gianna.spada
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Albert Einstein fu uno studioso di fisica e filosofo tedesco naturalizzato svizzero, diventato successivamente cittadino americano.

Egli nacque a Ulma nel 1879 da una famiglia ebrea. Durante il periodo della giovinezza visse prima a Monaco di Baviera e poi a Milano. Nel 1900, il nostro pensatore presso il politecnico di Zurigo, ottenne, il diploma in matematica e fisica. In quel periodo, egli ebbe modo di collaborare con una rivista che si occupava di materie scientifiche.

Nel frattempo formulava la sua teoria che ebbe una prima esibizione pubblica nello scritto Sulla dinamica dei corpi in moto, in cui il pensatore tedesco presentò la teoria della "relatività  ristretta".

Einstein diventò docente presso l'ateneo di Zurigo nel 1909, ma nel 1912 si trasferì presso l'Università  di Praga.

Nel 1914, egli ricevette la nomina di Direttore dell'Istituto fisico di Berlino. Quando in Germania ebbe inizio la campagna antisemita promossa dal nazismo, egli, già  Premio Nobel, si spostò in un primo momento a Gerusalemme, dove fu Rettore dell'Università  e, in seguito, nel 1933, negli Stati Uniti, a Princeton, dove continuò il suo lavoro di docente universitario fino alla sua scomparsa che avvenne nel 1955.

La posizione assunta da Einstein sulle relazioni dei rapporti tra l'indagine in fisica e in filosofia, è molto nitida e chiara. Infatti, lo studioso tedesco, nello scritto Fisica e Realtà , afferma: "Il fisico non può lasciare al filosofo la considerazione critica dei fondamenti teorici; perché è proprio lui che sa meglio di tutti e percepisce con maggiore precisione che cosa non vada. Nel cercare dei fondamenti nuovi, egli deve tentare di chiarirsi fino a che punto i concetti da lui adoperati siano giustificati e necessari"1..

Questa teoria è presente in diversi scritti e con differenti sottolineature. Il riferimento è tratto da un ambito in cui Einstein recupera la questione dei fondamenti della conoscenza umana e presenta, di nuovo, il dilemma cartesiano della relazione fra l'intelletto e il mondo esterno, ma anche il problema della genesi delle idee in un'ottica che tiene presente, con persistenza, sia Locke che Leibniz.

Secondo la sua opinione, la fisica dell'Ottocento si ricollega direttamente all'indagine filosofica e fisica dell'epoca di Newton. A giudicare dalle sue opere, sono pertanto i pensatori del Seicento e i suoi interlocutori preferiti sulla specifica e decisiva questione dei “fondamenti teorici”?. Di certo, la scienza del Seicento respinge del tutto le costruzioni metafisiche della tradizione filosofica e, in tal senso, un Galilei o un Newton respingono la metafisica. Ma ugualmente fanno i filosofi.

Infatti, sia Bacone sia Cartesio avevano fatto intendere in modo esplicito di voler ricominciare da zero e, se l' indagine storica indica in moltissimi punti la loro relazione con il passato, ciò non riduce la loro netta volontà  di non tenerne affatto conto (tranne Euclide), assoggettando qualsiasi cosa all' analisi ferrea della ragione. Accanto ai filosofi-scienziati seicenteschi, vi è un pensatore dell'Ottocento di cui Einstein, apertamente, dichiara di essere un interessato lettore sin dal periodo della gioventù.

Si tratta di Schopenhauer, di cui lo studioso richiama i seguenti punti: - la "religione cosmica" ed il Buddismo; - il bisogno di sottrarsi dall'infelice crudezza e dal vuoto dell'esistenza quotidiana, come una delle spinte propulsive alla realizzazione dell'arte e della scienza, vale a dire, di una rappresentazione del mondo che riconsegni un giusto significato all'esistere; - il rigetto del libero arbitrio.

Tali elementi non fanno riferimento ai fondamenti teorici che richiamano le dottrine filosofiche del Seicento, invece essi rievocano la concezione dell'individuo per la quale Einstein ricorda altresì Nietzsche in particolar modo per quanto concerne la considerazione delle relazioni tra l'uomo e la massa.

Sull'argomento della natura dell'uomo, come sappiamo dal famoso pubblico epistolario, Einstein fu in dialogo pure con Freud, mostrando molto interesse per l'inconscio, come d'altronde si può osservare nelle sue opere, innanzitutto laddove parla della questione della genesi delle idee, a partire dai dati dell'esperienza ma anche dall'azione di quello che definisce "subconscio" come ambito di elaborazione primaria.

I richiami sia ai filosofi del Seicento (per i fondamenti teorici) che a quelli dell'Ottocento (per la concezione dell'individuo) non vanno visti come influenze, condizionamenti più o meno profondi. Einstein, riconosce come unica fonte di verità  la ragione, in sintonia con il razionalismo seicentesco.

Qualsiasi "influsso" è sicuramente vagliato mediante il filtro dell'analisi razionale, così come normalmente può dirsi per qualunque opera filosofica dell'età  del razionalismo. Il mondo della filosofia è per lui un interlocutore così come, fra le righe, lo è altresì il mondo dell'arte.

Einstein è a favore dell'idea che esista un Dio non personale. La sua teoria, che può essere definita”?cosmica”?, chiama in causa filosofi come Democrito, Spinoza, Leibniz. Infatti, in pagine diventate celebri, il filosofo tedesco si pronuncia in maniera molto chiara contro la concezione personale di Dio, secondo i modelli delle religioni monoteiste. Egli fa una classificazione di tre tipologie di religiosità , individuate riguardo alla loro origine.

La prima scaturisce dalla paura, ed è una "religione del terrore", basata sulla credenza in forze personali superiori capaci di accattivarsi mediante le immolazioni e rinforzata dalla nascita di una classe sacerdotale.La seconda scaturisce dai sentimenti sociali dell'essere umano, uniti all'amore per i genitori: ne nasce un "Dio - provvidenza che difende, fa agire, ricompensa e punisce".

Questi due tipi di religiosità  sono presenti in forma variegata e in fasi differenti altresì nelle religioni monoteiste attuali e danno in ogni modo luogo a una concezione individuale di Dio. Il loro fondamento, comunque, è sia nelle necessità  che nei desideri dell'essere umano e non nell'analisi del mondo reale: antropomorfismo è il termine che le esprime nel modo migliore: "Tutto ciò che è fatto e immaginato dagli uomini serve a soddisfare i loro bisogni e a placare i loro dolori".

L'esistenza individuale dà  all'uomo l'impressione di una prigione, infatti, questo vuol vivere nella piena consapevolezza di tutto quello che esiste nella sua unità  globale e nel suo senso profondo. Questa concezione è abbastanza nota. Infatti, essa fa parte della tradizione stoica, che troviamo nel Libro V dell'Etica di Spinoza, se ne trova l'eco in pensatori contemporanei ad Einstein, come Bergson e Russell.

Non si tratta di ascetismo, ma di un'inequivocabile propensione alla conoscenza. In passo un citato Einstein rileva nella Bibbia stessa (nei Salmi di Davide e in qualche Profeta) l'impulso verso questa forma di religiosità  e richiama poi Democrito, Spinoza e, tra gli uomini di fede, Francesco d'Assisi.

Se si intende la religiosità  in questo modo, non ci può essere alcun conflitto tra la scienza e la religione, mentre scaturisce un contrasto, se si accetta l'idea di un Dio personale, poiché "l'uomo che crede nelle leggi causali, arbitro di tutti gli avvenimenti se prende sul serio l'ipotesi della causalità , non può concepire l'idea di un Essere che interviene nelle vicende umane, e perciò la religione-terrore, come la religione sociale o morale, non ha presso di lui alcun credito".

Lo studioso insiste sia sul fatto che non ci possa essere alcun contrasto fra religiosità  cosmica e scienza, sia sul fatto che lo stesso impulso dà  origine ad entrambe. Egli mette in risalto la gioia profonda che suscita l'osservazione (scientificamente orientata) della natura e l'apprendimento delle sue leggi e l'ardente aspirazione di conoscere "sia pure limitato a qualche debole raggio dello splendore rivelato dall'ordine mirabile dell'universo".

Si riconosce in tali parole l'eco di un sentimento profondo, legato ad una concezione cosmica della natura: quello che caratterizza la poesia di Lucrezio, dinanzi alla concezione dell'infinito e allo stesso tempo della ragione dell'essere umano che ne svela i segreti o che anima i testi di filosofia medioevali di ispirazione platonica, che considerano la natura come specchio di Dio, in cui si manifesta la stessa forza che ha consentito la costruzione delle cattedrali gotiche.

A tal proposito, il nostro fisico scrisse: "La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. E' il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell'arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti". Chi al contrario ha occhi per il lato indecifrabile della vita tenta di svelare il mistero mediante la ragione: non si accontenta di niente di meno che della verità , non sogna, non lascia spazio ad antropomorfismi che appagano necessità  essenziali. In questo modo, si crea quella che Einstein definisce una "immagine del mondo", con i mezzi della pura ragione portando avanti l'indagine scientifica con gli strumenti dell'arte, che agli occhi di Einstein è figlia dello stesso impulso al superamento dell'io verso l' osservazione delle cose.

Einstein pensa che sia competenza dello scienziato e non demandabile al filosofo, quello di studiare in modo critico i fondamenti teorici della scienza, vale a dire le concezioni di fondo da cui muove il pensiero scientifico. Lo studioso tedesco conduce in verità  questo studio in modo articolato e minuzioso.

Le sue idee possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1) le conoscenze che concernono il mondo esterno scaturiscono in origine dalle "impressioni sensoriali"; 2) non è possibile ottenere da tali impressioni i principi della scienza, la cui natura fa parte della ragione con la sua "logica" ed è incondizionata; 3) i principi della scienza sono produzioni libere, ma determinate e razionali, della ragione, e mettono ordine sui dati che derivano dall'esperienza; 4) poiché si tratta di costruzioni libere della mente, il fatto che esse consentano la costruzione della scienza della natura, vale a dire dell'effettiva realtà , non solo di realtà  "possibili", è cosa che va filosoficamente chiarita.

Per quanto concerne il primo punto, Einstein segue l'origine della nozione di oggetto materiale come ristrutturazione della ragione e le sue parole ricordano tanto la sequenza con cui Locke descrive la venuta al mondo dell'idea complessa di sostanza partendo dalle idee semplici. Sin da adesso, il contesto su cui ci si muove è quello conosciuto della tradizione empirista.

Riguardo al secondo e al terzo punto, invece, si pone un'origine incondizionata per i fondamenti, vale a dire per le idee-quadro che permettono la spiegazione scientifica dei dati d'esperienza e la realizzazione di una dottrina scientifica. E' vero che tali principi non parlano di tale realtà , ma sono autonomi da qualunque realtà . E' anche vero però che l'indagine scientifica applica tali principi ai dati di realtà , interpretandola: "Non si deve biasimare, tacciandolo di soverchia fantasia, il teorico che intraprende questo studio: ma bisogna, al contrario, provare la sua fantasia, perché, tutto ben considerato, non c'è per lui altro cammino per arrivare allo scopo: in ogni caso non è una fantasia senza disegno, ma una ricerca eseguita in vista di possibilità  logicamente più semplici e delle loro conseguenze".

Va puntualizzato che il filosofo tedesco esamina a fondo la nozione di mondo reale, definendola come il frutto di una ricostruzione mentale scaturente dalla possibilità  (che considera un sorprendente mistero) di porre ordine, mediante il pensiero, ai materiali sparsi che derivano dalle impressioni dei sensi; inoltre, va messo in risalto che "non è possibile differenziare le impressioni sensoriali dalle loro rappresentazioni; o almeno non con assoluta certezza".

Il quarto punto mette in una luce più evidente la tesi einsteiniana sulla genesi della religiosità  cosmica, dall'impulso della quale nascono la scienza, la filosofia e l'arte. Il fatto è che la mente (i cui fondamenti logici sono indipendenti) e il mondo reale esterno (vale a dire la fonte delle impressioni che permettono alla mente di ricostruirla come tale, cioè, come mondo reale) danno vita ad un ordine di cui non comprendiamo il principio, ma che si propone agli occhi dello studioso con il carattere dell'unità  razionale: tornano, infatti, nelle parole di Einstein le vecchie influenze sull'ordine cosmico cui assegnare numero e misura.

Einstein discute in molti passi la filosofia kantiana delle forme a priori, per esempio, affermando che: "le idee si riferiscono alle esperienze dei sensi, ma non possono mai derivarne logicamente. Per questa ragione, non ho mai potuto comprendere la questione dell'a-priori nel senso di Kant. Nelle questioni di realtà , non può mai trattarsi che di una cosa, cioè di ricercare i caratteri del complesso di esperienze dei sensi ai quali si riferiscono le idee".

Con Einstein, la teoria della relatività  ha avuto uno sviluppo tale che oggi è inevitabile associare a tale teoria il nome dello scienziato tedesco.

La sua prima teoria prende il nome di relatività  ristretta. Questa fu la prima ad essere presentata da Einstein, con l'articolo elettrodinamica dei corpi in movimento del 1905, per armonizzare il principio di relatività  galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche.

La teoria della relatività  ristretta si basa sui seguenti postulati:

- primo postulato (principio di relatività ): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;

- secondo postulato (invarianza della luce): la velocità  della luce nel vuoto possiede lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, a prescindere dalla velocità  dell'osservatore o dalla velocità  della fonte di luce. Le trasformazioni di Lorentz soddisfano il secondo postulato: se per un osservatore in un dato sistema di riferimento inerziale la velocità  della luce è c, questa sarà  per un qualsiasi altro osservatore in un sistema di riferimento inerziale in movimento rispetto al proprio.

Le leggi dell'elettromagnetismo, nella forma dell'elettrodinamica classica, non mutano sotto le trasformazioni di Lorentz e pertanto soddisfano il principio di relatività .

La celebre formula relativistica E = mc2 è formata da:

E = energia, espressa in joule (= N•m = W•s = kg• m²/s²);

m = massa, espressa in chilogrammi (kg);

c = velocità  della luce, espressa in m/s (299 792 458 m/s, generalmente approssimata a 300 000 000 m/s). Pertanto c2 ≈ 9 × 1016 m²/s².

La massa è una forma di energia molto concentrata: essa svanisce quando appare l'energia e viceversa.

In particolare, se un corpo assimila una quantità  di energia, la sua massa non si conserva, ma accresce della quantità  E/c2; viceversa, la massa del corpo riduce se perde energia, ad esempio effondendo luce.

Inoltre, la massa è una forma di energia che non si conserva in modo separato, ma si associa all'energia cinetica e all'energia potenziale nell'esprimere la conservazione dell'energia meccanica.

L'enorme elemento di trasformazione che lega la massa e l'energia spiega come, condensando un grosso quantitativo di energia, si possa generare una piccola quantità  di materia (= E/c2) e anche come da una piccolissima massa si possa conseguire molta energia.

Infatti, ad esempio, un grammo di materia corrisponde a 90.000 miliardi di joule (9 × 1013 J = 90 000 000 MJ = 90 000 GJ = 90 TJ). Poiché 1 kWh = 3,6 × 106 joule = 3 600 000 joule, un grammo di materia equivale a 25 000 000 kWh (= 25 000 MW h = 25 GW h).

L'equivalenza massa ”“ energia ha provato la sua potenza, in modo distruggente, con le bombe atomiche. La bomba di Hiroshima ha diffuso una potenza di 13 kilotoni, che corrispondono a 54,6 TJ (13 × 4,2 × 10¹² J); ma questa energia costituisce soltanto il 60% di quella che sarebbe emessa dalla conversione di un solo grammo di materia (90 TJ). In effetti, perfino nel corso dell'esplosione di una bomba nucleare soltanto la minima parte della massa totale del materiale fissile è stata convertita in energia.

Il fenomeno della completa e istantanea conversione della materia in energia potrebbe verificarsi solamente nella circostanza in cui la materia venisse a contatto con l'antimateria, annientandosi totalmente.