Matematica e poesia

Messaggioda nadine » 07/09/2008, 09:25

Ho trovato questo articolo che risale alla traccia di un tema di maturità del 1996

Matematici e poeti. In un saggio pubblicato a New York nel 1947 si legge:
"La matematica è generalmente considerata proprio agli antipodi della poesia eppure la matematica e la poesia sono nella più stretta parentela, perché entrambe sono il frutto dell'immaginazione. La poesia è creazione, finzione: e la matematica è stata detta da un suo ammiratore la più sublime e la più meravigliosa delle finzioni"
(D.E. Smith, La poesia della matematica e altri saggi).

Voi, cosa ne pensate?
nadine
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Messaggioda VINX89 » 07/09/2008, 22:28

Bè, la matematica a prima vista è "astratta", quindi si potrebbe considerare una finzione; pensandoci meglio, però, credo che essa sia legatissima alla realtà, in quanto, in un certo senso, ne incarna un modello ideale e perfetto (basti pensare all'incredibile capacità delle leggi matematiche di descrivere ogni aspetto della fisica, della chimica ecc...).
Se consideriamo la poesia nell'accezione più moderna del termine (poeti maledetti, poeti-vate, allucinazioni, alcool e droghe) credo che essa sia lontanissima dalla matematica, che è logica e razionale (cioè non è un'opinione).
Comunque, intuizione e imaginazione non mancano in matematica, ma qui, al contrario della poesia, c'è la ragione che fa da giudice.
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Messaggioda maurer » 07/09/2008, 23:26

Ritengo personalmente che l'intuizione e l'immaginazione rivestano in matematica un ruolo molto più importante di quello che non si sia soliti attribuire loro... Infatti, anche se l'ultima parola è sempre della ragione che giudica, l'unico modo che hanno i matematici di andare avanti e dimostrare i loro teoremi è procedere attraverso l'intuizione... D'altra parte se così non fosse la matematica si ridurrebbe ad un puro esercizio meccanico, che qualunque calcolatore sarebbe in grado di eseguire... Un computer può risolvere un'equazione (se non troppo difficile), può calcolare un limite... ma non potrà mai e poi mai fondare autonomamente una nuova branca della matematica o dimostrare qualche teorema (a parte forse i più banali, che possono essere ridotti ad uno schema fisso)... Tanto per intenderci, un computer non sarebbe mai riuscito a dimostrare l'ultimo teorema di Fermat, solo un uomo, con la sua fantasia, poteva riuscirci.
Una volta poi che la soluzione od il procedimento è stato intuito, allora - e solo allora - entra in scena la ragione giudice, che controlla ed eventualmente corregge l'intuizione. Il connubio di queste due componenti porta alle dimostrazioni dei teoremi, che costituiscono la vera essenza della matematica, a mio avviso. Sotto questo punto di vista la matematica può pertanto essere paragonata alla poesia (soprattutto alla poesia classica): anche in questo caso, infatti, il poeta deve ricevere un'ispirazione, che poi viene modellata e plasmata per sottostare alle norme poetiche, quali il verso, la rima etc. Se consideriamo la Divina Commedia di Dante, possiamo agevolmente avere una controprova di questo: l'idea (l'intuizione) di fondo è semplice, il viaggio ultraterreno che fornisce a Dante l'occasione per scagliarsi contro i suoi avversari politici e riassumere tutte le conoscenze del suo tempo; quest'idea, tuttavia, deve essere rielaborata a seguito di una dura fatica (fatica quasi sovrumana, come testimoniano le svariate invocazioni alle Muse e ad Apollo), in modo da rientrare nello schema metrico...
Alla stessa maniera potrei affermare che la matematica è affine a qualsiasi altra disciplina artistica... Naturalmente per Matematica io intendo quella alta e bella praticata dai grandi, come Archimede, Gauss, Galois, Hilbert etc., non la matematica fatta di conticini con cui ci si trova a combattere ogni giorno...
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