Disoccupazione

La disoccupazione è la condizione di coloro che, pur essendo idonei a svolgere un’attività lavorativa e desiderosi di lavorare, non trovano un’occupazione.

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La mancanza di un lavoro è un dramma sociale che oggi afflige milioni di persone. E i motivi sono da ricercare in diverse considerazioni: un’economia, come quella italiana, costantemente depressa e tartassata dal fisco; una legislazione lavoristica che con la sua estrema rigidità e il suo eccessivo garantismo ha reso il lavoro un costo scarsamente sensibile alle flessioni delle vicende dell’impresa; lo strapotere sindacale, il quale, nel tempo, ha reso le istanze lavorative non già il fine ultimo della sua attività, quanto piuttosto uno strumento attraverso il quale raggiungere obiettivi prevalentemente politici.
Queste condizioni, negli ultimi anni, in realtà sono sensibilmente “migliorate”: il lavoro è stato reso più flessibile, e sono stati resi più equilibrati i rapporti tra lavoratori e imprese. Ma chiaramente questo non basta, e quel che è stato fatto non necessariamente è definibile come “buono” a prescindere. La maggiore flessibilità e varietà dei contratti e delle modalità lavoristiche (introdotte in ultimo dalla legge Biagi) non sono state infatti accompagnate da un sensibile aumento delle offerte “serie” di opportunità per i giovani e i meno giovani; e la conseguenza è stata perciò l’eccessiva precarietà del rapporto di lavoro nel suo complesso.

Perciò, c’è ancora tanto da fare per vedere pienamente compiuto quanto viene disposto nell’articolo 4, comma primo, soprattutto alla luce della globalizzazione, la quale ha reso il mercato interno estremamente sofferente rispetto alla concorrenza di paesi in via di forte industrializzazione, dove il costo del lavoro è nettamente inferiore. Eppure, un tempo – e cioè a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 – pareva che il il suddetto articolo costituzionale fosse davvero stato attuatocompletamente: molti passi in avanti erano stati fatti rispetto alla legislazione ereditata dal periodo fascista (ricordiamo le leggi sui licenzialmenti illegittimi e discriminatori, la legge sui diritti sindacali dei lavoratori, le leggi sul lavoro femminile e minorile, le leggi sul lavoro delle donne in gravidanza e così via), ma chiaramente non sono stati sufficienti. I forti mutamenti globali e la più intensa integrazione europea ben presto hanno suggerito quanto questo modello fosse, in realtà, incapace di adeguarsi ai tempi, creando peraltro notevoli ritardi nell’ammodernamento del nostro tessuto economico-produttivo.