"Come si collegano algebra e analisi" è una pertinenza che spesso molti matematici puri, che fanno matematica da molti anni, tendono a non avere; il motivo è che la matematica è abbastanza grande da impedire di saperla tutta nel senso letterale.
Una storia degli ultimi due millenni di matematica è circa questa: il problema della figurazione dello spazio risale a Euclide[ogni volta che nomino qualcuno, l'invito inespresso è a googlare la pagina di wikipedia sulla sua vita; perderei tempo che non ho, a farlo io per ogni nome che qui appare]. Negli Elementi, lui è stato il primo a proporre un sistema di regole da cui inferire proprietà relative agli "oggetti" di un opportuno agglomerato di "figure" geometriche. Da un punto di vista moderno, più formalista, quasi nulla della sua opera si può salvare ( per esempio: la costruzione del triangolo equilatero
su un segmento dato si fa considerando le due circonferenze che conosce e prendendo un punto di intersezione delle due, ma chi garantisce che le due circonferenze si intersecano?), da un punto di vista formale, Euclide ha suggerito come le regole dell'inferenza, della deduzione naturale, potessero essere uno strumento per indagare le proprietà di un ente immerso nello "spazio" (questa è la prima intrusione di un'idea eretica nella matematica: le regole della sintassi sono algebriche, le interpretazioni di quei simboli nella semantica sono geometriche).
Passa qualche secolo e arriviamo ad al-Kwharizmi, matematico e astronomo arabo, considerato dalla storiografia il "padre dell'algebra". A lui si deve la prima sistematizzazione delle regole che permettono di risolvere le equazioni di secondo grado (che erano note agli Egizi, e se non ricordo male anche ai Babilonesi in alcuni casi particolari): educato all'astronomia greca e indiana, profondo conoscitore delle opere di Diofanto e Brahmagupta, di cui traduce molte opere, egli non ritiene sufficiente esibire un "algoritmo" (la parola è nient'altro che un calco del suo nome, in
diverse lingue occidentali) risolutore: un problema algebrico che manchi di una soluzione geometricamente evidente è considerato incompleto.
Il vero innovatore di questa visione, tuttavia, è Cartesio. Egli è il primo a esplicitare la constatazione su cui l'intera geometria moderna è stata edificata: un problema geometrico ammette una traduzione in coordinate (ossia esiste un'equazione i cui zeri sono tuple di numeri che corrispondono alle coordinate di punti in uno spazio dotato di un sistema di riferimento -gli "assi cartesiani", appunto-), e una conoscenza precisa delle regole che governano i numeri che identificano le coordinate di quei punti, determina una conoscenza fedele del comportamento degli oggetti geometrici che da quei numeri sono stati etichettati. La geometria analitica, per cui i numeri sono in corrispondenza ai punti di una linea, di un piano, di uno spazio... è nata.
Ora,se solo Kant avesse masticato più algebra! Lungi dall'essere una forma pura dell'intuizione, da Cartesio in poi lo spazio è determinato da un concetto più primitivo, quello di un sistema di coordinate. Husserl vedeva nella geometria lo spazio e nell'algebra il tempo: l'idea per cui la dimensione temporale influenzi quella spaziale, definendone la sorte, è più antica sia di lui che di Einstein.
Temporalmente nel mezzo tra questi due personaggi, si colloca il tentativo di Hamilton di trovare un soddisfacente modello algebrico in cui scrivere le equazioni di Maxwell (che coinvolgono grandezze pseudo-vettoriali, per la precisione elementi di quelle che furono chiamate algebre di Clifford-Hamilton). Tale tentativo si rivela fallimentare: non è possibile aggirare un problema di segnatura che i quaternioni (così Hamilton chiamò i suoi numeri): la metrica naturale dello spazio(-tempo) deve avere dei vettori isotropi, le rette lungo le quali si propagano i raggi di luce. La metrica naturale sull'algebra dei quaternioni è invece definita positiva. Non sembra quindi esistere un modo "ovvio" di dare significato geometrico alle grandezze pseudovettoriali; un retaggio di quella avventura resta, però, proprio nel modo in cui fisici e ingegneri imparano a chiamare gli assi di un riferimento tridimensionale ortogonale: i "versori" \(i,j,k\) sono esattamente i generatori di un'algebra a base reale, dove analogamente a quanto fanno i numeri complessi estendendo \(\mathbb R\) a un insieme di somme \(a+ib\) definite dalle regole \(a,b\in\mathbb R\) e \(i^2=-1\), un quaternione è una quaterna -appunto- \(a+ib+jc+dk\) definita dal fatto che \(a,b,c,d\in\mathbb R\) e \(i^2=j^2=k^2=-1, ij=k\). Incidentalmente, i quaternioni hanno avuto la loro rivincita, perché sono strutture interessanti e profonde:
https://www.youtube.com/watch?v=zjMuIxRvygQ https://it.wikipedia.org/wiki/Blocco_cardanicoParallelamente a questo problema, la scuola italiana di geometria algebrica, attiva in varie citta' del nord e centro-Italia, tentava di risolvere un problema ben più angolare: la geometria degli spazi definiti da equazioni lineari è completamente classificata dal teorema di Rouché-Capelli in algebra lineare. Le superfici definite da equazioni quadratiche, ossia le
coniche, sono ottenibili in geometria sintetica come sezioni piane di un cono, e in geometria analitica mediante lo studio di equazioni quadratiche. Sarebbe bello se qualcosa del genere fosse vero in tutte le dimensioni; peccato, però, che
un ragazzetto ribelle abbia dimostrato che da un certo grado in poi le equazioni polinomiali non hano una forma risolutiva generale...
La scuola italiana di geometria ha fortemente risentito della impostazione tedesca di Riemann, Hilbert ed Emmy Noether. Su Emmy Noether si potrebbe scrivere a lungo: dall'algebra astratta alla meccanica celeste, alla fisica terrestre, non vi è campo che essa non abbia pervaso di idee profonde. Eppure (ovviamente, essendo una donna nel momento storico sbagliato) venne sempre osteggiata dall'ambiente accademico:
questo edificio, da università, è stato reso un bagno pubblico! si lamentavano.
L'idea di Emmy e di altri, che generarono la scuola
tedesca di geometria, è che ad ogni curva algebrica, definita come luogo degli zeri di un polinomio, si potesse associare un anello, detto "anello delle coordinate" della curva. Questo oggetto doveva servire a codificare delle proprietà geometriche traducendole in proprietà numeriche, algebriche, e certi sottoinsiemi dell anello (i suoi "ideali primi", definiti da Kummer nel tentativo di dimostrare l'ultimo teorema di Fermat) avrebbero dovuto mimare il comportamento della topologia della curva: questo perché "(gl)i (ideali) primi sono punti di uno spazio", e le operazioni che si fanno tra insiemi di ideali (intersecarli, unirli, trovarne alcuni che generano tutto lo spazio, trovare degli elementi nilpotenti...) sono del tutto analoghe a quelle che si fanno con gli aperti di uno spazio (intersecarli, unirli, cercare ricoprimenti, studiare intorni di punti, proprietà di separazione e continuità di funzioni...).
Rapidamente si dovette combattere con questo problema: so passare da una curva a un anello, e so che le proprietà geometriche vengono tradotte in certe proprietà algebriche dell'anello stesso. So anche che una funzione \(X\to Y\) che si scrive come composizione di funzioni polinomiali corrisponde a un omomorfismo tra gli anelli delle coordinate \(O_Y \to O_X\) (la direzione opposta non è un errore di battitura).
Posso ora rovesciare questa corrispondenza, e pensare che ad un oggetto algebrico, per quanto strano e selvatico esso sia, corrisponda sempre un oggetto geometrico? Posso estendere il "dizionario" con cui un problema geometrico ha una soluzione algebrica ad uno col quale un problema algebrico si possa "disegnare" e coinvolga un ente geometrico? Che bello sarebbe se un problema di Teoria dei Numeri (quante soluzioni intere ha questa equazione di grado $n$?) potesse passare attraverso uno specchio, diventare un problema di geometria, e una volta disegnato l'oggetto giusto, essere risolto; e viceversa, ovviamente.
Ecco in poche parole il merito di Alexander Grothendieck: dimostrare che questo dizionario esiste, insegnarci a leggerlo, proporre ulteriori generalizzazioni all'idea per cui "l'algebra è geometria passata attraverso lo specchio". Il problema della rappresentazione dello spazio, connesso al problema della soluzione di equazioni, connesso al problema della coordinatizzazione di uno spazio astratto, connesso al problema della logica, altamente non-booleana (ovvero basata su piu valori di verità che non 0-falso e 1-vero), che siamo costretti a trattare studiando la fisica, connesso all'evidente problema ermeneutico che tutti loro portano con sè...
Come vedi, quella dellla matematica, e del rapporto tra algebra e geometria, è una storia complessa, densa di eventi, nomi e date; arrivare ad averne una comprensione anche solo superficiale (io non ce l'ho) richiede anni di dedizione, e di pratica costante della matematica che ho menzionato, che è molto superiore a quella che una carriera intera riesce a insegnarti: per molti, il massimo a cui ambire è aver capito due o tre storie, avere unito dei puntini (per esempio: quel ragazzo ribelle non lo sapeva, ma aveva anche insegnato a Liouville che certe equazioni differenziali non hanno soluzione esprimibile in termini di funzioni elementari, per lo stesso motivo; oppure,
alcuni esercizi sull'integrare funzioni bastarde si fanno col lemma dei 5), e raccontare agli altri che forma hanno i puntini.
Ho parlato un sacco, ma ho taciuto di moltissime cose: la definizione di cos'è una funzione, e le molte facce che può avere una funzione meromorfa; il fatto che a un certo punto è stato necessario mettersi a studiare l'algebra di spazi di operatori lineari, e il motivo per cui la fisica è l'insieme dei corollari di questa teoria; il fatto che le varietà complesse di dimensione 1 sono segretamente luoghi di zeri di polinomi; la matematica discreta, la topologia algebrica, la teoria della computabilità, la meccanica hamiltoniana la teoria dei gruppi e delle loro rappresentazioni, la coomologia e il suo uso in algebra, geometria, fisica e logica...
Detto questo, ti può essere certamente utile cercare di arrivare a questa comprensione, ma devi avere pazienza, equilibrio (ossia non lasciare che questo rallenti la tua carriera in modo innaturale) e soprattutto arenderti al fatto che questo interesse rimarrà collaterale al tuo percorso di studi, e andrà coltivato nonostante esso, e non in sua virtù e a suo completamento.