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Sintesi

Le diverse forme del tema della metamorfosi in ambito letteraio, artistico, scientifico, naturalistico
Materie: latino, italiano, inglese, storia dell' arte, fisica, scienze naturali.

Estratto del documento

2

Introduzione

Perché “Metamorfosi proteiforme” ?

Ho così intitolato questa tesina perché affrontando il tema della metamorfosi mi sono accorto che

questa tematica assume caratteri diversi e molteplici in altrettanti diversi ambiti del sapere.

In ambito letterario infatti vi sono autori di periodi storici differenti che affrontano il tema della

metamorfosi perché vedono in essa un alternativo modo di vivere o “non vivere” (come nel caso di

Gregor Samsa kafkiano) nel mondo. Autori come Ovidio: il poeta delle Apuleio,

mutatae formae,

Dante, sono influenzati dal mito da cui tutti traggono ispirazione.

Diversamente, per Carlo Collodi, Robert Louis Stevenson e Franz Kafka la metamorfosi dei

protagonisti de o

Le avventure di Pinocchio, The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde La

non è influenzata dal mito perché, come ricordava già il poeta satirico Giovenale,

Metamorfosi,

vissuto tra il I e il II secolo d.C., - non è necessario ricorrere al mito, la società contemporanea offre

già esempi paradossali - .

Il paradosso è una costante anche in ambito artistico specialmente nel movimento d’Avanguardia del

Surrealismo in cui gli artisti grazie “all’automatismo psichico puro”, dipingono qualsiasi immagine

gli si presenti in mente. Non è dunque strano che le figure rappresentate abbiano una natura

allucinatoria.

Anche in ambito scientifico e naturalistico trova spazio la tematica della metamorfosi, anche se con

caratteristiche diverse. Infatti la teoria dell’ induzione elettromagnetica spiega la relazione che

intercorre tra il campo elettrico e il campo magnetico relazione a cui può essere associata l’ idea

della trasformazione tra un campo e l’ altro e la loro complementarietà.

Il tema della metamorfosi trova dunque risonanza anche nelle scienze naturali, in cui si studiano, per

esempio, le rocce metamorfiche originate dopo vari processi di metamorfismo.

Voglio dunque affrontare ciò in questa tesina, ponendo l’ accento su come l’ argomento della

metamorfosi abbia caratteri eterogenei in ambiti del sapere diversi. 3

1. LA METAMORFOSI IN AMBITO LETTERARIO

In ambito letterario il tema della metamorfosi occupa un posto di tutto rilievo. Presente in misura

massiccia nel mito e nel folclore, la metamorfosi (dal gr. “scambio di forma”) appare

Metamòrphosis,

come tema quasi onnipresente.

La metamorfosi presuppone una concezione dinamica del reale, percepito come un fluire in cui gli

esseri individuali possono trapassare da una forma all’altra superando i confini convenzionali tra i

vari regni (animale, vegetale e umano) e tra umano e divino.

In tanta varietà, è possibile individuare un tipo particolare di metamorfosi: quella in cui la

trasformazione evidenzia la vera natura dell’essere che la subisce, fissandone l’identità più profonda,

resa evidente nel bene o nel male attraverso l’aspetto assunto dal soggetto.

, di Pigmalione e la statua o di Apollo e Dafne di Publio Ovidio

È appunto il caso di Atteone (1) (2) (3)

Nasone , di lucio-asino apuleiano , ma è anche il caso, ad esempio, del dantesco Pier della Vigna

(4) (5)

, di Pinocchio che diventa bambino, o del moderno kafkiano Gregor Samsa mutato in scarafaggio.

(6)

Una metamorfosi, insieme psicologica e fisica, è quella invece della creatura stevensiana di Dr Jekyll

che allo stesso tempo è il folle Mr. Hyde.

1.1 Ovidio e l’universo delle metamorfosi

Proemio 1-4

In nova fert animus mutatas dicere formas

corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas)

aspirate meis primaque ab origine mundi

ad mea perpetuum deducite tempora carmen.

Nell’ambito della letteratura latina l’autore che affronta più

diffusamente il tema della metamorfosi è senza dubbio

il quale nell’ampio poema epico - didascalico dal

Ovidio,

titolo scritto in 15 volumi in esametri

Metamorphoseon libri

tra il 2 e l’8 d.C. , narra in forma continuata le trasformazioni

di dèi ed eroi, in un grandioso affresco di grande suggestione

narrativa.

Giustificando la propria scelta sulla base della teoria pitagorica

della metempsicosi- illustrata come fondamento religioso della

metamorfosi nel XV libro- Ovidio di fatto, si abbandona al

gusto per la narrazione, intrecciando vicende di varia ampiezza

e significato, collegate per analogia o per antitesi, accostandole

o, più spesso, incastrandole l’una nell’altra. Inoltre, dato

importante, ogni creatura, trasformata in un altro essere

continua a possedere la sua

capacità raziocinante originale;

ciò vuol dire che se la trasformazione avviene in qualcosa di

negativo, questo dato diverrà causa di maggior dolore e lamenti.

Tra le metamorfosi narrate da Ovidio, una delle più note è quella

di il cacciatore figlio di

Atteone,

Aristeo e di Autònoe, il quale è trasformato in cervo dalla dea

Diana poiché questa punisce il ragazzo per empietà, nonostante 4

sia involontaria: Atteone vede accidentalmente Diana e le sue ancelle senza veli mentre codeste sono

presso delle fonti per bagnarsi.

Il ragazzo si vede così trasformato in cervo, ma presto si vede essere inseguito dai suoi stessi cani di

cui poco prima ne era il padrone.

Met. III, 193-206

Nec plura minata

dat sparso capiti vivacis cornua cervi,

dat spazium collo summasque cacuminat aures

cum pedibusque manus cum longis bracchia

mutat

cruribus et velat maculoso vellere corpus;

aditus et pavor est: fugit Autonoeius heros

et se tam celerem cursu miratur in ipso.

Ut vero vultus et corna vidit in unda,

“ me miserum!” dicturus erat: vox nulla secuta

est;

ingemuit: vox illa fuit, lacrimaeque per ora

non sua fluxerunt; mens tantum pristina mansit.

Quid faciat? Repetatne domum et regalia tecta

An lateat silvis? Pudor hoc, timor impedit illud.

Dum dubitat, videre canes[…].

La vicenda di Atteone è ripresa poi in età barocca quando Giambattista Marino scrive Idilli

favolosi:

Idilli favolosi 536-564

Ahi chi credea che ’n animo celeste

Albergasse tant’ira? Ecco in un punto

Sorgere in aria e circondarmi un turbo,

ond’io (come, non so) ratto trabocco

dal tronco in giù precipitoso al piano.

E quivi alfin m’avveggio

de la trasfigurata mia persona.

Sventurato! Ch’a

Pena di quel fatal umor spruzzato e molle,

tosto m’abbandonò l’umana forma:

stendesi il collo, e de le guance il tratto

in mascelle s’allunga; il naso e ’l mento

si nasconde e si spiana

e la bocca viril s’aguzzza in muso;

de le gambe robuste

s’assotiglian le polpe: i duo sostegni

del corpo si fan quattro,

e ha ciascun di loro l’ unghia divisa;

cresce su per le membra,

già candide, or di nero

pomellate e di punti

variate e distinte, irsuto pelo.

Veggiomi pullulando

Spuntar su la cervice 5

i germogli de l’ossa, indi repente,

arboreggiando al ciel, selva di corna

farmi con cento rami ombra a la fronte.

Insolita paura

entrar mi sento ad abitar nel petto.

Come vera e propria allegoria della potenza creatrice dell’arte, inoltre, si pone la vicenda di

abile artista che, dopo aver tratto dall’avorio una bellissima statua di donna, con il suo

Pigmalione, stesso amore e con l’aiuto della dea Venere le infonde la vita:

Met. X, 280-289

Tornato a casa, corre a cercare la statua della sua fanciulla

e chinatosi sul letto la bacia: sembra che emani tepore.

Accosta di nuovo la bocca e con le mani le accarezza il

seno;

sotto le dita, l’avorio s’ammorbidisce e, perduto il suo

gelo,

cede duttile alla pressione, come al sole torna morbida

la cera dell’Imetto e, plasmata dal pollice, si piega

ad assumere varie forme, adattandosi a questo impiego.

Stupito, felice, ma incerto e timoroso d’ ingannarsi,

più e più volte l’innamorato tocca con la mano il suo

sogno:

è un corpo vero! Sotto il pollice pulsano le vene.

Una vicenda altrettanto famosa è quella di ninfa mutata in alloro mentre cerca di sfuggire al

Dafne,

dio Apollo:

Met I, 543-552

Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa

allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e:

“aiutami, padre”, dice. “Se voi fiumi avete qualche potere,

dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo

piacqui”.

Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue

membra,

il petto morbido si fascia di fibre sottili,

i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;

i piedi, così veloci un tempo, s’inchiodano in pigre radici,

il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore

conserva. 6

Anche Gabriele D’ Annunzio si sofferma sul mito di Apollo e Dafne. Infatti, ne L’ oleandro,

che appartiene alla raccolta (1903), si racconta proprio la trasformazione di Dafne in

Alcyone

pianta. Certamente lo spirito è ben diverso a quello del poeta latino; nei versi di D’ Annunzio

Dafne anela a unirsi ad Apollo, la sensualità è molto accentuata:

Alcyone, L’ oleandro 320-346

Il dolce crine è già novella fronda

intorno al viso che si trascolora.

La figlia di Penèo non è più bionda;

non è più ninfa e non è lauro ancora.

Sola è rossa la bocca gemebonda

che del novello aroma s’insapora.

Escon parole e lacrime odorate

dall’ ultima doglianza. O fior d’estate,

prima rosa del lauro che s’infiora!

Tutto è già verde linfa, e sola è sangue

la bocca che querelasi ininterrotta-

mente. In pallide fibre il cuor si sface

ma il suo rossore è in sommo della bocca.

Desioso dolor preme l’amante.

Guarda ei l’arbore sua ma non la rocca;

l’ode implorare ma non ha virtù.

E chiama: “Dafne! Dafne!”. Ella non più

Implora, non più geme. “Dafne! Dafne!”.

Ella non più risponde: è senza voce.

Pur la gola sonora è fatta legno.

Le palpebre son due tremule foglie;

li occhi gocciole son di umor silvestro;

bruni margini inasprano le gote;

delle tenue nari è appena il segno.

Ma nell’ ombra la bocca è ancora sangue,

solo nel lauro la bocca di Dafne

arde e al dio s’offre, virginal mistero.

1.2 Apuleio e l’“Asinus Aureus” I, 1

At ego tibi sermone isto milesio varias fabulas conseram

auresque tuas benivolas lepido sussurro permilceam modo

si papyrum Aegyptiam argutia Nilociti calami inscriptam

non spreveris inspicere, figuras fortunasque et in se rursum

mutuo nexu refesctas ut mireris.

Valenza più profonda ha la doppia metamorfosi di Lucio

nelle apuleiane. Essa infatti, oltre che spunto

Metamorfosi

per un racconto divertito e dilettevole, si presente anche

come vera e propria vicenda iniziatica. In quest’ottica, la

7

trasformazione di Lucio in asino appare chiaramente come una punizione, un’“imbestiamento” che

simboleggia la degradazione di Lucio, prono ai piaceri del sesso e schiavo della sua insana curiositas

verso la magia: l’animale in cui si trasforma è l’asino, animale “basso” e simbolo del Male e della

carnalità.

Infatti, nel capitolo 24 del III libro, Apuleio dice che la schiava

Fotide, conosciuta da Lucio presso la casa dell’amico Milone, la

cui moglie Panfile aveva la fama di essere una maga, decide di

rubare alla padrona una “polvere magica” per donarla a Lucio.

Panfile però prende un unguento sbagliato e non appena Lucio si

massaggia le membra con essa “plane pili mei crassantur in setas

et cutis tenella duratur in corium et de spinae meae termino

grandis cauda procedit. Iam facies enormis et os prolixum et

nares hiantes et labiae pendulae; sic et aures inmodicis

horripilantant auctibus.”

Dopo molte fatiche e avversità, però, grazie all’intervento della

dea Iside, Lucio (XI, 13) ritornerà alle fattezze umane per poi

essere pronto all’iniziazione ai culti misterici della stessa dea.

Infatti non appena l’ asino mangia la corona di rose, “squalens pilus defluit, cutis crassa tenuatur,

pedes sunt, sed in erecta porriguntur officia, cervix procera cohibetur, os et caput rutundatur, aures

enormes repetunt pristinam parvitatem, dentes saxei redeunt ad humanam minutiem et, quae me

potissimum cruciabat ante, cauda nusquam (comparuit)!

1.3 Dante e Pier della Vigna

La tematica della metamorfosi non si esaurisce certo con la fine del mondo classico, ma continua a

permeare di sé l’intera letteratura medievale, assumendo nuovi significati riguardo al mutato contesto

culturale.

All’interno della nell’ambito della “concezione figurale” di cui parla Erich Auerbach,

Commedia,

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