non ho capito granchè

Messaggioda cammeddru » 02/02/2020, 21:04

salve ,
come da titolo , sto rispecchiando, andando avanti, un senso di vuoto conoscitivo. Sarà che frequento matematica per l'ingegneria e non matematica pura , però mi sto perdendo nelle varietà e i diversi aspetti della matematica. Per gli esami che faccio io , molto simili a quelli di ingegneria (se non uguali) basta capire come far di conto per potere superarli e forse ciò mi provoca delle lacune.
Sono franco , non ci ho capito granchè della matematica. Sono al 3 anno , ma ancora non capisco per esempio come si collegano algebra e analisi, per esempio l'utilizzo del concetto di funzione nell'algebra mi stranizzò non poco . Poi non mi so giostrare fra i vari settori , non trovo qualcosa di unificante o che si rispecchi l'un altra!!! Ho provato a studiare un pò di logica ma dopo averla studiata non ho fatto altro che confondermi le idee , poichè adesso non capisco quando eseguo un ragionamento se esso sia valido o meno , se la conseguenza logica è giusta o meno , perchè c'è sempre troppa paura di errore o sbaglio che si tramuta nella non "credenza" della dimostrazione in poche parole. Tra l'altro , mi confondo quando provo a utilizzare l'intuizione geometrica e la successiva "algebrizzazione" , come se non riuscissi a mettere le cose in chiaro. C'è un pò di confusione e vorrei sapere se è una normale sindrome passegera oppure un problema mio.
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda solaàl » 02/02/2020, 22:21

"Come si collegano algebra e analisi" è una pertinenza che spesso molti matematici puri, che fanno matematica da molti anni, tendono a non avere; il motivo è che la matematica è abbastanza grande da impedire di saperla tutta nel senso letterale.

Una storia degli ultimi due millenni di matematica è circa questa: il problema della figurazione dello spazio risale a Euclide[ogni volta che nomino qualcuno, l'invito inespresso è a googlare la pagina di wikipedia sulla sua vita; perderei tempo che non ho, a farlo io per ogni nome che qui appare]. Negli Elementi, lui è stato il primo a proporre un sistema di regole da cui inferire proprietà relative agli "oggetti" di un opportuno agglomerato di "figure" geometriche. Da un punto di vista moderno, più formalista, quasi nulla della sua opera si può salvare ( per esempio: la costruzione del triangolo equilatero
su un segmento dato si fa considerando le due circonferenze che conosce e prendendo un punto di intersezione delle due, ma chi garantisce che le due circonferenze si intersecano?), da un punto di vista formale, Euclide ha suggerito come le regole dell'inferenza, della deduzione naturale, potessero essere uno strumento per indagare le proprietà di un ente immerso nello "spazio" (questa è la prima intrusione di un'idea eretica nella matematica: le regole della sintassi sono algebriche, le interpretazioni di quei simboli nella semantica sono geometriche).

Passa qualche secolo e arriviamo ad al-Kwharizmi, matematico e astronomo arabo, considerato dalla storiografia il "padre dell'algebra". A lui si deve la prima sistematizzazione delle regole che permettono di risolvere le equazioni di secondo grado (che erano note agli Egizi, e se non ricordo male anche ai Babilonesi in alcuni casi particolari): educato all'astronomia greca e indiana, profondo conoscitore delle opere di Diofanto e Brahmagupta, di cui traduce molte opere, egli non ritiene sufficiente esibire un "algoritmo" (la parola è nient'altro che un calco del suo nome, in diverse lingue occidentali) risolutore: un problema algebrico che manchi di una soluzione geometricamente evidente è considerato incompleto.

Il vero innovatore di questa visione, tuttavia, è Cartesio. Egli è il primo a esplicitare la constatazione su cui l'intera geometria moderna è stata edificata: un problema geometrico ammette una traduzione in coordinate (ossia esiste un'equazione i cui zeri sono tuple di numeri che corrispondono alle coordinate di punti in uno spazio dotato di un sistema di riferimento -gli "assi cartesiani", appunto-), e una conoscenza precisa delle regole che governano i numeri che identificano le coordinate di quei punti, determina una conoscenza fedele del comportamento degli oggetti geometrici che da quei numeri sono stati etichettati. La geometria analitica, per cui i numeri sono in corrispondenza ai punti di una linea, di un piano, di uno spazio... è nata.

Ora,se solo Kant avesse masticato più algebra! Lungi dall'essere una forma pura dell'intuizione, da Cartesio in poi lo spazio è determinato da un concetto più primitivo, quello di un sistema di coordinate. Husserl vedeva nella geometria lo spazio e nell'algebra il tempo: l'idea per cui la dimensione temporale influenzi quella spaziale, definendone la sorte, è più antica sia di lui che di Einstein.

Temporalmente nel mezzo tra questi due personaggi, si colloca il tentativo di Hamilton di trovare un soddisfacente modello algebrico in cui scrivere le equazioni di Maxwell (che coinvolgono grandezze pseudo-vettoriali, per la precisione elementi di quelle che furono chiamate algebre di Clifford-Hamilton). Tale tentativo si rivela fallimentare: non è possibile aggirare un problema di segnatura che i quaternioni (così Hamilton chiamò i suoi numeri): la metrica naturale dello spazio(-tempo) deve avere dei vettori isotropi, le rette lungo le quali si propagano i raggi di luce. La metrica naturale sull'algebra dei quaternioni è invece definita positiva. Non sembra quindi esistere un modo "ovvio" di dare significato geometrico alle grandezze pseudovettoriali; un retaggio di quella avventura resta, però, proprio nel modo in cui fisici e ingegneri imparano a chiamare gli assi di un riferimento tridimensionale ortogonale: i "versori" \(i,j,k\) sono esattamente i generatori di un'algebra a base reale, dove analogamente a quanto fanno i numeri complessi estendendo \(\mathbb R\) a un insieme di somme \(a+ib\) definite dalle regole \(a,b\in\mathbb R\) e \(i^2=-1\), un quaternione è una quaterna -appunto- \(a+ib+jc+dk\) definita dal fatto che \(a,b,c,d\in\mathbb R\) e \(i^2=j^2=k^2=-1, ij=k\). Incidentalmente, i quaternioni hanno avuto la loro rivincita, perché sono strutture interessanti e profonde: https://www.youtube.com/watch?v=zjMuIxRvygQ https://it.wikipedia.org/wiki/Blocco_cardanico

Parallelamente a questo problema, la scuola italiana di geometria algebrica, attiva in varie citta' del nord e centro-Italia, tentava di risolvere un problema ben più angolare: la geometria degli spazi definiti da equazioni lineari è completamente classificata dal teorema di Rouché-Capelli in algebra lineare. Le superfici definite da equazioni quadratiche, ossia le coniche, sono ottenibili in geometria sintetica come sezioni piane di un cono, e in geometria analitica mediante lo studio di equazioni quadratiche. Sarebbe bello se qualcosa del genere fosse vero in tutte le dimensioni; peccato, però, che un ragazzetto ribelle abbia dimostrato che da un certo grado in poi le equazioni polinomiali non hano una forma risolutiva generale...

La scuola italiana di geometria ha fortemente risentito della impostazione tedesca di Riemann, Hilbert ed Emmy Noether. Su Emmy Noether si potrebbe scrivere a lungo: dall'algebra astratta alla meccanica celeste, alla fisica terrestre, non vi è campo che essa non abbia pervaso di idee profonde. Eppure (ovviamente, essendo una donna nel momento storico sbagliato) venne sempre osteggiata dall'ambiente accademico: questo edificio, da università, è stato reso un bagno pubblico! si lamentavano.

L'idea di Emmy e di altri, che generarono la scuola tedesca di geometria, è che ad ogni curva algebrica, definita come luogo degli zeri di un polinomio, si potesse associare un anello, detto "anello delle coordinate" della curva. Questo oggetto doveva servire a codificare delle proprietà geometriche traducendole in proprietà numeriche, algebriche, e certi sottoinsiemi dell anello (i suoi "ideali primi", definiti da Kummer nel tentativo di dimostrare l'ultimo teorema di Fermat) avrebbero dovuto mimare il comportamento della topologia della curva: questo perché "(gl)i (ideali) primi sono punti di uno spazio", e le operazioni che si fanno tra insiemi di ideali (intersecarli, unirli, trovarne alcuni che generano tutto lo spazio, trovare degli elementi nilpotenti...) sono del tutto analoghe a quelle che si fanno con gli aperti di uno spazio (intersecarli, unirli, cercare ricoprimenti, studiare intorni di punti, proprietà di separazione e continuità di funzioni...).

Rapidamente si dovette combattere con questo problema: so passare da una curva a un anello, e so che le proprietà geometriche vengono tradotte in certe proprietà algebriche dell'anello stesso. So anche che una funzione \(X\to Y\) che si scrive come composizione di funzioni polinomiali corrisponde a un omomorfismo tra gli anelli delle coordinate \(O_Y \to O_X\) (la direzione opposta non è un errore di battitura).
Posso ora rovesciare questa corrispondenza, e pensare che ad un oggetto algebrico, per quanto strano e selvatico esso sia, corrisponda sempre un oggetto geometrico? Posso estendere il "dizionario" con cui un problema geometrico ha una soluzione algebrica ad uno col quale un problema algebrico si possa "disegnare" e coinvolga un ente geometrico? Che bello sarebbe se un problema di Teoria dei Numeri (quante soluzioni intere ha questa equazione di grado $n$?) potesse passare attraverso uno specchio, diventare un problema di geometria, e una volta disegnato l'oggetto giusto, essere risolto; e viceversa, ovviamente.

Ecco in poche parole il merito di Alexander Grothendieck: dimostrare che questo dizionario esiste, insegnarci a leggerlo, proporre ulteriori generalizzazioni all'idea per cui "l'algebra è geometria passata attraverso lo specchio". Il problema della rappresentazione dello spazio, connesso al problema della soluzione di equazioni, connesso al problema della coordinatizzazione di uno spazio astratto, connesso al problema della logica, altamente non-booleana (ovvero basata su piu valori di verità che non 0-falso e 1-vero), che siamo costretti a trattare studiando la fisica, connesso all'evidente problema ermeneutico che tutti loro portano con sè...

Come vedi, quella dellla matematica, e del rapporto tra algebra e geometria, è una storia complessa, densa di eventi, nomi e date; arrivare ad averne una comprensione anche solo superficiale (io non ce l'ho) richiede anni di dedizione, e di pratica costante della matematica che ho menzionato, che è molto superiore a quella che una carriera intera riesce a insegnarti: per molti, il massimo a cui ambire è aver capito due o tre storie, avere unito dei puntini (per esempio: quel ragazzo ribelle non lo sapeva, ma aveva anche insegnato a Liouville che certe equazioni differenziali non hanno soluzione esprimibile in termini di funzioni elementari, per lo stesso motivo; oppure, alcuni esercizi sull'integrare funzioni bastarde si fanno col lemma dei 5), e raccontare agli altri che forma hanno i puntini.

Ho parlato un sacco, ma ho taciuto di moltissime cose: la definizione di cos'è una funzione, e le molte facce che può avere una funzione meromorfa; il fatto che a un certo punto è stato necessario mettersi a studiare l'algebra di spazi di operatori lineari, e il motivo per cui la fisica è l'insieme dei corollari di questa teoria; il fatto che le varietà complesse di dimensione 1 sono segretamente luoghi di zeri di polinomi; la matematica discreta, la topologia algebrica, la teoria della computabilità, la meccanica hamiltoniana la teoria dei gruppi e delle loro rappresentazioni, la coomologia e il suo uso in algebra, geometria, fisica e logica...

Detto questo, ti può essere certamente utile cercare di arrivare a questa comprensione, ma devi avere pazienza, equilibrio (ossia non lasciare che questo rallenti la tua carriera in modo innaturale) e soprattutto arenderti al fatto che questo interesse rimarrà collaterale al tuo percorso di studi, e andrà coltivato nonostante esso, e non in sua virtù e a suo completamento.
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda gugo82 » 03/02/2020, 05:37

@ solaàl:
Testo nascosto, perché contrassegnato dall'autore come fuori tema. Fai click in quest'area per vederlo.
Dobbiamo tirare ad indovinare chi abbia scritto il post?
Sono sempre stato, e mi ritengo ancora un dilettante. Cioè una persona che si diletta, che cerca sempre di provare piacere e di regalare il piacere agli altri, che scopre ogni volta quello che fa come se fosse la prima volta. (Freak Antoni)
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda kaspar » 03/02/2020, 12:56

La situazione è complessa e per il caso citato da te, sono state spese tante parole. Devi avere un po' di pazienza, «l'uomo cresce camminando» (detto Wodaabe), quindi pazienta. Forse, anche, dovresti scegliere dato che il tuo interesse è certamente ortogonale al tuo percorso universitario.

Sono franco , non ci ho capito granchè della matematica.


Per quel che vale il parere di un novellino per gran parte della Matematica, il tuo è un sano sentimento. Va bene.
[...] vorrei sapere se è una normale sindrome passegera [...]
Non so. Dipende sempre da com'è il tuo sentire e dalla tua sensibilità.
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda solaàl » 03/02/2020, 15:25

Forse, anche, dovresti scegliere dato che il tuo interesse è certamente ortogonale al tuo percorso universitario.
Il prodotto scalare tra questi interessi può avere modulo piccolo, ma non penso sia zero. Una buona idea sarebbe contattare gente che si occupa di matematica applicata con un sapore strutturale. In Italia, qualcuno c'è: ad esempio a Roma, Davide Bernardini "si interessa anche a temi di ricerca di carattere più matematico/concettuale che sono emersi in oltre 10 anni di interazione scientifica con il prof. F. W. Lawvere. Tra questi: le applicazioni della teoria delle categorie ai fondamenti della meccanica, la geometria differenziale sintetica, i fondamenti e la storia della termomeccanica dei continui, le applicazioni dell'analisi convessa allo studio dei fenomeni dissipativi." https://sites.google.com/a/uniroma1.it/ ... ernardini/ E' una persona squisita e molto disponibile, innamorata della matematica che fa, e soprattutto abbastanza realista da poter concertare con te una strategia razionale se gli scrivi un'email.

Ci sono molti esempi di persone cresciute in tal modo; spesso, sapere due cose invece che una li rende persone di sensibilità più ricca del normale. Perché tu non dovresti essere una di queste?

Insomma, dopo tante parole, che ti piaccia la matematica è sintomo di sanità di spirito: è una storia avvincente e inesauribile; non vale la pena far soccombere un interesse sincero alla logica dei crediti universitari. Puoi cambiare d'improvviso, ma esistono strategie conservative che non sono per forza dei sacrifici completi.

La versione breve della storia che ho delineato, poi, è facile da scrivere: stai tranquillo, nemmeno i matematici sanno cos'è la matematica nel suo complesso. Imparano una o due storie e poi cercano di raccontare quelle, convincendosi -come in fatti è- che il viaggio stesso sia già la meta. (Che non è un detto Wodaabe, ma funziona comunque)
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda otta96 » 04/02/2020, 01:14

Testo nascosto, perché contrassegnato dall'autore come fuori tema. Fai click in quest'area per vederlo.
solaàl ha scritto:l'idea per cui la dimensione temporale influenzi quella spaziale, definendone la sorte, è più antica sia di lui che di Einstein.

Puoi espandere questo commento? Mi interessa.
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda solaàl » 04/02/2020, 09:43

otta96 ha scritto:
solaàl ha scritto:l'idea per cui la dimensione temporale influenzi quella spaziale, definendone la sorte, è più antica sia di lui che di Einstein.

Puoi espandere questo commento? Mi interessa.
Spostandosi nello spazio a velocità sempre più alta, il tempo proprio rallenta perché una certa quantità (la norma di un vettore in una certa metrica indefinita) deve mantenersi costante; o almeno, questo è il modo in cui mi spiego questo frammento di relatività. Quindi, non c'è da una parte lo spazio e dall'altra il tempo, le due quantità sono, piuttosto, dipendenti l'una dall'altra. Husserl, senza sapere la matematica, disse lo stesso per l'algebra e per la geometria.

L'analogia non è la stessa (il "modo" in cui il tempo dipende dallo spazio è che lo spazio \(E\) è il dominio di un fibrato \(E\to \mathbb R\) -o qualsiasi sia il modello di tempo che scegli, con la sua topologia- e la fibra tipica sopra \(t\in\mathbb R\) è uno spazio euclideo \(E_t\) che è "l'universo al tempo $t$"), ma era un'osservazione interessante.

L'analogia tra algebra e geometria si presenta sotto forma di una "dualità" (per la precisione, dualità "di Gel'fand"; un concetto completamente analogo alla dualità di Pontrjagin, o di Stone): se da una parte metti in una scatola "tutte" le cose geometriche, per esempio gli spazi T2 localmente compatti, e in un'altra scatola "tutte" le cose algebriche, per esempio le \(C^*\)-algebre commutative, tra le due scatole c'è un isomorfismo.

Da un lato, se $X$ è uno spazio, l'insieme delle sue funzioni continue \(f : X \to \mathbb C\) è una C*-algebra; dall'altro, se \(\mathfrak A\) è una C*-algebra, l'insieme \(S\mathfrak A\)dei suoi ideali massimali, con la topologia *-debole, è uno spazio T2 localmente compatto.

Questo crea un dizionario tra algebra e geometria:
- Ogni funzione continua $f :X \to Y$ tra spazi T2 e localmente compatti induce un omomorfismo di algebre $f : C(Y)\to C(X)$ (aver girato il verso non è un errore); ogni omomorfismo di algebre poi manda induce una mappa tra \(S(\mathfrak B)\to S(\mathfrak A)\) che è *-debole-continua.
- \(\mathfrak A\) è unitaria (nel senso di algebra 1, teoria degli anelli) se e solo se \(S(\mathfrak A)\) è globalmente compatto; questo perché la funzione che vale costantemente 1 "esiste" solo quando lo spazio è compatto.
- Uno spazio $X$ è sconnesso se e solo se \(R=C(X)\) risulta dal prodotto di due anelli quoziente
- I chiusaperti di $X$ corrispondono biiettivamente agli idempotenti di $C(X)$
- un modulo per \(\mathfrak A\) corrisponde per certi versi a un fibrato sopra \(S(\mathfrak A)\), e un fibrato sopra $X$ corrisponde a un modulo per \(C(X)\)
- etc, etc, etc: inventati una proprietà geometrica, e vai a vedere a quali algebre corrisponde; inventati una proprietà algebrica, e vai a vedere a quali spazi corrisponde.

La dualità di Stone dice la stessa cosa: le cose geometriche sono gli spazi di Stone (T2 compatti e totalmente sconnessi) e le cose algebriche le algebre di Boole; la dualità di Pontrjagin dice la stessa cosa:
In logica, la dualità di Gabriel-Ulmer dice la stessa cosa: le cose algebriche sono le teorie (nel senso della teoria dei modelli), e le cose geometriche sono i modelli di quelle teorie, ossia i "luoghi" dove le "equazioni" della teoria possono avere "sottoinsiemi degli zeri". L'analogia è usata: chi si occupa di teoria dei modelli a volte parla dell'insieme di soddisfacibilità di un insieme di formule \(\varphi \in \mathcal L\) come del luogo degli zeri di \(\varphi\).
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Messaggioda kaspar » 04/02/2020, 11:18

@solaàl
solàal ha scritto:Ci sono molti esempi di persone cresciute in tal modo; spesso, sapere due cose invece che una li rende persone di sensibilità più ricca del normale. Perché tu non dovresti essere una di queste?
Ci possono essere sostanzialmente quanti esempi vuoi. Ed essenzialmente dipende da persona a persona. Io aspetterei una risposta di chi ha aperto la discussione, perché il taglio che si può dare a questa è molteplice; e visto che si sta parlando di lui, è utile capire lui, non dire cosa pensiamo noi.

me stesso ha scritto:Forse, anche, dovresti scegliere dato che il tuo interesse è certamente ortogonale al tuo percorso universitario.
Ho messo un «forse» appositamente, perché il quadro proposto da cammeddru nel primo post accenna solo per un po' il suo percorso di studi, mentre il resto è questo:
cammeddru ha scritto:Sono franco , non ci ho capito granchè della matematica. Sono al 3 anno , ma ancora non capisco per esempio come si collegano algebra e analisi, per esempio l'utilizzo del concetto di funzione nell'algebra mi stranizzò non poco . Poi non mi so giostrare fra i vari settori , non trovo qualcosa di unificante o che si rispecchi l'un altra!!! Ho provato a studiare un pò di logica ma dopo averla studiata non ho fatto altro che confondermi le idee , poichè adesso non capisco quando eseguo un ragionamento se esso sia valido o meno , se la conseguenza logica è giusta o meno , perchè c'è sempre troppa paura di errore o sbaglio che si tramuta nella non "credenza" della dimostrazione in poche parole. Tra l'altro , mi confondo quando provo a utilizzare l'intuizione geometrica e la successiva "algebrizzazione" , come se non riuscissi a mettere le cose in chiaro. C'è un pò di confusione e vorrei sapere se è una normale sindrome passegera oppure un problema mio.
Per questo ho tirato in ballo la possibilità di fare qualcosa di "drastico", perché ho avuto l'impressione che potesse essere in effetti una possibilità. Ma non leggendo ancora nella mente delle persone, bisogna solo aspettare degli interventi da parte sua.

Testo nascosto, perché contrassegnato dall'autore come fuori tema. Fai click in quest'area per vederlo.
Puoi pure mettere in OT il post precedente...


@cammeddru
cammeddru ha scritto:Ho provato a studiare un pò di logica ma dopo averla studiata non ho fatto altro che confondermi le idee , poichè adesso non capisco quando eseguo un ragionamento se esso sia valido o meno , se la conseguenza logica è giusta o meno , perchè c'è sempre troppa paura di errore o sbaglio che si tramuta nella non "credenza" della dimostrazione in poche parole.
Diciamo che è normale fare logica in questo modo: ti sembra di esserti messo in testa solo confusione, ti senti che devi riflettere sui "passaggi logici" più del dovuto (mentre un Matematico di norma fa ciò con molta non chalance), con la conseguente insoddisfazione per la forma e lo scheletro logico di quello che fai. Perché questo è: piano piano impari la forma e il rigore (a volte anche eccessivamente, ammetto...), fino a che «la forma [per te] diventa un modo per cristallizzare la sostanza». Diciamo che è normale. :)
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda cammeddru » 04/02/2020, 21:52

Sono convinto che tutti i miei problemi derivino da una scarsa attenzione all argomento , però alcune cose ve le dico lo stesso , non certo per cercare scuse ma per argomentare altri miei fardelli.

Io mi sono affacciato alla matematica, passando dalla filosofia , considerandola come una idea platonica di teoria generale e universale , poi però ho scoperto che molte cose erano dettate dalla convenzione umana.

Quello che mi ha scombussolato in realtà riguarda più cose.
1) il fatto che contrariamente al detto che la matematica non sia un opinione , ho riscontrato che molte volte essa lo è , per esempio nell introduzione del concetto di limite , oppure quando si deve specificare il concetto di funzione continua ( per esempio il problema dell iperbole e del suo dominio). Soprattutto nella teoria dei numeri complessi e poi nella sua successiva formalizzazione per il calcolo integrale e differenziale ,ho tastato un pò il suolo della teoria distaccata dalla semplice intuizione.

2) la scoperta banale riguardo l esistenza di logiche diverse da quelle classiche e di come in realtà le regole di inferenza siano anch esse dettate dall uomo , quindi ammettendo che le regole riguardo la formalizzazione della matematica e l inferenza che si fa su di essa è dettata da regole che abbiamo scelto convenzionalmente.

Non è che ciò non mi piace , sono lontano da sostenere ciò , ma la varietà di teorie e argomenti che poi ho avuto modo di conoscere mi hanno fatto capire che oltre ai semplici assiomi c è anche altra teoria che va creata per poter fare matematica. Questo ingenuamente non l avevo capito e mi sono trovato un pò spiazzato.
Cioè mentre prima accettavo tutto come un modo di pensare normale, una logica normale , ora sò e sono cosciente che è una logica convenzionale . Fare attenzione a questo piccolo ma grande dettaglio tuttavia mi provoca un senso di inadeguatezza , come una forzatura a ragionare in quel modo, con quelle regole, ecco perchè adesso mi confondo.
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Re: non ho capito granchè

Messaggioda gabriella127 » 04/02/2020, 23:28

Ciao cameddru. Ti stai semplicemente scontrando con quella che è stata la storia della matematica e della riflessione filosofico-metodologica sulla matematica.

Non esiste una matematica astratta fissata una volta per tutte. La storia e la filosofia della matematica sono costellate di punti di vista, tentativi, errori, c'è chi ha creduto di fondare la matematica sulla logica, chi ha contestato questa impostazione.
Quelle che a noi sembrano levigate formulazioni della matematica, come se i matematici passassero con naturalezza da un teorema all'altro, non rispecchiano la realtà della storia dei concetti matematici, e della 'logica concreta' della scoperta matematica.
La loro genesi è stata difficile e tormentata. Anche ciò che si intende per 'rigore' è variato nel corso del tempo e dipende dalle opinioni.
Non c'è una matematica che proviene da assiomi scolpiti nella pietra a priori. Lo stesso Hilbert, considerato padre del formalismo, dice che l'assiomatizzazione è un punto di arrivo, di una teoria matura, che riesce ad un certo punto ad identificare gli assiomi 'giusti'.

Citi il concetto di continuità di una funzione, è stato uno dei concetti più difficili da definire per più di un secolo.
Tu dici che vieni da filosofia, quindi nello studiare matematica hai visto delle difficoltà che non sono tue, ma proprio della natura della materia.
Abbi pazienza, ma questa complessità è anche interessante, le cose in parte si chiariranno, e se ti andrà, puoi leggere cose di filosofia e storia della matematica.
Per esempio, se già non lo hai letto, c'è un classico, anni '60, della filosofia della matematica, Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni, che dà una idea sulle problematiche della matematica, filosofiche e della pratica matematica, in forma non pesante, ma profonda, è un dialogo immaginario tra un professore e studenti.

Però tutta questa complessità e relativizzazione secondo me non inficia la bellezza delle costruzioni matematiche.
Come diceva Gauss, l'architetto quando ha finito la costruzione, le impalcature le leva, e resta la forma della costruzione. Così per teorie matematiche, di cui possiama ammirare la bellezza, l'eleganza e la profondità dei risultati, una volta che siano state tolte le 'impalcature' della tormentata genesi di certi concetti.
Easy reading is damned hard writing. (Nathaniel Hawthorne, The Scarlet Letter)
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