II principio della termod. (formulazione di Kelvin- Planck).

Messaggioda turtle87 » 21/04/2009, 12:21

Qualcuno mi può parlare della genesi di questo principio, di come sia stato possibile formularlo, basandosi su quali evidenze sperimentali?

Modifico il thread alla luce delle non molto feconde investigazioni su un principio che comunque rimane astratto, e quindi incapace di essere profondamente compreso da uno come me che non è entrato ancora in un meccanismo.

Dunque, l'enunciato di Kelvin-Planck dice che "è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasformare il calore attinto da un unica sorgente in lavoro".

Detta così questa frase può voler dire molte cose. Proverò a dire quali sono i miei dubbi principali, anche abbastanza banali.

Suppongo due sorgenti $T_c$ e $T_f$ e una macchina termica "in mezzo", che chiamo "M".
Dunque, prima di tutto definiamo una sorgente: una sorgente è un ente termodinamico capace di mantenere costante la sua temperatura (il discorso sulla capacità termica mi riservo di approfondirlo in seguito”; mi pare di aver sentito altresì dire che una sorgente ideale ha una capacità termica infinita).
Dunque, per sentito dire forse, durante qualche passaggio letto o ascoltato da qualche parte, ipotizzo che una trasformazione termodinamica che trasformi spontaneamente il calore in lavoro presuppone l'esistenza di una sorgente termica più fredda da quella dal quale il sistema attinge calore, per realizzare una sorta di flusso calorico tra le due sorgenti, flusso calorico mai totalmente trasformato in lavoro.
C'è il classico esempio riportato per annunciare l'impossibilità di un moto perpetuo di seconda specie, quello dell'impossibilità di realizzare una nave alimentata totalmente dal calore del mare.

Immagino allora lo stesso sistema, con una nave minuscola, un mare delle dimensioni di una pozzanghera, e una campana di vetro attorno al sistema a creare il vuoto, o meglio, a isolare termicamente il sistema. Oppure, forse è meglio, una campana di vetro grande quanto tutto il mare.
Potrei capire la validità del secondo principio solo ammettendo che la nave coincida contemporaneamente con $M$ e con $T_f$. Il mare fornirebbe calore $Q_c$ alla nave, che per effetto di parte del calore fornitole ”compirebbe lavoro”. Un’altra parte del calore fornito alla nave costituirebbe la quantità $Q_f$ dissipata durante la trasformazione. Dissipata dove? Nelle molecole della nave stessa.
Interpretazione statistica rudimentale: viene trasferito del calore dal mare alla nave; il sistema acquista energia, $E$. Parte dell’energia viene trasformata in lavoro, quindi manifesta effetti macroscopicamente rilevanti : la barca si muove. Parte del calore, invece, viene immagazzinato dalle molecole della nave, ed alza l’energia interna della nave stessa $U$. Unica condizione ovviamente è quella che la nave, prima della trasformazione, si trovi a una temperatura inferiore a quella della sorgente termica calda, ossia della nave.

Supponiamo ora che il motore della barca sia soggetto a processo reiterato: anche se non abbiamo a che fare con un ciclo, pare evidente che il trasferimento di calore dalla sorgente calda marina alla nave debba esaurirsi quando la nave stessa raggiunge la stessa temperatura del mare: da qui l’impossibilità della perpetuità del moto.
Prima ho detto erroneamente che la nave si identificava sia con $M$ che con $T_f$. In effetti, l’ho detto supponendo che la nave stessa potesse mantenere costante la temperatura $T_f$. Ovviamente in tal caso, parlare di una sorgente “esterna” alla nave e parlare di una sorgente “coincidente” con la nave stessa potrebbe avere lo stesso significato concettuale.

L’enunciato di Kelvin-Planck potrebbe allora essere enunciato così:
“è possibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasformare il calore attinto da un unica sorgente in lavoro SOLO SE la macchina soggetta a tale scambi di calore sia capace, “magicamente”, di mantenere costante la sua temperatura".

Se ovviamente la sorgente fredda è esterna al sistema-macchina considerato, allora alla fine, contestualmente al lavoro compiuto dalla macchina, l’aumento di energia interna si realizzerebbe in questo sistema sorgente fredda, e non sulla macchina stessa.

Mi pare di poter prendere ad esempio il caso di una mongolfiera con una fiamma al suo interno. Il sistema è realizzato tenendo presenti anche le leggi dei fluidi, ossia la spinta ascensionale che riceve l’aria a minore densità, in quanto riscaldata, dell’interno della mongolfiera. L’analisi del lavoro è quindi un po’ più complessa, tuttavia spero di poter dire che le forze che agiscono sulla mongolfiera producono lavoro, lavoro che fa salire in alto la mongolfiera stessa. Senza voler troppo lavorare di fantasia, faccio finta che le forze di pressione che agiscono sulla superficie della mongolfiera sull’esterno siano trascurabili rispetto a quelle prodotte all’interno. Non penso siano valori trascurabili, ma il discorso che interessa è un altro, riguarda la conversione del calore fornito dalla fiamma alle molecole di aria che stanno all’interno della mongolfiera. In tal modo, sarebbe trascurabile la resistenza che queste forze compirebbero verso le altre forze, quelle che producono il lavoro ottenuto grazie alla fiamma. Che supponiamo autoalimentantesi magicamente, in modo da costituire praticamente una sorgente termica. In base a tutto quello detto sopra, che costituisce quasi la mia interpretazione del secondo principio della termodinamica nell’enunciato di Kelvin-Planck, la mongolfiera non potrebbe salire all’infinito (in un ipotetico cielo infinito fatto di una sostanza omogenea) poiché parte del calore fornito dalla fiamma finirebbe per passare ai nucleoni delle molecole di aria (che comincerebbero a compiere il cosiddetto lavoro disordinato, non microscopicamente rilevabile) ed a quelli dell’involucro della mongolfiera. Prima o poi la temperatura della mongolfiera, del sistema aria interna + involucro della mongolfiera quindi, diventerebbe uguale a quella della fiamma, decretando anche in questo caso la non perpetuità del moto della mongolfiera.

Resta il problema di definire in realtà quale sia il reale significato delle sorgenti termodinamiche. Se è vero che sono modelli (ho citato la pura "magia" nel considerare nave e mongolfiera come sorgenti termodinamiche!) e quindi irrealizzabili in realtà, mi risulta difficile capire quali possano essere due sorgenti. Qualcuno mi può fare qualche esempio, qualche macchina che sfrutti per gli scambi di calore due sorgenti $T_1$ e $T_2$ dalla temperatura praticamente invariabile? Oppure nella realtà tali sorgenti si realizzano, esistono solo se ricreate con, per es., motorini elettrici e termostati che utilizzano piccole (trascurabili) quantità di lavoro per mantenere tali temperature costanti?
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Messaggioda holmes » 24/04/2009, 20:20

Le sorgenti sono ideali la risposta è esattamente nell'ultima domanda.
La risposta sta nel fatto che la temperatura di un corpo è l'indice dell'energia cinetica che mediamente possiede ogni particella costituente il corpo stesso,
Se una sorgente termica esistesse fisicamente per come è pensata idealmente sarebbe una fonte inesauribile di energia.

Per quanto riguarda l'enunciato, osservare che una comune esperienza è che il calore fluisce da corpi a temperatura maggiore verso corpi a temperatura minore spontaneamente, l'inverso di questo processo è un fenomeno possibile ma assai improbabile, dunque se si è in presensa di una sorgente T1, se si vuole prendere da essa del calore ,diciamo gratis, si deve avvicinare ad essa una sorgente più fredda cosi che il calore fluisca spontaneamente, di mezzo ci si mette una macchina termica che lo sfrutta. Se la sorgente fredda non esistesse no si avrebbe il flusso di calore.

Poi se la macchina termica ha una sua temperatura, e tale temperatura è minore di T1 allora la macchina stessa puo fare da sorgente di scambio,
cosi facendo pero la macchina nel produrre lavoro deve scaldarsi, perchè a contatto con T1, e quindi parte del calore preso a T1 va perso,
naturalmente la storia va fintanto che la temperatura della macchina non equivale T1, perchè poi si interrompe il flusso di calore spontaneo.
La necessità di due sorgenti dipende grossomodo da questo. In genere la macchina termica fa da tramite da le due sorgenti e si pone ad una temperatura intermedia tra le temperature delle due sorgenti, per cui parte del calore che assorbe per contatto da T1 lo ricede sempre per contatto a T2 ( sorgente piu fredda).
Spero di essere stato utile in qualche modo.
Saluti.
holmes
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Messaggioda turtle87 » 24/04/2009, 21:55

Spero di essere stato utile in qualche modo.


Credo di sì, preferirei porre altre domande però (non riesco a essere sicuro, mi sembra ci manchi qualcosa da parte mia).

L' enunciato di Kelvin Planck vale evidentemente in tutto l'universo, fino a prova contraria. L'universo, per quanto ne so io, potrebbe in linea di principio presentare fenomeni in cui sono coinvolti scambi di calore attraverso il vuoto.
Tutto quello che dirò potrebbe essere pura fantasia, quindi spero che eventuali lettori non si scandalizzino.

Suppongo una macchina capace di convertire calore in lavoro, vagante nel vuoto con una certa velocità $v_0$, non soggetto a forze gravitazionali. La macchina riceve il calore da parte del Sole (non so come avvengono i fenomeni di irraggiamento, suppongo che possano non avvenire con la macchina nell'orbita solare, un puro scambio di energia interna, insomma, ipotetico), ma trovandosi nel vuoto, non posso supporre che vi sia un fluido capace di fungere da sorgente fredda. In questo caso, basandomi anche sulle parole di Holmes, la sorgente fredda è costituita dalla macchina stessa?

Perchè se così non fosse: 1) O io non ho capito il principio; 2) Oppure ci sarebbe una cessione pura di calore ad un corpo, e tale cessione di calore sarebbe fine a sè stessa, non produrrebbe lavoro, riscalderebbe esclusivamente il corpo, facendone aumentare la temperatura: qualche componente del corpo atta ad effettuare il trasferimento continuerebbe a muoversi con velocità $v_0$ (essendo solidale ad un sistema di riferimento inerziale in quanto in moto con velocità costante rispetto al sistema di riferimento delle stelle fisse), poichè, essendo nullo il lavoro, l'energia cinetica non muterebbe.

La mia interpretazione è quella che mi pare di aver capito da Holmes: la macchina funge contemporaneamente da convertitore di calore in lavoro e da sorgente fredda: parte dell'energia trasferita produce variazioni macroscopicamente rilevabili, convertendosi in lavoro, un'altra parte invece si trasferisce alle molecole dei dispositivi fisici della macchina stessa. Prima o poi la macchina va in equilibrio termico con la sorgente, e la conversione di calore si interrompe: impossibilità del moto perpetuo di seconda specie (ovviamente nel caso del Sole non riesco bene a interpretare: probabilmente il corpo fonderebbe prima di raggiungere l'equilibrio).

Spero di non aver detto eresie.
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Messaggioda Falco5x » 24/04/2009, 23:33

In questo enunciato di Kelvin-Planck c'è qualcosa che non mi torna, forse manca qualcosa (io non sono esperto di termodinamica, abbiate pazienza...).
Se penso alla sola fase espansiva di un ciclo di Carnot, assisto veramente alla trasformazione integrale del calore attinto dalla sorgente calda in lavoro. Se ci si fermasse qui sarebbe ben possibile contravvenire al principio!
Forse manca un concetto, che è quello di poter anche riportare il sistema alle condizioni termodinamoiche iniziali, cosa che probabilmente voi nella vostra disamina avete implicitamente sottinteso.
Infatti se mancasse il serbatoio freddo, tornando in modo reversibile alle stesse condizioni iniziali si ripercorrerebbero esattamente le stesse curve e occorrerebbe fornire al sistema tanto lavoro di compressione quanto ne è stato estratto durante le fasi di espansione.
Il che significa anche che nessuna macchina può costituire serbatoio freddo per se stessa, poiché una volta saturato il suo serbatoio interno di calore finirebbe di funzionare.
Mi sembra insomma che nell'enunciato di K-P (e non so se quello riportato da Turtle sia completo) si dovrebbe specificare "è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica ciclica il cui unico risultato sia quello di trasformare il calore attinto da un unica sorgente in lavoro", o qualcosa del genere. O mi sbaglio?
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Messaggioda holmes » 25/04/2009, 01:31

Il postulato afferma che non è possibile eseguire una trasformazione che abbia come unico risultato la trasformazione di calore in lavoro.
Nella fase espansiva , se ci si fermasse li, sarebbe una trasformazione che come risultato ha si la trasformazione di calore in lavoro, ma da anche una variazione di volume, quindi non è interessata dal teorema, il teorema si riferisce a trasformazioni che come risultato abbiano solo la trasformazione di calore in lavoro.
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Messaggioda Falco5x » 25/04/2009, 06:54

holmes ha scritto:Il postulato afferma che non è possibile eseguire una trasformazione che abbia come unico risultato la trasformazione di calore in lavoro.
Nella fase espansiva , se ci si fermasse li, sarebbe una trasformazione che come risultato ha si la trasformazione di calore in lavoro, ma da anche una variazione di volume, quindi non è interessata dal teorema, il teorema si riferisce a trasformazioni che come risultato abbiano solo la trasformazione di calore in lavoro.

Interessante questo tuo chiarimento. La questione è sottile, mi sembra. Infatti per fare lavoro verso l'esterno è necessario per forza aumentare il volume, infatti $dL=PdV$. Senza aumento di volume mi sembra che non sia neanche concepibile parlare di lavoro, e quindi l'enunciato avrebbe poco senso. Perciò se l'enunciato suttintende "a parità di coordinate termodinamiche del sistema", fatta le prima espansione si dovrebbe tornare al volume iniziale. Ma senza una sorgente fredda il lavoro di ricompressione sarebbe uguale a quello di espansione, con risultato nullo. Allora se come dici tu nella formulazione del principio è implicito e si deve intendere che le variabli termodinamiche del sistema restano le stesse, io dico che affinché l'enunciato abbia senso mi pare necessrio implicitamente ammettere che il sistema non resta fermo (altrimenti non farebbe lavoro), ma semplicemente torna alla condizione iniziale. Insomma il concetto di ciclo sarebbe dunque già implicito nella formulazione senza bisogno di nominarlo. Questa però è solo la mia interpretazione.
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Messaggioda turtle87 » 25/04/2009, 15:26

Senza aumento di volume mi sembra che non sia neanche concepibile parlare di lavoro, e quindi l'enunciato avrebbe poco senso


Penso che valga per i sistemi chiusi, quelli in cui non c'è scambio di materia con l'esterno (l'esempio più tipico è il sistema pistone cilindro.

Ecco una cosa che non avevo considerato. In effetti, l' espressione "il cui unico risultato" io la riferivo solo al lavoro eventuale apportato dall'esterno, che doveva servire ad annullare quella parte di calore che fluisce inevitabilmente alla sorgente fredda non trasformandosi in lavoro.

Ho trovato questo link che potrebbe essere di aiuto:

Testo nascosto, fai click qui per vederlo
http://www.science.unitn.it/~fisica1/fisica1/appunti/termo/cap_5/cap_5_1.htm
turtle87
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Re: II principio della termod. (formulazione di Kelvin- Plan

Messaggioda Sidereus » 25/04/2009, 20:45

turtle87 ha scritto:Dunque, l'enunciato di Kelvin-Planck dice che "è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di trasformare il calore attinto da un unica sorgente in lavoro".


Penso che l'enunciato debba essere interpretato in relazione con il primo principio della termodinamica.

Dal primo principio, sappiamo che $\Delta U + L =Q$.
Se un sistema assorbisse calore Q da una sorgente e lo trasformasse completamente in lavoro senza altro risultato, allora l'energia interna finale sarebbe uguale a quella iniziale: $\Delta U=0$. In particolare, un tale sistema sarebbe capace di produrre lavoro sull'universo esterno senza minimamente riscaldarsi: l'enunciato di Kelvin afferma che ciò è impossibile.

Non resta che ammettere che quando una macchina lavora in ciclo (cioè con $\Delta U =0$), deve necessariamente prodursi del calore (oltre al lavoro): se questo calore non è presente nel sistema, allora esso deve essere stato assorbito dall'esterno.
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Re: II principio della termod. (formulazione di Kelvin- Planck).

Messaggioda Tiberio Simonetti » 10/11/2016, 18:31

INTRODUZIONE AL PROGETTO DI UN IMPIANTO PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA MECCANICA CHE HA COME APPORTO ENERGETICO ESTERNO SOLO ACQUA O ARIA A TEMPERATURA AMBIENTE
(concessione brevetto UIBM N° 0001383773)

Si vuole prima di tutto evidenziare le potenzialità del fluido acqua a temperatura ambiente. Ad esempio, è possibile considerare una temperatura media annua intorno ai 20 °C se il liquido riempie una vasca munita di opportuni assorbitori montati verso l’esterno.Ora un kg d’acqua a 20 °C può cedere all’impianto (il sistema ha all’interno come fluido vettore aria liquida a 130 Kelvin) 15 Kcalorie, (diminuzione di temperatura da 20 a 5 ° C ) che corrispondono grosso modo a 63 KJoul / sec, ed è come se un impianto Solare termodinamico concentrasse la bellezza di 63 specchi di 1,2 metri quadrati ognuno (per un totale di 63 kw) su un volume di 1 dm cubo, sapendo che il Sole irradia 1000 w / sec su un metro quadrato di superficie. In questo modo il ricevitore montato nella zona del fuoco parabolico fonderebbe nel giro di pochi secondi. La nostra mente, purtroppo,abituata allo studio ed al funzionamento degli impianti a carbone, gas o petrolio mal interpreta un’idea che basa la sua teoria sull’uso dell’energia prodotta assorbendo energia termica ambiente. Vorrei fare un paragone adesso, tra un impianto a vapore ed un impianto ad aria liquida. Nel vapore il fluido vettore è appunto l’acqua che deve essere prima vaporizzata e poi surriscaldata ad una temperatura almeno di 400 ° C per renderla simile ad un gas. Per poter operare in questo modo sono necessari alti valori energetici prelevandoli dal carbone. Ora è vero che se scegliamo come fluido vettore l’acqua che ha una temperatura CRITICA di 374 ° C è necessario per forza usare carbone, mentre tutta questa energia potrebbe non essere necessaria se al posto dell’acqua venisse usata ARIA LIQUIDA. Quest’ultima infatti ha TEMPERATURA CRITICA pari a 132,7 Kelvin ( circa 140 °C sottozero) ed una eventuale passaggio di stato da liquido a gas potrebbe essere effettuato usando solo esclusivamente energia termica ambiente (estraendola in questo caso dall’acqua o se si vuole anche dall’aria esterna).Il superamento della temperatura critica, renderebbe il fluido incomprimibile se racchiuso in uno spazio molto ristretto, (spazio precedentemente occupato allo stato liquido) sviluppando pressioni tali da rompere il contenitore metallico in cui è racchiuso, comportandosi come una bomba ad orologeria. L’esempio adesso descritto è del tutto simile ad un impianto Solare termodinamico ad alta concentrazione in cui l’energia radiante converge su un punto e cede energia al fluido all’interno del concentratore. Ma anche l’acqua (che ha assorbito energia dal Sole) cede energia al fluido criogenico, mettendolo in condizioni di sviluppare energia di pressione per centinaia di atmosfere. Tornando allora all’acqua contenuta nella vasca è intuibile che la cessione di 15 kcal /sec ad un gas criogenico liquido, è una potenza rilevante se proporzionata al volume in cui è contenuta (volume di 1 kg di aria liquida = 1,14 dm cubi). Se poi, il ricevitore criogenico (che assorbe energia scambiando con l’acqua esterna) dell’impianto è a 143 °C sottozero e la cui temperatura critica vale ad esempio 132,7 Kelvin, possiamo programmare lo sviluppo di una pressione intorno alle 60 – 300 Atm ( ma se si vuole se ne possono ottenere anche 600 senza alcuna spesa energetica, infatti lo sviluppo della pressione ad inizio ciclo viene decisa in base al volume che il fluido occupa nello stato liquido quando ha già superato la barriera della valvola di non-ritorno) ed una espansione isobara, isotermica durante (a 293 Kelvin), ed infine adiabatica, con produzione di lavoro positivo (con energia assorbita dall’ambiente) superiore di ben 3 volte a tutta l’energia negativa necessaria affinchè il fluido vettore torni di nuovo allo stato liquido. Il progetto rispetta ampiamente il II° principio termodinamico in quanto ha un generatore di energia a temperatura ambiente ed un pozzo a circa 153° C sottozero perfettamente isolato in autosostenimento . Il gas infatti all’interno del pozzo assorbe prima l’energia di liquefazione (entalpia residua + energia ed attriti della compressione isotermica, come in un normale condensatore di vapore nelle centrali a vapore) essendo questo ad una temperatura iniziale di 120 Kelvin, e poi restituisce la quantità di calore all’aria, quando questa, essendo di nuovo entrata nel settore di inizio espansione, ha bisogno di energia per espandere ( sistema ad autosostenimento). Il gas per fare questo, effettua prima una compressione adiabatica-isotermica fino ad una temperatura di 150 Kelvin CEDENDO UNA PARTE DELL’ENERGIA DI COMPRESSIONE ALL’ARIA LIQUIDA ed essendo questa ancora a 130 Kelvin (quindi più fredda rispetto al gas) riprenderà tutto il calore ceduto nella liquefazione (sbalzo di temperatura tra i 150 K del gas ed i 130 K dell’aria ). Il gas poi alla fine, effettuerà un’espansione adiabatica (espansione su una turbina adiabatica creando lavoro positivo e quindi un ulteriore raffreddamento del fluido) , restituendo parte dell’energia usata per la sua compressione, e terminerà con una temperatura di 2 / 3 Kelvin inferiore alla temperatura di partenza. E’ sempre e solo una questione di ENERGIA RADIANTE IN TRANSITO. Se batte sulla sabbia del deserto è reirradiata quasi istantaneamente, se batte su un impianto fotovoltaico si trasforma subito in energia elettrica, mentre se batte sull’acqua può essere trasformata prima in energia di pressione e poi in energia meccanica con il movimento di una turbina ( l’acqua dovrà recuperare energia termica tornando in ambiente). Il conto energetico andrà alla pari, quando l’energia fotovoltaica o quella meccanica si saranno trasformate di nuovo in energia termica ambiente che verrà espulsa verso gli strati più alti della nostra atmosfera. Le macchine elettriche, alimentate dall’impianto, non faranno altro che cedere energia in ambiente al posto dell’acqua. Per dare una proporzione tra potenza sviluppata e volume occupato è possibile fare un calcolo di massima : una stanza lunga 10 metri, alta 2 e larga 5 (ossia 100 metri cubi) può contenere un impianto da 100 kw / ora elettrici. In sostanza vengono prodotti 1 kw elettrico per ogni metro cubo di volume occupato.

Torno ancora a fare alcune considerazioni in generale sui concetti del II° Principio. Quì non vengono messi in discussione minimamente le fondamenta sulle quali tali principi si basano (ci mancherebbe altro). In sostanza l’energia radiante che continuamente batte sulla zona esposta , immagazzina energia termica che viene dissipata nel momento in cui la stessa zona entra in ombra nel periodo notturno. Si è in presenza quindi, di energia costantemente in transito nel periodo giorno-notte. Nel merito , il liquido acqua trasforma in energia termica l’energia radiante durante il giorno e la elimina durante la notte (tempo medio circa 12 ore). L’impianto allora non fa altro che accelerare la velocità con cui avviene questo processo, e anzichè impiegare circa 12 ore, sottrae all’acqua, in 1 secondo i 15 °C ( 20 K amb – 5 K finali )che invece se ne sarebbero andati in ogni caso verso gli strati più alti della nostra atmosfera. Lo sbalzo di temperatura all’interno dell’impianto non ha come valore finale la T ambiente, ma il valore che il deposito criogenico (imp. interno) ha e che è costantemente a circa -180 °C. Questo deposito non va mai in saturazione (ossia il pozzo non si riempie mai) perchè l’azoto (oppure aria) nel momento della risalita (cambio di stato liquido-gas) ha bisogno di energia termica per superare lo stallo in cui si trova. Ecco che allora arriva in aiuto il circuito interno il cui fluido dopo aver assorbito energia di liquefazione dall’azoto ( perchè molto più freddo dell’azoto stesso)subisce una compressione in modo tale (aumento della temperatura a circa 20 K sopra la T dell’azoto , ossia a circa 150 K ) che esso possa scaricare tutta l’energia di liquefazione (compreso gli attriti) verso L’azoto , facendogli superare il punto critico. Il fluido frigorifero, scaricata la “zavorra”, ed essendo stato compresso ISOTERMICAMENTE ( per la presenza dell’azoto che continuamente assorbe energia termica nello scambio) espanderà di nuovo restituendo energia meccanica POSITIVA , con una T finale di qualche Kelvin più bassa rispetto al punto di inizio ciclo. Il saldo energetico è nettamente a favore dell’azoto in tutta la zona soggetta ad espansione, e questo è quello che è stato poi dimostrato nell’idea brevettata. (brevetto concesso nell’anno 2010 n° 0001383773)

Per poter comprendere l’idea, non è necessaria una preparazione particolare, ma una predisposizione mentale ad accettare il fatto che sia possibile produrre lavoro anche quando in un impianto ci sia, ad esempio, uno sbalzo di temperatura tra ambiente e zero assoluto e che provochi come conseguenza (con i due fluidi ) anche uno sbalzo di pressione. Ora per definizione si sa che un dispositivo è in grado di produrre lavoro quando ha un accumulo in energia termica, ed uno sbalzo tale, in cui una certa quantità di calore possa fluire da un punto più in alto verso un punto a più bassa temperatura. Ora, non è detto che il punto finale debba essere necessariamente un valore a temperatura ambiente (20 °C), ma potrebbe essere una temperatura finale ben al di sotto degli 0°C. Nel merito uno sbalzo tra temp. ambiente e temp. aria liquida (non è una piccola diff. di temp. ma una diff di circa – 180 °C) è più che sufficiente per ottenere un ciclo positivo tale che permetta la costruzione di un impianto per estrarre energia termica ambiente e trasformarla in energia di pressione e qundi in energia meccanica. L’impianto , in sostanza ha 2 circuiti, uno interno in bassa pressione (1-2 bar sempre sotto forma gi gas) che cicla continuamente dal serbatoio di liquefazione a quello di vaporizzazione, ed un altro in alta pressione ( 10 – 45 – 60 bar max) che occupa lo stato liquido-vapore-gas in espansione, e poi lo stato gas-vapore-liquido nel serbatoio di liquefazione. Quando il fluido esterno (aria) inizia il raffreddamento (espansione adiabatica con cessione di energia meccanica positiva)l’aria in pressione a circa 260 Kelvin viene raffreddata dal fluido del circuito interno fino ad una temperatura tale ( 100 K ) che la metta in condizioni di farla liquefare.

Descrizione delle fasi più importanti :

L’impianto ha 2 circuiti : quello esterno a media-alta pressione che ha il compito di produrre energia positiva mentre quello interno (il circuito frigorifero) è sempre in bassa pressione ( 1 / 2 bar) ed è nello stato perfetto (sempre sotto forma di gas tra i 90 e 100 Kelvin.

Il circuito esterno varia la sua pressione tra 10 e 60 bar , mentre la sua temperatura varia tra 100 e 300 Kelvin ( non più di 300 K altrimenti l’impianto interno (ossia quello frigorifero) che ha il compito di assorbire entalpia di liquefazione dal fluido esterno non riuscirebbe a liquefare l’azoto (fluido esterno) in liquefazione.

L’impianto frigorifero assorbe energia negativa mentre quello esterno produce energia positiva.

L’energia positiva è data da un’espansione isobara all’inizio, ossia quando il fluido azoto è nella fase di vapore ( 130-175 Kelvin e 60 bar= cost), da un’espansione adiabatica-isotermica ( 175-300 Kelvin e 60-15 bar), ed infine un’espansione tutta adiabatica (15-10 bar 300-260 Kelvin)

Per l’impianto esterno si presume un deposito di aria o azoto liquido (pozzo criogenico in autostenimento). Il fluido liquido esce dal pozzo spinto da una pompa per liquidi. la pressione di spinta vale 60 bar ma il suo lavoro è molto piccolo perchè appunto è liquido. Quando il fluido ha superato la valvola di non ritorno è costretto a superare la temperatura critica (cambio di stato) ed a iniziare la fase espansiva.

L’impianto frigorifero assorbe un lavoro negativo molto piccolo rispetto a quello positivo perchè nella zona antecedente la liquefazione le forze attrattive (energia potenziale) avvantaggiano fortemente la ricombinazione delle molecole.

Il fluido dell’impianto frigorifero allora prende-assorbe tutti gli attriti, più l’entalpia di liquefazione (zavorra) dell’azoto e se li porta via. L’azoto (o l’aria) in quelle condizioni liquefa e si deposita nel pozzo criogenico pronto a reiniziare il ciclo.

Il fluido dell’impianto frigorifero deve subito dopo scaricare la “zavorra” assorbita un attimo prima ed essere di nuovo pronto per il ciclo successivo.

Appena l’azoto , come detto prima , supera la valvola di non ritorno
( inizio ciclo espansione con azoto ancora liquido) incontra il fluido dell’impianto frigorifero che gli restituisce la “zavorra” che prima gli aveva tolto ( e questo è il sistema del pozzo criogenico ad autosostenimento ).

ALCUNE RIFLESSIONI SULLE POMPE DI CALORE.
Le pompe di calore ad esempio, assorbono 1 in energia elettrica e restituiscono 3,5 / 4 in energia termica con tutti gli attriti. Ora la mia domanda è questa : è possibile costruire un impianto (quindi una pompa di calore criogenica ) in cui i 4 kjoul di energia termica possano essere convertiti in 1,5/ 2 di energia elettrica, oppure esiste una legge particolare che vieta questa possibilità? No, a me non risulta. Affinchè il dispositivo funzioni è necessario che ci sia uno sbalzo di temperatura e di pressione affinche possa essere prodotto lavoro utile e non è necessario che il valore massimo di temperatura sia per forza sopra gli ZERO °C, MA CHE SIA UN VALORE DI TEMPERATURA SOPRA LO ZERO ASSOLUTO . Ora il punto è dimostrare, se il deposito criogenico in cui il fluido termina il suo ciclo, si autosostiene oppure no. Il deposito criogenico altro non è che un circuito ( circuito chiuso come d’altronde lo è anche l’altro, ossia quello che assorbe energia dall’acqua a 8 /10 ° C in alta pressione interno all’impianto principale ) in cui vengono scaricate le energie di liquefazione ( entalpia di liquf.) ed attriti contenute dal fluido (azoto) in uscita dopo l’ultima espansione adiabatica. Ora si è dimostrato ( concessione uff. brevetti UIBM n° 0001383773) che l’energia necessaria alla liquefazione è minore di quella guadagnata nell’espansione. L’impianto in sostanza ha 2 circuiti ( sempre con azoto ), quello in bassa pressione (sempre sottoforma di gas allo stato perfetto e la cui temperatura è la più bassa dell’intero impianto ) che assorbe l’energia termica di scarto dal circuito principale e l’altro circuito (sempre chiuso a più alta temperatura) che cede l’entalpia di liquefazione e gli attriti all’altro. Una volta liquefatto il fluido (azoto) può essere compresso da una pompa per liquidi e spinto nel circuito di vaporizzazione. Il lavoro negativo assorbito dalla pompa è molto più piccolo dell’intero guadagno positivo ottenuto proprio perchè spinge un liquido e non un gas ( stesso sistema già utilizzato da molti anni negli impianti a vapore ). Adesso la “zavorra” ( scarto di liquefazione) che è sulle spalle del circuito interno deve essere RESTITUITA al circuito esterno affinchè lo stesso ( ossia il circuito interno ) si autosostenga. Il sistema (brevettato) è quello di ricomprimenre ( ma non di molto , solo il necessario affinchè la temperatura di compressione superi di circa 20 Kelvin la temperatura dell’altra condotta ( impianto esterno) in modo tale che i 20 k si scarichino continuamente sul fluido liquido facendolo ritornare nello stato di gas. Ora l’espansione che ne consegue porta con se ( già prima del ritorno nello stato di gas) una pressione di circa 60 bar ( provenienti dalla pompa per liquidi) utili per l’espansione a temperature ambiente. Adesso il ritorno verso il PUNTO CRITICO ( circa 133 k per l’aria e l’azoto) creerà, una situazione di stasi del gas ad inizio espansione fin quando lo stesso non avrà riassorbito l’intera ENERGIA POTENZIALE che gli compete ( L’energia potenziale è da non confondere con l’entalpia di liquefazione, dipende dalla pressione di inizio evaporazione e varia appunto con la temperatura e con la pressione volute nell’impianto).
LA SOMMA DELL’ENERGIA POTENZIALE E QUELLA DOVUTA ALL’ESPANSIONE DEL FLUIDO METTERANNO IN CONDIZIONI L’IMPIANTO INTERNO DI COMPRIMERE IL SUO FLUIDO (a circa 1,6 / 1,7 bar) CON UNA ISOTERMICA QUINDI CON T = COST IN QUANTO TUTTA L’ENERGIA VERRA’ ASSORBITA DALL’ALTRO FLUIDO IN ESPANSIONE. Tutto questo sarà necessario al fluido interno ( che guadagna in pressione ma non in temperatura) per espandere, restituire una parte di energia negativa assorbita nella compressione e finire la sua espansione con 1 / 2 Kelvin in meno rispetto al valore che aveva ad inizio ciclo. ( e questa è la condizione per autosostenersi).

RIFLESSIONI SUGLI IMPIANTI A VAPORE
In un impianto a vapore l’acqua in partenza è liquida ed è intorno agli 80/ 90 °C. La pompa per liquidi che è posizionata nel punto più basso del condensatore di vapore aspira acqua e la invia nel generatore di vapore con una pressione un pò più alta della pressione massima sopportabile in turbina ( circa 245 bar e 520 °C). Ora il guadagno in turbina è di gran lunga più grande del lavoro effettuato dalla pompa dell’acqua proprio perchè questa spinge un liquido e non un gas e diversamente non sarebbe stato conveniente costruire l’intero impianto. Ora l’acqua per essere vaporizzata ha bisogno di molta energia e per essere considerata un gas deve addirittura superare i 374 °C ( 647 Kelvin) richiedendo nel generatore di vapore una combustione ed emissione di CO2 in atmosfera. E’ anche vero che ci sono altri fluidi la cui tensione di vapore è molto più bassa dell’H2O, come ad esempio l’ammoniaca e la stessa CO2. La vaporizzazione allora di alcuni fluidi richiede energia minore rispetto alla H2O , e la stessa cosa vale nel caso della gassificazione. Estendendo questo ragionamento verso fluidi che volatilizzano a pressione ordinaria ( 1 bar ) e temperature sempre più basse ( ben al di sotto degli 0°C) è intuibile che ci sia bisogno sempre di meno energia generata da una combustione (o comunque una concentrazione energetica superiore alla temperatura ambiente) per gassificare il fluido vettore. L’aria ad esempio (meglio però l’azoto) ha una temperatura critica di circa 132,7 Kelvin ( circa -170 °C) ed è ancora liquida se la sua pressione vale 38 bar. Adesso io sostengo che è possibile dimostrare (come in effetti ho fatto) la funzionalità e fattibilità di un impianto in cui sia possibile assorbire energia termica esterna a temperatura ambiente e trasformarla in energia di pressione poi in energia meccanica e quindi in elettrica. Il sistema in sostanza, (ricollegandomi all’esempio fatto all’inizio) è del tutto simile ad un impianto a vapore (in cui ci sono naturalmente perdite meccaniche e dispersive ) dove una pompa meccanica assorbe energia dall’esterno ( e quindi negativa), dove gli attriti e le perdite di portata diminuiscono il guadagno netto ma che è comunque ben superiore ai costi necessari alla riliquefazione del fluido aria.
Saluti
Tiberio Simonetti
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Messaggio: 1 di 16
Iscritto il: 10/11/2016, 18:21

Re: II principio della termod. (formulazione di Kelvin- Planck).

Messaggioda professorkappa » 11/11/2016, 09:40

Non si capisce granche. E' tutto affastellato in un sacco di parole, ma la sostanza e' difficile da capire (almeno per me).
Mi sembra di capire che lei voglia (mi corregga se sbaglio), usare il salto termico tra acqua a 20C e acqua 5C usando come pozzo dell; azoto o dell'aria liquida?
Cosa e' una trasformazione adiabiatico-isoterma?
Da dove salta fuori che la potenza e' 63kJ/sec?

Forse se fa uno schemino d'impianto, si capisce meglio che intende. Ma cosi, molto a lume di naso, mi sembra un pout-pourri di considerazioni senza senso fisico.
La mitologia greca e' sempre stata il mio ginocchio di Achille
professorkappa
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