perché omega è la parte immaginaria? Lì c'è un esponenziale reale moltiplicato per una funzione trigonometrica, da dove escono i numeri complessi? Per fare diventare l'esponenziale un numero complesso dovrebbe esserci l'unità immaginaria all'esponente e poi applicare la formula di Eulero. Eppure mi ricordo che li usavo.
Attenzione! Non c'è alcuna relazione "diretta" tra la forma esponenziale del numero complesso \(\displaystyle \rho e^{i\theta} \) alla quale ti riferisci e tra l'esponenziale moltiplicato al coseno \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \) che ho scritto io, per questa ragione non ti trovi con i conti. La forma esponenziale di un numero complesso è un numero complesso (ovviamente) ma l'esponenziale moltiplicato al coseno è un numero reale e quindi è ovvio che sia impossibile trasformare l'uno nell'altro mediante le comuni rappresentazioni che conosciamo, incluse le formule di eulero che collegano quantità reali a quantità complesse.
Quel risultato si ottiene mediante il processo di trasformazione/antitrasformazione secondo Laplace di un generico fratto semplice di una funzione di trasferimento.
\(\displaystyle G(s)=\frac{1}{[z_1-(\sigma_1 + i \omega_1)][z_2-(\sigma_2 + i \omega_2)]...}=\frac{A}{z_1-(\sigma_1 + i \omega_1)} + \frac{B}{z_2-(\sigma_2 + i \omega_2)} + ... \)
Il passaggio ai fratti semplici permette di interpretare la fattorizzazione di un polinomio come una somma di frazioni i cui denominatori sono i fattori del vecchio polinomio.
Ora, nella teoria dei segnali trasformati secondo Laplace, il segnale di uscita da un sistema a cui è stato applicato un diverso segnale di ingresso, è definito in generale come una combinazione lineare di vari contributi di base: questi contributi sono chiamati "modi" e la forma più generale per rappresentare un "modo" (cioè un singolo contributo) è appunto \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \).
La teoria sui libri spiega che nel dominio della frequenza hai un "semplice" numero complesso: \(\displaystyle \sigma + i\omega \) e, corrispondentemente, nel dominio del tempo hai questa cosa: \(\displaystyle e^{\sigma t} cos(\omega t) \)
Domanda: come ci arrivi?
Risposta: Grazie alle trasformate/antitrasformate di Laplace!
Altra domanda: come mai accade proprio questo tipo di trasformazione e come cavolo fa a funzionare?
Risposta: bella domanda!! E' proprio questo il grande dilemma che non ho capito ma che sono costretto a dare per buono!
In aggiunta a tutto questo, i numeri complessi funzionano anche in applicazioni completamente diverse da tutto quel che ho scritto qui e la cosa assurda è proprio il dover pensare che questa specie di algebra magica riesca a funzionare in cose i cui concetti siano così distanti fra loro! E' davvero riduttivo dire che tutto questo è assurdo! Il bello è che è vero e funziona quindi che ci piaccia o no, che lo acquisiamo o no, dobbiamo accettarlo!
Spero tanto di non aver frainteso le domande e di non esser stato impertinente al tema richiesto.
Molti anni fa su un'enciclopedia avevo letto un accenno agli spazi vettoriali ad infinite dimensioni di Hilbert ho pensato qualcosa tipo "infinite dimensioni, che forza! peccato che non serviranno mai a niente" poi ho scoperto che c'è un'applicazione in fisica quantistica
Io ho letto pochissimo sulla meccanica quantistica perché le mie competenze non sono sufficienti per poterla studiare adeguatamente; fortunatamente i miei esami non la prevedono ma il mese scorso ho studiato gli spazi di Banach con qualche brevissimo accenno agli spazi di Hilbert.
Fino a pochissimo tempo fa la mia immaginazione limitata mi "costringeva" a pensare che gli spazi con più di 3 o 4 dimensioni fossero inutili. Questo avveniva perché mi sono abituato a imparare e a capire la matematica creando delle proiezioni 3D nella mia mente. Ma dopo l'esempio di spazio vettoriale a dimensione infinita, il mio modo di pensare ha iniziato (con molte difficoltà) a cambiare perché ho capito che l'associare delle immagini ai concetti, per quanto potente come stratagemma, è diventato insufficiente. In matematica, superato un certo livello, cercare la proiezione in 3D di quel che si studia porta a compiere molti errori di valutazione e di deduzione perché un immagine non è più sufficiente! Per capire la realtà, un'immagine non è sufficiente, per capire la realtà, ciò che vediamo non è sufficiente!
Cerco di spiegare la mia esperienza:
Provare che uno spazio vettoriale abbia dimensione infinita equivale a provare che una sua base sia costituita da infiniti vettori linearmente indipendenti.
L'esempio è stato trattato con le funzioni viste come oggetti appartenenti a insiemi che sono appunto detti spazi di funzioni; gli spazi di funzioni sono dunque intesi come collezioni di funzioni: per esempio lo spazio delle sole funzioni continue, quello delle sole funzioni limitate, lo spazio delle sole funzioni integrabili e così via.
Se già siamo capaci di comprendere come "l'infinito sia contenuto nel finito" (esempio: un qualsiasi compatto reale) allora non è per niente difficile immaginare che questi tipi di spazi contengano infiniti oggetti e non c'è problema nel far proprio anche questo concetto.
I fondamenti matematici della meccanica quantistica diventano una teoria che riesce a motivare anche ciò che la matematica della meccanica classica non può fare.
Premettendo che ciò che sto per dire è una mia intuizione non supportata da alcuna conoscenza (perciò potenzialmente falsa) gli stati fisici di un qualsiasi ente presente nell'universo sono come il codominio di una funzione, cioè non sono numerabili, sono infiniti e poiché lo studio della fisica è basato su cause e conseguenze delle interazioni tra vari enti dell'universo (ciascuno con il proprio stato fisico) si deve poter considerare ogni eventualità come una combinazione lineare di "oggetti" e dato che ad un evento naturale può sempre aggiungersi un altro evento che modifica il suo stato allora non esiste un numero massimo di oggetti che figurano in una combinazione e per questo è necessario supporre che la dimensione diventi infinita. In altre parole io credo che quando incontriamo il termine "dimensione" non dobbiamo più pensare all'immediata sensazione di "spazio" che ci viene in mente (che peraltro è il processo mentale che ci fa pensare che sia inutile pensare a dimensioni superiori a 3 o a 4) perché se concepiamo la dimensione come il numero di eventi che si possono combinare per ottenere un determinato stato naturale di una qualsiasi particella del nostro universo a quel punto diventa più che ovvio e sensato pensare all'infinito ed ecco qui che spunta la dimensione infinita.
Ribadisco che i miei son soltanto pensieri, non voglio assolutamente fare il "maestro" su nulla.