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Il silenzio assoluto non esiste nemmeno in fisica infatti ogni gesto delluomo è scandito da suoni che compongono la melodia della sua vita
Materie trattate: Fisica
Also Harold Pinter in his plays recreated the everyday
conversation with pauses, silences, evasiveness in the dialogue,
repetitions, banalities, contradictions, colloquialisms and slang.
Some critics labelled “Pinteresque” this language. Silence is an
essential part, the climax of his use of language; his dialogues
often consist of one character doing most of the talking while the
other is largely silent. Pinter distinguishes between two kinds of
silence:”One when no word is spoken. The other when perhaps a
torrent of language is employed”. According to this view, speech
becomes a sort of screen man uses to conceal his vulnerability.
Of all Pinter’s works “Silence” is the most lyrical, but also the
most mysterious and difficult. In Silence, the characters are
also- except in the flashback dialogues-physically separated. In
fact in this play there are three characters, sitting in three
different spots on the stage, that alternate present-day
monologues and memories of the past.
Silences and pauses are employed by the playwright as a means of
communication or to express a refusal to communicate, in fact in
his works we find characters unable to communicate, who
nevertheless seem to achieve the impossible by using Pinter’s
language.
“Nel protagonista pirandelliano Serafino Gubbio oltre
all’impossibilità di comunicare c’è una vera e propria rinuncia
definitiva a farlo.Egli diventa così,muto e impassibile,
una mano che gira una manovella.”
*LUIGI PIRANDELLO*
I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO
L'impotenza di Serafino Gubbio operatore, nel filmare la vanità delle forme riprodotte dal cinema
Le tragedie del vivere e la rinuncia definitiva a comunicare
I "Quaderni di Serafino Gubbio Operatore" è sicuramente uno dei
romanzi più originali dell’intera produzione pirandelliana; con la
prima edizione di questo romanzo siamo nel 1915, quando incombono
minacciose sul nostro orizzonte le macchine belliche e sarà
proprio questa l’intuizione–base del romanzo: il mutamento
prospettico indotto nell’uomo moderno dalla macchina in
particolare, la sostituzione della da parte della macchina
parola
cinematografica. Pirandello non condivide la mitologia tecnologica
dei suoi contemporanei: un segnale del suo pensiero ci viene
proprio in apertura di romanzo, dalle considerazioni d’esordio di
Serafino: "Mi domando se veramente tutto questo fragoroso e
vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre
più si complica e si accelera, non abbia ridotto l’umanità in tale
stato di follia, che presto proromperà frenetica a corrompere e a
distruggere tutto." Da queste emerge il presagio funebre di
parole
una terra devastata dalla follia distruttiva dell’uomo macchina.
Come in uno specchio, la storia di cui Serafino è testimone e
confidente,si duplica in quella che Serafino riprende sul set
cinematografico, e proprio nel soggetto cinematografico, è già in
luce il drammatico finale della vicenda reale, prevedendo che uno
dei corteggiatori della protagonista, spari a bruciapelo su un
rivale che cadrà giù morto. Ci troviamo di fronte ad un romanzo
allo specchio in cui l’effetto della drammaticità si ottiene per
mezzo del cinematografo. La contiguità tra vicenda narrata e
filmata esplode nel finale, dove la tigre destinata ad essere
sacrificata , prenderà la sua rivincita entrando da "protagonista
nella vita reale degli attori e partecipando ad ambedue i
versanti:della vita narrata e di quella filmata ". In tutto ciò la
scrittura di Serafino funge da specchio del disordine
esistenziale,partecipante del e si muove avanti e indietro
Caos,
nello spazio e nel tempo seguendo il corso dei pensieri dell’io
che scrive.
Il filo conduttore che lega i vari quaderni di Serafino è quello
meditativo delle dell’io narrante che, infatti, può
riflessioni
permettersi di interrompere la narrazione per inserire dei flashes
apparentemente avulsi. In tutto questo contesto,l’occhio
scrutatore di Serafino, cioè la sua macchina cinematografica,
diventa il filtro di questa "buffa fantasmagoria della vita",
muto,
filtro che però riesce a trasmettere messaggi molto significativi
anche se comunicati in maniera diversa. I "Quaderni" sono anche la
testimonianza della possibile riduzione dell’uomo a oggetto, a
contatto con il progresso tecnico. La perdita di coscienza e di
personalità investe tutta la collettività. Secondo l’ottica
pirandelliana, la distruttiva affermazione delle macchine finisce
con il dominare la psiche dell’uomo, abbagliando con l’inganno di
controllare la realtà, di andare incontro ad obbiettivi che si
rivelano illusioni: è dunque questo mostro inarrestabile, la
macchina ad impadronirsi del mondo e a farsi beffe della tragicità
umana: Pirandello manifesta con questa drammatica parabola della
disumanizzazione, la sua sfiducia nella razionalità utile solo a
placare il passionale fluire delle nostre vite e la sua ostilità
nei confronti delle "imposizioni del progresso" della "presunzione
scientifica” .E’ attraverso la figura del protagonista,
l’operatore Serafino Gubbio che rappresenta "l’alter ego" di
Pirandello, che si può cogliere la dura protesta contro
"l’alienante civiltà della macchine e contro i suoi esaltatori";
viene messa in risalto la spersonalizzazione dell’uomo, in questo
caso dell’operatore cinematografico, che pian piano lascia con
rammarico che le macchine svolgano delle funzioni che fino ad
allora erano state proprie dell’uomo e solo dell’uomo. A comunicare
questo disagio, il diario di Serafino, in cui figurano scontri e
fusioni tra finzione scenica e realtà,divismo e dolore. Vittima
della meccanizzazione è lo stesso Serafino, un po’ filosofo, in
po’ artista, e pure anch’egli ridotto al ruolo meccanico di "mano
che gira la manovella". La sua altro non è che
perdita della voce 4,
perdita di sensibilità nei confronti della realtà. Pirandello
considera il cinema come una parodia della condizione umana, dove
convivono confuse, illusione e realtà. La vita imitata dal cinema
ne è allo stesso tempo uccisa. Nella civiltà delle macchine,
l’uomo è alienato da se stesso, preso dal vertiginoso meccanismo
di una vita di automatismi e follie. A questa realtà vacua e
illusoria assiste Serafino, sentendosi contaminato dalla macchina
da presa: l’abitudine ad assistere alla finzione scenica, finisce
con l’escluderlo dalla vita reale. Allora subentra l’afasia e la
scrittura resta l’unica testimonianza del frantumarsi delle
coscienze, dei dubbi, del tragico quotidiano. Serafino, operatore
cinematografico, si riconosce quale insignificante elemento di un
mondo inautentico, insensibile nel suo alternarsi di realtà e
finzione. Intrappolato entro i limiti di un lavoro monotono e
alienante, è costretto a vivere un processo psicologico che lo
conduce ad una sorta di accettazione "filosofica" di questa vita
ingannevole perchè vana. Accettazione che si traduce in un passivo
distacco. Questa sorta di "morte civile" di Serafino è riscattata
dalla scrittura nella quale trova sfogo l’umano bisogno di libera
espressione della propria individualità. Mentre ne "Il fu Mattia
Pascal" il protagonista rimane in possesso di un nome che lo
contraddistingue, nei "Quaderni di Serafino Gubbio operatore",
Serafino finisce col perdere anche questo; per via di
un’espressione frequentemente utilizzata, gli è stato affibbiato
il soprannome di "Si gira". Tale nome rispecchia perfettamente lo
stato di sottomissione dell’operatore alla macchina ed evidenzia
il fatto che egli si identifichi in tutto e per tutto con questo
oggetto mostruoso del quale non è altro che una parte.
della parola
*L’assenza *
Inizialmente il non sembrerebbe connaturato con l’uomo che
silenzio
ha proprio nell’espressione e quindi nella una
verbale comunicazione
delle più elevate facoltà; tuttavia il ricorso a tale condizione
risulta più frequente di quanto si possa immaginare. Accade spesso
che, quasi senza accorgersene si tronchi ogni forma di con il
dialogo
mondo esterno; si finisce per perdere l’autocoscienza e divenire
simili a macchine che quotidianamente svolgono il loro
mute
compito, ignari di ciò che sta attorno. Nell’opera pirandelliana
l’assenza della parola diventa protagonista incontrastata dall’inizio
alla fine, anche se nel corso del romanzo assume sfaccettature
differenti. In primo luogo vi è il in cui sprofonda l’uomo
silenzio
con l’avvento dei macchinari, che lo regolano nella triste
condizione di automa; il è anche la condizione cui perviene,
silenzio
in ultimo, Serafino; il è infine ancora presente nell’opera
silenzio
in quanto caratteristica peculiare del genere cinematografico. La
impassibilità di Serafino, divenuta norma fondamentale da seguire
immancabilmente in ogni situazione,sembra condurlo in uno stato di
atarassia che ha nell’assenza la sua più compiuta
della parola
realizzazione. Se inizialmente Serafino riesce con maestria a
domare il turbinìo di sentimenti del suo animo, successivamente si
ritrova inconsapevolmente a non recitare più la parte
dell’indifferente e a far affiorare una latente umanità fino ad
allora sopita. Questa sua estrinsecazione finisce per nuocergli
quando, traumatizzato dai terribili fatti che egli stesso ha
filmato, perde l’uso della Un destino amaro, il suo,
parola.
condannato al e impossibilitato a venir fuori da questa
silenzio
condizione, costretto a pagare a duro prezzo un tentativo di
coinvolgimento umano che non gli si addiceva. Il parallelismo tra
le immagini finte, che la pellicola imprigiona e quelle
senza parola
vere,anch’esse vacue ed inespressive che scorrono silenziosamente
davanti all’uomo, risulta efficace e ben congegnato. E’ qui che si
inserisce il Serafino filosofo; il suo atteggiamento impassibile
rivela lo scetticismo che lo pervade e che lo induce a ritenere
impossibile qualsiasi mutamento. Questo graduale processo di
corruzione è stato ormai avviato e ha raggiunto un livello tale da
non consentire più il suo arresto. L’uomo, ancora una volta, ha
innescato un processo del quale ha perso il controllo e che
inevitabilmente gli si ritorce contro.
“C’è anche il silenzio terribile di Auschwitz, un silenzio
agghiacciante più della neve:il silenzio degli uomini e della
natura come unica risposta alla tragicità del reale; il silenzio dei
morti, che bussa e rimbomba inesorabile nei nostri cuori.”
AUSCHWITZ:LE URLA DEL SILENZIO
L’OLOCAUSTO:LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI
In questo luogo della memoria, la mente, il cuore e
“
l’anima provano un estremo bisogno di silenzio. Silenzio nel
quale ricordare. Silenzio nel quale cercare di dare un senso ai
ricordi che ritornano impetuosi. Silenzio perche’ non vi sono
parole abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della
Shoah .”
Oswiecim non sarebbe altro che un anonimo paesino della campagna polacca,a
poco più di un’ora da Cracovia, se non fosse per quel nome con cui fu ribattezzato
dai tedeschi nel ’39: Auschwitz..Appena ci si arriva ci si trova di fronte a quel
cancello sormontato dalla scritta “arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi);la prima
reazione,caratterizzata da totale confusione conduce al silenzio. Sì perché ad
Auschwitz si perde la parola come una volta ci si perdeva la dignità,lo status di
essere umano,la vita.
Ad Auschwitz c’è “un solo grande silenzio”. Un silenzio che riesce a raggiungere
l’abisso dell’anima,che svuota la mente di pensieri e di sentimenti mentre si passa
accanto alle torrette,al filo spinato,alle foto degli internati,alle montagne di scarpe,
vestiti,valigie. Si respira un’aria pesante,nervosa; Auschwitz è appestato da un
male silente, da un odore inestricabile di dolore, ingiustizia e orrore.
Son morto ch’ero bambino
son morto con altri cento
passato per il camino
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c’era la neve
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.