Sono sicuro che per questo basti andarsi a leggere il testo... Ma non è questo il problema.
Innanzitutto, il problema è "dire bene" le cose: se chi ti ascolta/legge non comprende cosa tu chiedi/affermi, come pretendi che un colloquio d'esame, un'interazione sul lavoro, una relazione personale, etc. funzionino bene come vorresti?
Quando parli/scrivi affinché qualcun altro ti risponda,
devi impegnarti a parlare/scrivere in modo che l'altro capisca.
Il secondo problema (come evidenziato nei thread in Analisi) è "fare i calcoli" da solo, almeno su esempi banali.
Chiarito ciò, hai uno spazio vettoriale $mathbb(V)$ di dimensione finita $n$ su un certo campo $mathbb(K)$.
In $mathbb(V)$ fissi due basi, $B=\{ mathbf(e)_1, ..., mathbf(e)_n \}$ e $B^\prime =\{ mathbf(e)_1^\prime , ..., mathbf(e)_n^\prime \}$ (che, per noti teoremi
1, esistono e contengono lo stesso numero $n$ di elementi), le quali ti consentono di rappresentare i vettori di $mathbb(V)$ sfruttando i vettori numerici di $mathbb(K)^n$ attraverso i due isomorfismi $c_B, c_(B^\prime): mathbb(V) -> mathbb(K)^n$ che vengono detti
coordinazioni (o
sistemi di coordinate)
associate alle basi $B$ e $B^\prime$ rispettivamente; in particolare, scelto $mathbf(v) in mathbb(V)$ (per noti teoremi) esistono e sono univocamente determinate due $n$-uple di scalari $x=(x_1, ..., x_n), x^\prime =(x_1^\prime, ..., x_n^\prime) in mathbb(K)^n$ tali che:
$mathbf(v) = x_1 mathbf(e)_1 + ... + x_n mathbf(e)_n = x_1^\prime mathbf(e)_1^\prime + ... + x_n^\prime mathbf(e)_n^\prime$,
quindi si pone per definizione:
$c_B (mathbf(v)) := (x_1, ..., x_n) = x$ e $c_(B^\prime) (mathbf(v)) := (x_1^\prime , ..., x_n^\prime ) = x^\prime$.
Rappresentare i vettori "astratti" di $mathbb(V)$ come vettori numerici di $mathbb(K)^n$ ti consente anche di rappresentare le applicazioni di $mathbb(V)$ in sé mediante numeri.
In particolare, scegli un'applicazione lineare $f: mathbb(V) -> mathbb(V)$. Fissate le basi $B$ (nel dominio) e $B^\prime$ (nel codominio) esiste un'unica applicazione lineare $phi: mathbb(K)^n -> mathbb(K)^n$ tale che:
$c_(B^\prime) (f(mathbf(v))) = phi (c_B(mathbf(v)))$;
2per un noto teorema, esiste un'unica matrice quadrata $F=(f_(i,j)) in M_(n xx n)(mathbb(K))$ tale che:
$AA x in mathbb(K)^n,\ phi (x) = F * x^t$,
quindi la precedente si riscrive:
$c_(B^\prime) (f(mathbf(v))) = F * c_B^t (mathbf(v))$
e si dice che
$F$ rappresenta la funzione $f$ rispetto alle basi $B$ (nel dominio) e $B^\prime$ (nel codominio).
3Il discorso precedente lo puoi fare per ogni $f$ che sia lineare; in particolare lo puoi ripetere per l'identità $i:=text(id)_mathbb(V)$, cioè per l'applicazione che ad ogni $mathbf(v) in mathbb(V)$ associa se stesso. Dunque esiste un'unica matrice $D in M_(n xx n)(mathbb(K))$ tale che:
$c_(B^\prime)(i(mathbf(v))) = D * c_B^t(mathbf(v))$,
ossia tale che:
$c_(B^\prime)(mathbf(v)) = D * c_B^t(mathbf(v))$
cioè:
$x^\prime = D * x^t$
con le notazioni introdotte all'inizio.
Quindi la matrice $D$ (che rappresenta $i$ rispetto alle basi scelte) consente di calcolare le coordinate $x^\prime$ del generico vettore $mathbf(v) in mathbb(V)$ rispetto a $B^\prime$ conoscendo le sue coordinate $x$ rispetto alla base $B$, ossia
$D$ è la matrice del cambiamento di base da $B$ in $B^\prime$.
Ora, visto che $D$ è una matrice che rappresenta un'applicazione lineare (l'identità $i$), per noti teoremi, $D$ ha come
colonne le coordinate rispetto alla base $B^\prime$ (fissata nel codominio) delle immagini dei vettori della base $B$ (fissata nel dominio); perciò $D$ ha come colonne i vettori:
$d_j = c_(B^\prime) (i(mathbf(e)_j)) = c_(B^\prime)(mathbf(e)_j)$ per $j=1, ..., n$.
Sono sempre stato, e mi ritengo ancora un dilettante. Cioè una persona che si diletta, che cerca sempre di provare piacere e di regalare il piacere agli altri, che scopre ogni volta quello che fa come se fosse la prima volta. (Freak Antoni)