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Perché il teorema di Gauss e di Stokes valgono (in R^3) su un aperto contenente la chiusura dell'insieme?

MessaggioInviato: 11/09/2019, 13:46
da paolo.math
Non riesco a capire perché il teorema di Gauss e di Stokes valgono (in $ RR^3$ ) su un aperto $A$ contenente la chiusura dell'insieme $\Omega$ , che è un aperto G-ammissibile nel primo teorema ed è una calotta S-ammissibile (quindi insieme chiuso) nel secondo.

Ossia deve essere $\vec f$ $in$ $(C^1 (A))^3$ con $\Omega$ $sub$ $bar{\Omega}$ $sub$ $A$ $sube$ $dom$ $\vec f$ con $\Omega$ e $A$ aperti.

Se invece $\vec f$ $in$ $C^1$ in $bar{\Omega}$ $=$$dom$ $\vec f$ cioè le sue componenti sono derivabili con derivata continua solo nella chiusura di un insieme con dette proprietà, non valgono?

Re: Perché il teorema di Gauss e di Stokes valgono (in R^3) su un aperto contenente la chiusura dell'insieme?

MessaggioInviato: 14/09/2019, 20:17
da dissonance
Ma, secondo te, tutti sarebbero tenuti a sapere cosa significa "G-ammissibile", "calotta S-ammissibile", etc etc...

Comunque, si capisce che il problema è da un'altra parte. Cosa significherebbe, per te, avere una funzione "derivabile in \(\overline \Omega\)", dove \(\Omega\) è un aperto? Prendi \(\Omega=\{(x, y)\ :\ x^2+y^2<1\}\), il disco unitario.

Ricordati: esempi concreti, non aria fritta.

Re: Perché il teorema di Gauss e di Stokes valgono (in R^3) su un aperto contenente la chiusura dell'insieme?

MessaggioInviato: 14/09/2019, 22:17
da gugo82
dissonance ha scritto:Ma, secondo te, tutti sarebbero tenuti a sapere cosa significa "G-ammissibile", "calotta S-ammissibile", etc etc...

Andandomene per un’idea, $X$-ammissibile significa “che soddisfa le ipotesi del teorema di $X$”.
Non so chi l’abbia inventata come nomenclatura… È orribile e non standard.

Re: Perché il teorema di Gauss e di Stokes valgono (in R^3) su un aperto contenente la chiusura dell'insieme?

MessaggioInviato: 17/09/2019, 10:13
da dissonance
Mi è venuto in mente un esempio semplice e che forse è chiarificatore. Consideriamo la funzione
\[
f(x, y)=x+y\qquad \text{ per }(x, y)\in \Omega:=(0, 1)\times (0,1).\]
Chiaramente questa funzione è derivabile a volontà su \(\Omega\). Inoltre, ovviamente, \(f\colon \Omega\to \mathbb R\) è la restrizione ad \(\Omega\) di una funzione definita su un aperto più grande e derivabile a volontà; infatti,
\[
f=g|_{\Omega}, \qquad g(x, y):=x+y, \quad (x, y)\in \mathbb R^2.\]
La funzione \(g\) è definita su \(\mathbb R^2\), che è un aperto contenente strettamente \(\Omega\), ed è derivabile a volontà. Quindi, siamo tranquillamente nelle ipotesi richieste dal libro.

Il tuo dubbio è: perché richiedere che la funzione sia la restrizione di una funzione regolare? Perché dobbiamo coinvolgere un aperto più grande? Capisco che questo ti sembri strano, ma è davvero necessario. Sopra, avrei potuto scrivere
\[
f(x, y)=\lvert x\rvert + \lvert y \rvert,\]
perché se \((x, y)\in\Omega\) allora \(x>0, y>0\). E' esattamente la stessa cosa. Ma scritta così, la funzione fa pensare a qualcosa di non derivabile sul bordo di \(\Omega\).

La morale è: non ha senso parlare di derivabilità sul bordo di un aperto.