Con il termine Caduti del lavoro sono chiamati i morti per incidenti sul lavoro. Questi lavoratori vengono spesso ricordati con questo termine anche nelle strade e nelle piazze d'Italia a loro dedicate.
All'interno del movimento operaio italiano, a partire dagli anni '60, si è diffuso il termine omicidi del lavoro per indicare con nettezza le responsabilità dirette dei sistemi di produzione delle economie industrializzate rispetto alle scarse condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, causa diretta di migliaia di morti che si verificano ogni anno nel mondo, specialmente nel settore edilizio, nelle miniere e nel settore siderurgico.
Negli ultimi anni, sulla stampa e all'interno del movimento dei lavoratori, per definire il fenomeno sono stati utilizzati anche i termini morti bianche e omicidi bianchi, dove «l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente».
Fenomeno incidenti sul lavoro - dati statistici
Varie statistiche, a cura di prestigiosi istituti internazionali, sono volte a determinare il numero di incidenti, mortali e non mortali, e le malattie professionali, legati all'attività lavorativa. Scorrendo le statistiche è possibile fornire alcuni numeri, che in genere si sududdividono per le seguenti quattro categorie : Incidenti mortali, Incidenti con danni permenenti, Incidenti con danni temporanei, Malattie professionali.
Incidenti mortali sul lavoro ogni anno
L'ordine di grandezza è di circa due milioni di morti annualmente nel mondo, di cui circa 12 mila bambini. Il numero di morti in Italia al 2007 è di 1260. Questa cifra è andata continuamente diminuendo dagli anni '60 ad oggi ma l'andamento di questa riduzione è meno confortante che in altri Paesi industrializzati. Tra il 1995 e il 2004, infatti, gli infortuni mortali nell’Unione Europea sono diminuiti, in media, del 29,41%, mentre in Italia solo del 25,49%. L’Italia, nel decennio 1996-2005, è risultato il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa...
Incidenti con danni permanenti ogni anno
Gli incidenti con danni permanenti sono quelli che comportano mutilazioni o simili, e danni alla salute che non sono mai guaribili completamente : in sintesi nel dopoguerra si sono avuti circa 30.000 infortuni all'anno in Italia con danni permanenti. Gli infortuni con danni permanenti si sono progressivamente ridotti fino al minimo di circa 20.000 infortuni all'anno registrati negli anni '80. Successivamente il numero di infortuni ha ripreso a crescere e negli ultimi 10 anni sono di nuovo aumentati ad oltre 30.000 infortuni all'anno in Italia. Per approfondimenti si può fare riferimento ai collegamenti esterni e ai dati ufficiali registrati dall INAIL per la categoria "Infortuni con danni permanenti".
Incidenti con danni temporanei ogni anno
Si tratta degli infortuni meno gravi, solitamente guaribili in un perdiodo di tempo variabile da alcuni giorni ad alcuni mesi. L'ordine di grandezza è di circa 270 milioni incidenti all'anno nel mondo; in Italia è dell'ordine di circa 600.000 incidenti con danni temporanei all'anno.
Malattie professionali ogni anno
I casi di malattie professionali sono, nel mondo, circa 160 milioni ogni anno. La statistica delle malattie temporanee è piuttosto aletoria, in quanto i criteri di controllo sanitario e di monitoraggio variano nel corso del tempo. Indicativamente in Italia si registrano oggi (dal 2000 al 2005) circa 25.000 malattie professionali di vario tipo registrate dall'INAIL.
Siamo in una situazione che appare indegna di uno dei paesi più industrializzati d'Europa e che mette insieme una preoccupazione troppo scarsa da parte dello Stato che in questi anni non ha realizzato tutte le misure necessarie per svolgere una forte azione preventiva rispetto agli standard di sicurezza. Ed ha voluto risparmiare su un aspetto che è centrale per la tutela della vita dei lavoratori. C'è da chiedersi come questo abbia potuto accadere in una repubblica che, secondo l'articolo 1 della costituzione del 1948, si fonda sul lavoro. Ma questo fa parte delle contraddizioni che caratterizzano in Italia l'attuazione del dettato costituzionale. Un testo che ha al suo interno parti rilevanti che restano sulla carta e si tratta spesso proprio di articoli che hanno un significato rilevante sul piano sociale.
Viene in mente, infatti, a questo proposito la difficoltà per i nostri imprenditori di prender atto di un insegnamento centrale della costituzione repubblicano: la proprietà privata non ha una giustificazione autonoma ma deve tener conto dell'utilità sociale cui è legata. In altri termini non si può fondare la proprietà soltanto sul profitto ma occorre che tenga conto adeguatamente degli interessi generali della comunità in cui opera. Questo non si verifica e la sicurezza diventa soltanto una spesa, un peso negativo che si trascura.
Lo Stato si comporta allo stesso modo e le classi dirigenti considerano trascurabile un aspetto che è invece centrale in una concezione politico-costituzionale che pure pone il lavoro al centro della società e proclama l'eguaglianza dei cittadini come fondamentale per il nostro paese: come dice il secondo comma dell'articolo 3 della costituzione " è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizazione politica, economica e sociale del paese."
Come si può parlare di osservanza dell'articolo 3, se non si pongono gli operai impegnati in lavori pericolosi in condizione di evitare il rischio di morte? Siamo di fronte a un caso paradigmatico. Sono passati sessant'anni da quella costituzione ma né la classe politica né gli imprenditori sembrano ricordarsene.
Fonte: Nicola Tranfaglia