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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: Liberi di essere
Autore: Russotto Salvatore
Scuola: Liceo scientifico
Descrizione: In base alla corrente funzionalistico-attualistica della società contemporanea sempre più si è andata operando una spaccatura tra essere umano e persona, il primo inteso come individuo incapace di autodeterminarsi e predeterminato dalla sola natura su cui è preordinato, la seconda intesa come individuo capace di autodeterminazione poiché in possesso di volontà e di ragione. Allo stesso modo la libertà , da elemento costitutivo e ontologico dell'essere umano, viene ridotta a sua mera funzione. La libertà dell'uomo assume quindi una forma personale e una forma non personale, disgiungendosi in "libertà della persona" e in "libertà dell'individuo". La libertà dell'individuo, essendo propria di un essere che soggiace al solo istinto, conduce inevitabilmente al trionfo delle emozioni, a ciò che Z. Bauman definisce "legami liquidi"; la libertà della persona, propria di un essere autodeterminato, porta l'uomo ad essere causa sui, lo rende in grado di autopossedersi e dire: «Questa azione è mia». La responsabilità esiste solo nella persona: tutte le forme individualistiche di responsabilità sono irresponsabili. Se la libertà si riducesse a mera scelta individualistica, essa non approderebbe a nessun progetto esistenziale: sarebbe un esercizio fine a sé stesso, privo di spessore metafisico. In questo caso libertà e verità sono sganciate, poiché non esistono verità assolute. Se San Paolo nella Lettera ai Galati (Gal 5, 13a) scrive: «Voi, fratelli, siete chiamati alla libertà », J. P. Sartre ne "L'essere e il nulla" afferma che: «Siamo condannati alla libertà ». La libertà cambia il suo significato: priva di verità si trasforma da vocazione dell'uomo a sua condanna, da compito a caso. Chiarisce Luigi Alici: «Quando tutto ha un valore solo perché scelto, nulla è scelto perché ha valore». Secondo Erich Fromm l'individualismo porta alla cosiddetta "fuga dalla libertà ": aumenta la "libertà da" a scapito della "libertà per". La libertà dell'individuo è una libertà priva di legami, in preda alla spasmodica ricerca di evasioni. Le evasioni diventano strumenti per compensare le ansietà , per tentare di rimuovere le domande di senso, schiacciandole sotto il peso della routine quotidiana. L'individuo vuole non scegliere, spesso senza accorgersi che la scelta di non scegliere è già di per sé una scelta. Fugge dall'isolamento tramite le evasioni, tuttavia esse non gli fanno trovare la verità e, anzi, aumentano quell'isolamento da cui fugge. Rimossa la domanda etica (Chi sono? Cosa scelgo? Perché?), l'individuo cerca un'altra persona a cui cedere la propria libertà . Sono due le vie di fuga dalla libertà : la cessione della propria libertà ad altri e il conformismo da automi. - La cessione della propria libertà ad altri L'individuo cerca una persona che abbia la risposta pronta, un capo che pensa e decide al posto suo, il "tutto facile". Ci vuole troppo tempo per capire da sé. Da questa strada si giunge presto alla seconda via di fuga. .
Area: umanistica
Materie trattate: Filosofia (Søren Kierkegaard: la paralisi del possibile), Storia (Fascismo e libertà : come la persona si perde creando il consenso), Letteratura latina (La libertà del saggio: tra Seneca e San Paolo), Italiano (Luigi Pirandello: prigionieri della forma), Arte (Verso la libertà della forma: Cubismo, Futurismo e Surrealismo), Biologia (Uomini senza coscienza: lo stato vegetativo), Letteratura inglese (Percy Shelley: freedom without institutions), Matematica (Differenziale di una funzione), Fisica (Circuiti in corrente alternata)
Sommario: Una libertà responsabile; Søren Kierkegaard: la paralisi del possibile; Fascismo e libertà : come la persona si perde creando il consenso; La libertà del saggio: tra Seneca e San Paolo; Luigi Pirandello: prigionieri della forma; Verso la libertà della forma: Cubismo, Futurismo e Surrealismo; Uomini senza coscienza: lo stato vegetativo; Percy Shelley: freedom without institutions; Differenziale di una funzione; Circuiti in corrente alternata
1. La vita
Søren Kierkegaard nasce a Copenaghen il 5 maggio 1813 da Michael Pedersen, un ricco commerciante,
e dalla sua seconda moglie Ane Lund. Fu l’ultimo di sette figli, dei quali ne vide cinque morire quando ebbe
solo vent’anni. Questo, unitamente alla rigida educazione pietista ricevuta dai suoi genitori, fece di lui un
ragazzo molto introspettivo, nonché orientato al pessimismo. La sua vita ruota attorno a tre momenti prin-
cipali: il rapporto con il padre
- Come abbiamo detto, l’infanzia di Kierkegaard fu triste. Il padre era un pastore protestante, di rigi-
da moralità. A 30 anni non poté più lavorare per malattia. Gli morì la prima moglie e rimase senza
figli. Pochi mesi dopo il funerale si risposò con la domestica (Ane Lund, la madre di Kierkegaard). La
figura del padre per Kierkegaard fu sempre quella di un vegliardo. A lui non rimprovererà mai la
mancanza di affetto. In nessuna occasione ruppe il rapporto con lui, tranne che per una breve lite
all’età di 20 anni. Durante gli studi universitari si dedicò a una vita gaudente (impiegò dieci anni per
laurearsi in teologia). Un avvenimento lo segnò profondamente: il padre, morente, gli confessò una
grave colpa, che costituirà la sua «scheggia nelle carni» e che custodirà sempre nel segreto. Nessu-
no sa di che genere di colpa si trattasse: ciò che sappiamo è che dopo la confessione del padre la
sua vita cambiò totalmente. Decise di sposarsi, poiché su di lui sentì gravare una responsabilità;
spese la propria vita per espiare il peccato del padre.
«Ci sono uomini il cui destino deve essere sacrificato per gli altri, in un modo o nell'altro, per
esprimere un'idea, ed io con la mia croce particolare fui uno di questi» S. Kierkegaard
Fidanzamento con Regina Olsen
- Nel 1840 si fidanza con Regina Olsen, ma dopo circa un anno interrompe il rapporto senza spiegare
il motivo. Alcuni studiosi suppongono che avvertisse una chiamata alla vita religiosa, tuttavia molti
di più sono coloro che ritengono tale decisione dettata, come tutte le altre, dal peso ossessivo della
colpa del padre e dalla conseguente necessità di espiazione. Fece il possibile per apparire disgusto-
so a Regina, la quale si diceva disposta a tutto pur di sposarlo. Nella sua vita futura proverà grande
rimpianto per questa decisione. 13
Apologia del Cristianesimo
- Con la sua vita e la sua filosofia tentò di recuperare il vero significato del cristianesimo. Rimase at-
territo dalla superficialità dei cristiani del suo tempo.
Nella sua vita non si decise mai per nulla: scelse di vivere in una sorta di “punto zero”, mostrando l’aspetto
paralizzante della possibilità. Muore l’11 Novembre 1855 per un ictus, mentre camminava per le strade di
Copenaghen, città nella quale trascorse quasi tutta la sua esistenza.
2. Le opere
Riportiamo le sue opere principali:
- Enten-Eller (tradotto come Aut-Aut – 1843), nel quale evidenzia che la dialettica non è opposizione
(l’ et-et di Hegel), ma conseguenza;
- I Diari, opera autobiografica di cui esistono più di cinquemila pagine;
- il Diario di un seduttore (1843);
- Timore e tremore (1843);
- Il concetto dell’angoscia (1844);
3. Il pensiero
Non a torto Kierkegaard viene definito il padre dell’esistenzialismo: è il primo filosofo a incentrare
la sua indagine sulle domande di senso e sulla possibilità di scegliere e, soprattutto, è il primo a vivere
l’esistenzialismo in modo consapevole (la sua vita è lo specchio della sua incapacità di scegliere). Riflette sui
limiti della realtà. Il momento drammatico è quello che segue la scelta: ogni possibilità implica la minaccia
di scegliere male; ogni possibilità-che-si è accompagnata dalla possibilità-che-non. L’uomo non può proten-
dere al si o al no, ma al forse. È impossibile stabilire l’oggettività. La conseguenza di un atto di libertà è
quindi l’angoscia. Si sofferma molto a parlare dell’angoscia: in Il concetto dell’angoscia scrive che
«l’angoscia è la vertigine della libertà». A differenza della paura, che ha un oggetto (è sempre “paura di…”),
l’angoscia è caratterizzata dall’indeterminatezza (non c’è qualcosa di cui essere angosciati; si è angosciati e
basta).
Kierkegaard si oppone alla mentalità ottimistica della dialettica hegeliana. La vita non è un “et…et”, ma un
“aut…aut”: dobbiamo vivere la nostra vita consapevoli che ad essa esistono tante altre alternative a cui ab-
biamo rinunciato nel momento in cui abbiamo operato la nostra scelta. Ad Hegel rimprovera anche di aver
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“polverizzato” l’uomo: se nell’idealismo è il genere a prevalere sul singolo (es. nello Stato di Hegel non con-
ta l’individuo), Kierkegaard replica che è il singolo a prevalere sul genere. L’essenza profonda della verità è
la soggettività, perché ciascuno è singolo: non esiste la verità, ma la verità per me. La vera verità consiste
dunque nell’appropriazione della verità. Ciascun uomo è solo, unico e irripetibile. La filosofia personalistica
parlerà a questo riguardo di irriducibilità della specie. Altro elemento non condiviso dell’idealismo hegelia-
no è il panteismo idealistico (Uomo = Dio). Per Kierkegaard c’è assoluta differenza fra Dio e l’uomo. L’unica
accettazione di questa idea la opera nella fede: nel cristianesimo, paradossalmente, Dio si fa uomo. La fede
è un elemento fondamentale per Kierkegaard: è quell’assurdo che trova nell’angoscia il prezzo da pagare
affinché possa esprimersi. Ogni scelta è del singolo, non può coinvolgere altri. L’esistenza implica
un’assunzione di responsabilità personale (e che quindi prescinde anche quella coniugale). Il singolo è un
essere assolutamente unico e che come tale deve trovare una scelta di vita propria.
Kierkegaard rintraccia tre stadi dell’esistenza, delle scelte di vita non legate da una consequenzialità logica,
ma da un salto, una rottura (ogni stadio prescinde dall’altro):
estetica;
- Vita etica;
- Vita religiosa;
- Vita
Ognuno di questi stadi ha un personaggio simbolico.
3.1 La vita estetica
L’esteta è colui che coglie l’attimo (“carpe diem” o, più precisamente, “carpe oram”) e decide di vi-
vere la propria vita scegliendo sempre delle avventure innovative. Ogni esperienza deve essere nuova e su-
periore alla precedente: non si accontenta del piacere, vuole il meglio del piacere (“il piacere del piacere”).
L’esteta sceglie di non scegliere e proprio per questo non può innamorarsi. A lungo andare ricade in un mo-
vimento continuo che porta alla noia, perché comprende che in fondo al piacere c’è il nulla. È la noia la
“molla”, l’elemento che può permettere (un “può” che non implica un “deve”) il salto alla vita etica. Il per-
sonaggio simbolo della vita estetica è il don Giovanni.
3.2 La vita etica
Nella vita etica avviene la scelta: l’assessore Guglielmo (personaggio-simbolo di questo stadio) si
sposa. Ha delle regole morali e decide di legarsi ad un’altra persona, pur sapendo che a questa dovrà inevi-
tabilmente rendere conto delle sue scelte. La molla che permette di operare il “salto di qualità”, il passaggio
alla vita religiosa, è il pentimento. L’uomo etico si pente della sua scelta perché sente che la sua esistenza
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ha un dovere verso tutti ed è destinata ad una dimensione più grande; sente di avere finitizzato
l’aspirazione all’infinito e di essere quindi chiuso e bloccato.
3.3 La vita religiosa
Abramo è il simbolo della vita religiosa: costituisce l’elemento di congiunzione per cristiani (da
Abramo deriverà Gesù Cristo), per gli ebrei e per i musulmani. L’aspetto più paradossale di Abramo è il suo
comportamento nel sacrificio di Isacco. Isacco è il figlio della promessa: è legittimo (nasce infatti da Sara,
sua moglie) e viene annunciato da un angelo («[…] attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe» Gen
21,12b). Tuttavia, Dio chiede ad Abramo di sacrificarlo. E Abramo? Decide di compiere il Suo volere.
L’atteggiamento caratteristico della vita religiosa è la fede. Essere “eletti di Dio” non comporta la “rinuncia
alla giovinezza” o la mera mortificazione del corpo e dell’anima: significa essenzialmente essere uomini di
fede. La volontà di Dio, fin quando non si svela, è incomprensibile: con un miracolo si era realizzato
l’assurdo, e ora, con un atto fondamentalmente immorale (quale l’omicidio), tutto deve essere distrutto.
Tra la vita religiosa e la vita morale vi è una distanza abissale: la fede non implica, per Kierkegaard, la mora-
lità. La fede è superiore alla stessa morale. La prova è resa ancora più dura dal fatto che il coltello non è
nella mano di Dio, ma in quella di Abramo. Ma vediamo insieme il brano di Genesi 22, 1-14, in cui l’episodio
è raccontato:
1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Ecco-
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mi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e of-
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frilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino,
prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il
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luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo.
5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci
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prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio
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Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. Isacco si rivolse al
padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la
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legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per
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l'olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt'e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli ave-
va indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare,
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sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'an-
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gelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L'angelo
disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non
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mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impi-
gliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del
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figlio. Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore
provvede».
Quel giorno Abramo non disse nulla a nessuno. Quello che stava per fare era una cosa troppo irrazionale
per poter essere compresa. Non era possibile spiegarla a nessuno, perché nessuno avrebbe capito. Dio par-
la ad ognuno di noi e chiede a ciascuno la sua risposta. Nel brano sembra che i singoli movimenti siano visti
a rallentatore: questo artificio serve a evidenziare ancor di più la drammaticità dell’azione. Abramo non sa-
peva che era una tentazione, e di certo, non decise a cuor leggero. Sapeva, tuttavia, che nessun sacrificio
sarebbe stato troppo grande, insieme a Dio. Se si fosse tirato indietro, il suo ritorno sarebbe stata una fuga.
Il monte Moria non sarebbe stato l’Ararat, ma “il luogo in cui Abramo dubitò”.
Il cristianesimo è un capovolgimento, e l’uomo deve scegliere capendo che la sua scelta spesso conduce
all’assurdo. E il punto più alto dell’assurdo è, come già detto, la fede. 17
STORIA
Fascismo e libertà:
come la persona si perde
creando il consenso
1. Il concetto di consenso
La parola “consenso” deriva dal latino consensus, participio passato del verbo consentire, dall’etimo
“cum sentire”, sentire la stessa cosa. Un uomo esprime quindi il proprio consenso ad un’idea quando l’idea
proposta è uguale o vicina alle sue idee. Tuttavia una percezione alterata fa percepire cose alterate. Di con-