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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: "La dolce vita"? - anni sessanta e postmoderno

Autore: Asta Carlo

Descrizione: questo lavoro tratta degli sconvolgimenti economico-politici che attraversarono il mondo e l'italia negli anni cinquanta e sessanta e le ripercussioni che ebbero su società  e cultura. partendo dall'intuizione pasoliniana di "mutazione antropologica"

Materie trattate: Italiano, Filosofia, Storia, Inglese

Area: umanistica

Sommario: Italiano, Pasolini e Bianciardi, "La religione del mio tempo" e "La vita Agra", due intellettuali si confrontano con il boomdegli anni sessanta; Filosofia, Vattimo e Lyotard e Eco, "La società  trasparente" e "La condizione postmoderna" e "Apocalittici e integrati", il concetto di postmoderno applicato agli anni sessanta e le caratteristiche della cultura di massa nata in quegli anni; Storia, il contesto politico-economico di prima e durante il miracolo degli anni sessanta; Inglese, Matthew Weiner, "Mad Men", il nuovo modello di uomo postmoderno;

Estratto del documento

Gli Stati Uniti furono il modello a cui l’Italia si ispirò non solo per

l’organizzazione dell’economia, ma anche per la cultura e la mentalità. Si può

parlare di un vero e proprio “archetipo” di uomo che il nostro paese importa.

Perciò, nel terzo capitolo, analizzeremo la serie televisiva del 2006 “Mad Men”

ideata da Matthew Weiner, che delinea perfettamente i tratti di questo

archetipo nel protagonista dello sceneggiato, Donald Draper. Un uomo cinico,

realizzato, con una bella famiglia e un lavoro di successo. Egli è un

pubblicitario negli anni in cui la pubblicità diventa una l’elemento centrale del

sistema produttivo. Nonostante tutti questi elementi, Don è attraversato da

dubbi, fasi depressive, incertezze, senso di precarietà. Vive gli anni sessanta

come un vincente ma in realtà ne è sopraffatto al livello umano. Questa

profonda contraddizione viene espressa attraverso un largo uso di paradossi

linguistici di cui porteremo alcuni esempi.

Per concludere torneremo in Italia, dove gli effetti del miracolo e del

postmoderno, nonostante l’indifferenza delle masse, furono oggetto di

attenzione nel mondo letterario. Nel quarto e ultimo capitolo tratteremo

quindi di Pasolini e Bianciardi, i quali vissero intensamente quegli anni di

cambiamento e reagirono ognuno in modo diverso. Pasolini assunse un

atteggiamento di ostilità deprecando il miracolo dall’alto della sua posizione di

vate . Con le sue poesie ritrasse in chiave mitica il mondo rurale italiano che lo

sviluppo minacciava di distruggere. Al contrario Bianciardi accettò le

imposizioni del boom, trasformandosi in un “intellettuale operaio” e

dedicandosi al lavoro del traduttore con l’entusiasmo e la ripetitività di un

operaio alla catena di montaggio. Proporremo due opere: un estratto della

poesia “La ricchezza” per Pasolini, e il romanzo “La vita agra” per Bianciardi.

Questi saranno i punti del percorso che approfondiremo nelle pagine

seguenti. 5

1

L’ARRIVO DEL POSTMODERNO IN

ITALIA E LA CULTURA DI MASSA

1.1 L’intuizione di Pasolini

10 Giugno 1974. Pasolini pubblica sul Corriere della Sera l’articolo “Gli

italiani non sono più quelli”, in cui afferma che la vittoria del “No” al

referendum sul divorzio non sta a dimostrare il successo del laicismo, del

progresso, della democrazia: esso sta invece a significare due cose:

1) che i ceti medi sono antropologicamente cambiati e i loro valori

positivi non sono più quelli sanfedisti o clericali, ma quelli dell’ideologia

edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo

americano: è il Potere (che non ha più un corpo e quindi diviene soggetto

indefinito), che attraverso imposizione della smania per i prodotti superflui,

moda e informazione, crea tali valori .

2) che l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, e al

suo posto c’è un vuoto che aspetta di essere colmato da una completa

borghesizzazione modernizzante, falsamente tollerante e americaneggiante.

Il passaggio da una cultura fatta di analfabetismo, da un’organizzazione

culturale arcaica, all’organizzazione moderna della “cultura di massa” che è

strettamente legata al consumo, è da ascrivere alla mutazione antropologica che ha

travolto l’Italia durante gli anni sessanta. Questa rivoluzione è riconoscibile se

si osserva come per molti secoli in Italia vi siano state diverse culture di classe:

quella degli scienziati, quella degli operai, quella dei letterati, quella dei

contadini. La cultura nazionale era l’insieme di tutte queste culture di classe: la

media di esse. Negli anni settanta, scrive Pasolini, distinzione e unificazione

storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi

miracolosamente il sogno interclassista del vecchio potere fascista . Il Potere

nuovo, invisibile e non-coercitivo, della società consumistica ha realizzato

questa omologazione che è facilmente constatabile nel linguaggio del corpo.

Bisogna soffermarsi sull’analisi di questo linguaggio poiché in un momento in

cui il linguaggio verbale è sterilizzato e convenzionale assume un’importanza

decisiva quello fisico e mimico del comportamento. Esso può essere definito

linguaggio in quanto deriva da codici prodotti dalla cultura. Ora, tutti gli

italiani degli anni settanta compiono identici atti culturali , hanno lo stesso

linguaggio fisico, sono interscambiabili, cosa vecchia come il mondo se

6

applicata ad una sola classe sociale: ma il fatto è che questi atti culturali e

questo linguaggio somatico sono interclassisti.

Pasolini individua come veicolo dell’omologazione interclassista il

bombardamento ideologico televisivo, che non è esplicito, ma tutto nelle cose

e quindi indiretto. Mai è stato propagandato un modello di vita con un’efficacia

visiva che è solo della televisione. Il tipo di uomo o donna che conta, che è

moderno, che è da imitare e realizzare, non è descritto o decantato: è

rappresentato! Il linguaggio della televisione è per sua natura linguaggio fisico-

mimico, del comportamento. Esso viene imitato dunque di sana pianta, senza

mediazioni, nel linguaggio fisico-mimico e nel linguaggio del comportamento

nella realtà.

1.2 Il senso della mutazione: il postmoderno

Indicare la televisione e l’etereo Potere del consumo come unici

responsabili sembra riduttivo e parziale. Questo perché l’indagine sociologica

di Pasolini è fatta con gli occhi dell’artista, non quelli dello studioso. Per un

artista è impossibile mantenere il distacco necessario per un’imparziale e

rigorosa analisi della realtà: il coinvolgimento emotivo è troppo forte. Qui

vogliamo sostenere che quella che Pasolini avverte come mutazione

antropologica si deve all’insinuarsi del postmoderno nella cultura e nella

società italiana e quindi alla ricaduta culturale del miracolo economico che si

genera tra il 1958 e il 1963. Per l’appunto le considerazioni che Pasolini fa a

metà anni settanta le riferisce tutte a un cambiamento che ha avuto inizio dieci

anni prima rispetto a quando scriveva e quindi dal 1964 circa, l’anno in cui i

“fumi” del boom si dissolvono ed emerge una nuova realtà socio-culturale di

cui Pasolini avrà percezione alcuni anni dopo. Il processo che porta al

postmoderno è infatti necessariamente anticipato da uno sviluppo

dell’economia in senso postindustriale, che genera benessere ed edonismo

diffuso, i quali vanno ad oscurare le contrapposizioni ideologiche del passato e

a confluire nell’ideologia organica al postmoderno.

1.3 Che cosa si intende per postmoderno

La prima implicazione della presenza del suffisso “post” in un concetto

teoretico è il superamento di un quest’ultimo. Infatti, parlando di

postmoderno si afferma implicitamente il superamento del moderno,

intendendo per modernità l’epoca in cui diventa determinante il valore

dell’essere moderno.

Per la crisi del moderno Gianni Vattimo, in “La società trasparente”,

individua tre concause:

1. Le critiche allo storicismo tedesco (crisi teoretica);

2. La dissoluzione dei punti di vista centrali ad opera dei mass media

(crisi reale); 7

3. Le ribellioni dei popoli primitivi colonizzati dagli europei e la crisi

della concezione storica unitaria eurocentrica, con la conseguente

proposta di nuovi punti di vista sul mondo di rinnovata dignità (crisi

storica);

Questi tre aspetti sono tra loro interdipendenti. Cercheremo di

analizzarli compiutamente senza soffermarci sul terzo, il quale non è altro che

un noto e inopinabile processo storico. Esso va assunto come premessa

integrativa di tutto ciò che andremo a dire.

1.4 La crisi della prospettiva storicista

Abbiamo detto che crisi della modernità è crisi del valore dell’essere

moderno. Questo è un concetto che inizialmente si forma come categoria

estetica e che andrà in seguito a confluire nei sistemi storicisti. Vediamo come

si sviluppa e come entra in crisi.

La cultura elogiativa del nuovo si lega primariamente all’arte, in cui

divenne valore supremamente apprezzato, con il progredire dei secoli,

l’originalità. Nell’epoca dell’illuminismo il culto del nuovo si inserisce in una

prospettiva generale che considera la storia umana come un progressivo

processo di emancipazione, come la sempre più perfetta realizzazione

dell’uomo ideale. All’interno di questa concezione avrà più valore ciò che è più

avanzato, più vicino al termine del processo. Ma si può parlare di questo

progresso, di questa realizzazione progressiva dell’umanità solo se si considera

la storia come concetto unitario. Questo modo di intendere la storia implica

l’esistenza di un centro attorno a cui si raccolgono e ordinano gli eventi, che

può essere il concatenarsi delle vicende del popolo europeo. Il filosofo Walter

Benjamin ha svelato che la storia come percorso unitario è una

rappresentazione del passato, fatta dalle classi dominanti. Del passato si

tramanda solo ciò che è rilevante (battaglie, rivoluzioni, cambiamenti

economici) e vengono invece tralasciati aspetti come la sessualità o il modo di

nutrirsi. In questa ottica non esiste un corso unitario ma ci sono solo immagini

del passato selezionate e proposte da punti di vista diversi. Ma se non esiste un

corso unitario allora non esiste neanche un fine verso cui esso procede. Qui

entra in crisi la modernità, quando non si può più parlare della storia come

processo unitario.

E a questo punto entrano in crisi quei sistemi religiosi e metafisici come

marxismo, idealismo e illuminismo, chiamati da Jean-FrancoisLyotard in “La

condizione postmoderna” metanarrazioni. La loro caratteristica comune era

quella di leggere la storia in questa ottica storicista e post-porre un fine

all’intero percorso storico, il quale coincideva o con la rivoluzione delle classe

operaia o con la realizzazione dello spirito assoluto o con il rischiaramento

intellettuale dell’umanità. Queste metanarrazioni avevano il compito di

legittimare la storia umana e presentarla come un’ evoluzione progressiva e

8

inarrestabile: cadono con il cadere della modernità e dello storicismo senza le

quali perdono la propria legittimità razionale.

1.5 I media distruggono l’uniformità

I media di massa sono stati determinanti nel mettere in crisi la visione

storicista e le conseguenti metanarrazioni .

Al contrario dell’uniformità del pensiero pronosticata da Adorno,

giornali media e televisione hanno prodotto un’esplosione di nuove visioni del

mondo, che hanno portato alla ribalta dell’opinione pubblica ogni specie di

cultura o sub-cultura (ovviamente non stiamo parlando di emancipazione

politica o economica, ma semplicemente della presa di parola). La

frammentazione dell’informazione e della cultura ci ha reso impossibile un

punto di vista unitario su storia e progresso, e ci ha allontanati sempre di più

dall’omologazione del pensiero sostenuta dalla Scuola di Francoforte. La realtà

diviene ora l’incrociarsi di questi frammenti e immagini proposti dai mass media.

In questa società dei media si fa strada un ideale di emancipazione che

ha alla propria base, paradossalmente, l’erosione del principio di realtà. Dato

che un popolo più informato non è per forza più autocosciente (in senso

hegeliano di spirito assoluto) e che l’intensificazione delle possibilità di

informazione sulla realtà nei suoi più vari aspetti rendono inconcepibile il

concetto di una realtà, tanto vale allontanarsi da questa chimera. La concezione

spinoziana che la perfetta libertà sia conoscere la struttura necessaria e

adeguarsi ad essa entra in crisi con il concetto di mito rassicurativo in Nietzsche e

con la distruzione della metafisica occidentale da parte di Heidegger (La realtà

come sistema razionale è un modo di estendere a tutto l’essere il modello

dell’oggettività scientifica).

Se non esiste una realtà allora perdere il “senso di realtà” non è poi così

grave e dallo spaesamento è possibile cogliere aspetti emancipativi. Con la

caduta della razionalità centrale esplode una miriade di razionalità locali ovvero

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