti i grandi temi già sperimentati dalla ricerca leopardiana: la natura, il piacere, il dolore, il

senso dell’esistenza.

Le due canzoni sepolcrali Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è

rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi e Sopra il ritratto di una bella donna

scolpito nel monumento sepolcrale della medesima) sono per molti aspetti testi gemelli, condi-

videndo il tema e la disposizione dilemmatica della ricerca. In entrambe le canzoni si affianca-

no ingredienti appassionati e partecipi, commossi e vibranti, da una parte, e un tono distaccato

e perfino sarcastico, dall’altra. L’interrogarsi dolente non esclude un falsetto e una leggerezza

che implicano la consapevolezza di parlare di questioni essenziali dal limitatissimo punto di

vista dell’esperienza umana: il tema impegnato rifiuta il linguaggio dell’assoluto e sceglie di affi-

darsi a un’alternanza di interrogazioni o dilemmi trepidanti e di risposte desolate e secche; la

pietà si riversa sulle domande e rifugge dalle risposte, improntate alla sconsolata ipotesi pessi-

mistica che sta al fondo del sistema leopardiano.

Il messaggio conclusivo della Ginestra

Al periodo napoletano, che abbraccia gli ultimi tre anni e mezzo di vita del poeta, appartengo-

no le estreme composizioni leopardiane: i Paralipomeni della Batracomiomachia (già iniziati

però a Firenze nel 1831), il capitolo in terza rima I nuovi credenti, la Palinodia al marchese Gi-

no Capponi, Il tramonto della luna e La ginestra, o il fiore del deserto. Del libro dei Canti

non fanno ovviamente parte, per la struttura poematica, i Paralipomeni; e ne viene esclusa an-

che la polemica — troppo diretta e risentita — dei Nuovi credenti, rivolta a deridere il rina-

scente spiritualismo dell’arretrato ambiente culturale napoletano. Già nella seconda edizione

(la napoletana del 1835) viene invece inserita la Palinodia, appena composta. Il tramonto della

luna e La ginestra — nate nell’ultimo anno di vita del poeta — troveranno posto soltanto nel-

l’edizione postuma curata da Ranieri, andando a collocarsi quale conclusione effettiva del libro.

Dei cinque testi poetici sopra ricordati, ben tre Paralipomeni, Nuovi credenti e Palinodia sono

dominati da una prospettiva intensamente satirica; e questa attraversa più di un luogo della

stessa Ginestra, definendosi così quale cifra stilistica dominante dell’ultimo Leopardi. È come

se l’atteggiamento obliquo e dissacratore che caratterizza le Operette morali (e soprattutto

quelle più antiche, del 1824) fosse infine penetrato anche all’interno della scrittura poetica.

Questa sembra ora rinunciare ai presupposti di poetica sui quali si fondava la precedente ricer-

ca leopardiana: l’amore del vago e dell’indefinito, la tensione verso il passato e la memoria, il

sentimento della perdita, l’interrogazione esistenziale, la difesa e la restituzione — sia pure illu-

soria — di un modo di sentire “antico”, dominato ancora dall’immaginazione e non subordinato

del tutto agli idoli moderni del ragionamento filosofico e tecnico-scientifico e della conoscenza

esatta. Leopardi sembra ora interessato piuttosto a prendere posizione nel dibattito vivo e at-

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