Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda axpgn » 23/09/2018, 14:08

Sì, Vulplasir, quante ne vuoi, tanto se non comprendi la differenza tra "congruenti" ed "uguali" ... :wink:
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Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda Vulplasir » 23/09/2018, 14:23

Equazioni intere, fratte, razionali, irrazionali
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Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda gugo82 » 23/09/2018, 15:11

Vulplasir ha scritto:
Chi non fa Matematica tende a credere che i matematici si divertano e/o esprimano il loro sadismo latente affibiando nomi assurdi ad oggetti "inutili" o nomi diversi dai consueti a nozioni conosciute

Tende a credere bene direi, il "congruenti", "uguali" "equivalenti" "coincidenti" è un esempio...

Beh, sì, è un esempio (l'ennesimo) della tua ignoranza.

Non è che perché tu non hai riflettuto su queste cose, nessuno l'abbia mai fatto. :wink:

Vulplasir ha scritto:per non parlare delle equazioni pure, spurie, impure...


Vulplasir ha scritto:Dimenticavo complete, incomplete, monomie...qualcuno ne ha qualcun'altra?


Vulplasir ha scritto:Equazioni intere, fratte, razionali, irrazionali


Ciò non c'entra nulla col problema di cui sopra, è proprio un'altra questione.
Rifletti i un attimo e comprenderai la differenza.

Vulplasir ha scritto:
Ad ogni modo, la classificazione delle discontinuità nasce per un semplice motivo pratico: non scrivere troppi giri di parole negli enunciati dei teoremi classici sulla convergenza delle serie di Fourier

Non ho mai sentito parlare di discontinuità di prima, seconda, terza, quarta...specie, al massimo di funzione regolare a tratti, che consiste appunto nel concetto di salto di cui parlavo prima, se l'obiettivo era quello di facilitare le cose, non ci siete riusciti.

Quindi tu usi un'altra locuzione, i.e. "salto", totalmente equivalente a "discontinuità di prima specie". De gustibus, ma la logica sottesa alla tua scelta è esattamente la stessa sottesa a quella degli altri.
Non vedo il problema: per un matematico è naturale passare da una convenzione ad un'altra senza troppi patemi... Per gli altri diventa difficile, data la loro rigidità mentale. :lol:
Sono sempre stato, e mi ritengo ancora un dilettante. Cioè una persona che si diletta, che cerca sempre di provare piacere e di regalare il piacere agli altri, che scopre ogni volta quello che fa come se fosse la prima volta. (Freak Antoni)
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Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda Vulplasir » 23/09/2018, 15:24

Quindi tu usi un'altra locuzione, i.e. "salto", totalmente equivalente a "discontinuità di prima specie". De gustibus, ma la logica sottesa alla tua scelta è esattamente la stessa sottesa a quella degli altri.

Invece no, sei tu allora che non hai capito la questione, quando uno dice "salto" è chiaro a cosa si riferisce, quando dice "discontinuità di n-esima specie" no.

Non vedo il problema: per un matematico è naturale passare da una convenzione ad un'altra senza troppi patemi... Per gli altri diventa difficile, data la loro rigidità mentale

Eh si è nota la grande flessibilità mentale dei matematici, che appena escono dal loro seminato non ci acchiappano nulla.
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Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda Marco Beta2 » 23/09/2018, 15:56

Infatti dall'inizio non ho ben capito il problema della nomenclatura... Se non sei precisamente dell'ambiente ci può stare una nomenclatura poco corretta ma comunque accettata se nota a tutti (sono stato operato di/all' appendicite = operazione di appendicectomia, ma i medici sulla prima non si scandalizzano(non studio medicina)) rimane il fatto che avremmo potuto chiamarle anche "pippo", "pluto" e "paperino" ma se questa nomenclatura è nota e il discorso alla base è lo stesso di quello che ha una nomenclatura rigorosa, non ne vedo il problema nell'utilizzarla... Rimane il fatto che in quel punto c'è un comportamento "strano" (passatemi il termine) della funzione con qualsiasi nome la chiamiamo...
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Re: Punti discontinuità di una funzione

Messaggioda gugo82 » 23/09/2018, 17:03

Vulplasir ha scritto:
Quindi tu usi un'altra locuzione, i.e. "salto", totalmente equivalente a "discontinuità di prima specie". De gustibus, ma la logica sottesa alla tua scelta è esattamente la stessa sottesa a quella degli altri.

Invece no, sei tu allora che non hai capito la questione, quando uno dice "salto" è chiaro a cosa si riferisce, quando dice "discontinuità di n-esima specie" no.

Qui confondi l'essere chiaro a te, che con la locuzione "avere un salto" ci hai giocato per un paio d'anni, con l'essere chiaro a tutti.
Come ho già avuto modo di dire ad altri utenti, pecchi nel ritenere che ciò che tu usi sia meglio per tutti.
Faccio mie alcune parole, piene di buon senso, lette recentemente sul forum delle Olimpiadi di Matematica:
Kopernik, su OliForum, ha scritto:Una nota a margine della discussione: secondo me una delle sciagure del mondo è l'idea che "come l'ho fatto io è più semplice". Ora, se qualcuno riesce a trovare una dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat lunga mezza pagina che usi solo le operazioni aritmetiche, sarò d'accordo che è più breve di quella di Wiles. Ma in generale la cosa più semplice (sbrigativa?) non è la medesima per tutti (sono a disagio a enunciare una cosa così ovvia).
Mi capita spessissimo in classe di risolvere uno stesso problema in due (o più) modi, e gli studenti mi chiedono quale sia il più semplice o la più veloce. La mia risposta è questa: a cosa ti serve sapere qual è il più semplice secondo me? Devi capire qual è il più semplice secondo te, qual è il procedimento che ricorderai (rendendo minimo l'uso di formule a memoria!). Se uno studente ha difficoltà a memorizzare un procedimento sbrigativo, non potrà usarne un altro che si ricorda? Ci sono miei colleghi che segnano sbagliato (o comunque non a punteggio pieno) lo svolgimento di un esercizio perché lo studente lo fa con un metodo diverso dal loro, che evidentemente è "il più semplice". Non è una cosa orribile? Perché un esercizio svolto correttamente con qualche riga in più di conti dovrebbe valere meno di uno più sintetico? La cosa bella non è che lo studente individui la propria strategia (mnenomica, di calcolo, di visualizzazione, la cosa è irrilevante)?
Perciò, in conclusione, ha senso discutere su quale sia la cosa più semplice da fare o da ricordare? E soprattutto, esiste davvero un modo più semplice?


Vulplasir ha scritto:
Non vedo il problema: per un matematico è naturale passare da una convenzione ad un'altra senza troppi patemi... Per gli altri diventa difficile, data la loro rigidità mentale

Eh si è nota la grande flessibilità mentale dei matematici, che appena escono dal loro seminato non ci acchiappano nulla.

Beh, sicuramente non fanno peggio di un ingegnere alle prese con un problema di Algebra... :lol:

Scherzi a parte, non vedo cosa c'entri quello che scrivi con la questione della notazione: è evidente che un matematico, appena ha un problema sorto mano, cerca di tradurlo in termini a lui comprensibili, specificando i termini poco chiari ed introducendo definizioni/nozioni/notazioni che servono ad esprimerlo in maniera corretta. Ciò può risultare frustrante per chi non conosce il modo di procedere: già Goethe scriveva:
i matematici sono come i francesi: qualunque cosa uno dica, la traducono nella loro lingua e subito diventa qualcosa completamente differente.

e tu non mi pare faccia eccezione... Così come tutti quegli ingegneri che, seguendo seminari di PDE o CoV, non intendono il significato di "stima" in Analisi.
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