_antoniobernardo
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Biografia. Nato ad Atene intorno al 427 a.C. da una nobile famiglia, intraprese l'attività politica fin da giovane, ma in seguito all'arresto e alla condanna a morte del suo maestro Socrate, si ritirò dal mondo della politica per dedicarsi alla filosofia. Probabilmente su questa decisione incise anche la parentela con Crizia, il più autorevole dei Trenta Tiranni.

Dopo la morte del suo maestro egli intraprese una serie di viaggi sia nell'area orientale dell'Africa che in Italia, di preciso a Taranto, dove ebbe modo di cominciare la stesura dei suoi “primi dialoghi” in cui l'autore riportava le discussioni di Socrate relative alla critica delle convinzioni erronee e che confutavano l'innovativo sapere dei sofisti.

Probabilmente Platone, nel 388 fu anche a Siracusa dove ebbe modo di stringere amicizia con Dione, cognato del tiranno. Un anno dopo, fatto rientro ad Atene, fondò l'Accademia, scuola di formazione politico-sociale di cui Aristotele più tardi diverrà componente. Si pensa che in questo periodo l'autore abbia scritto i dialoghi a carattere pedagogico come il Fedro, il Fedone e il Simposio, opere che trattano argomenti che rappresentano il focus della filosofia platonica, come l'immortalità dell'anima e la perennità di ciò che è bello.

Platone su richiesta dell'amico Dione, che approvava le idee politiche del filosofo ateniese, ritorna in Sicilia, a Siracusa, con la speranza di influenzare con la sua filosofia il governo locale del giovane Dionigi I, il quale avendo intuito le intenzioni di Dione lo fece mettere in prigione insieme a Platone, quest'ultimo fu reso servo. Per sua fortuna, il socratico Anniceride di Cirene lo liberò, ed il nostro filosofo fece ritorno ad Atene. Proprio in quel periodo si occupò della redazione di alcune opere come il Parmenide, il Teeteto, il Sofista, ed il Filebo.

Nel 361 a.C. Platone fece il suo ultimo viaggio in Sicilia. Non c'è tuttavia Dione, verso il quale Dionigi nutre un'aperta avversione; i tentativi di Platone di difendere l'amico causano la rottura delle relazioni con il tiranno siracusano che arriva a mettere in carcere il filosofo. Liberato grazie all'intervento di Archita, il pitagorico tiranno di Taranto, amico di tutti e due, nel 360 a.C. Platone lascia la Sicilia per rientrare ad Atene; nel corso del viaggio sbarca ad Olimpia per incontrare per l'ultima volta Dione.

Quest'ultimo preparava uno scontro armato contro Dionigi, del quale Platone tentò inutilmente di fargli cambiare idea: nel 357 a.C. sarà in grado di impossessarsi del potere a Siracusa ma verrà assassinato tre anni dopo.

Ad Atene Platone stese le sue ultime opere, il Timeo, il Crizia, il Politico, il Filebo e le Leggi.

Morì nel 347 a.C. ed il nipote Speusippo gli subentrò nella conduzione dell'Accademia.

Pensiero. Influenzato in maniera forte dalla filosofia di Socrate, Platone continua l'indagine del suo maestro sulla verità mediante una confutazione serrata delle convinzioni. Egli, diversamente da Socrate, va alla ricerca di una conoscenza universale ed essenziale. Tale indagine lo induce alla riscoperta del pensiero di Parmenide, il quale aveva tracciato una scienza dell'essere totalmente indubitabile.

La filosofia di Parmenide in quel periodo, era stata criticata pesantemente dai pluralisti, i quali ritenevano che questa penalizzasse la conoscenza dei fenomeni. Platone, al contrario, rifiuta tale impostazione ed afferma l'esistenza di due forme di realtà e di conoscenza.

Da un lato il nostro filosofo ci presenta la realtà e la conoscenza del mondo sensibile, costituita da cose materiali, dall'altra la realtà e la conoscenza di una dimensione posta al di là di tale mondo, fatto di idee di natura del tutto intelligibile. Affinché la nostra conoscenza delle idee sia efficace bisogna che le idee siano realtà universali e costanti e non soltanto criteri regolativi interni all'intelletto. Secondo il filosofo ateniese le idee sono oggetti di una “visione” tutta intellettuale, che coglie al di là dell'aspetto sensibile, e delle accidentalità individuali, l'universale, quello che ai giorni nostri chiamiamo concetto.

Platone nell'opera Eutifrone presenta un primo modello della teoria delle idee. In tale scritto il nostro filosofo cerca di discernere quello che è santo da ciò che è empio e arriva alla conclusione che quello che è santo deve esserlo sempre, in qualsiasi situazione. Le cose che restano identiche sono tali in quanto possiedono una loro forma, una loro conoscibilità, vale a dire se ne possiede un'idea ben precisa. Secondo la concezione platonica, chi vuole conoscere tutto quello che può essere considerato santo, deve andare alla ricerca del principio in base al quale tutte le cose sante sono tali.

Le idee secondo la filosofia platonica esistono separatamente e anteriormente agli individui materiali in cui si incarnano, esse vengono considerate dei modelli eterni che vengono osservati dal demiurgo il quale ha il compito di modellare la realtà corporea.

Tale visione filosofica del sapere è decisamente in contrasto all'arte della convinzione e della retorica suggerita dai sofisti. Parecchi discorsi platonici hanno l'obiettivo di demolire alcuni insegnamenti dei sofisti. Infatti, nel Gorgia Platone muove una critica alla retorica definendola una pratica della persuasione che si attua attraverso discorsi basati sulla credenza piuttosto che sulla conoscenza.

Nell'opera Menone invece, Platone prova che nell'individuo sono presenti delle idee acquisite fin primo momento che viene messo alla luce. La conoscenza si concretizza nel momento in cui tali idee vengono recuperate.

Il pensatore ateniese muove altresì una critica all'eristica, vale a dire l'arte della controversia che si pone l'obiettivo di far sì che la propria teoria, a prescindere dal fatto che sia errata o corretta, possa prevalere. Platone apertamente si scaglia contro tale arte nell'opera l'Eutidemo.

Riprendendo le dottrine religiose dell'orfismo, il filosofo ritiene che l'anima essendo immortale rinasca più volte, essa conosce molto bene il mondo, per cui il processo di apprendimento si basa sull'esercizio della memoria e del ricordo.

L'autore rigetta la concezione filosofica di Protagora che assegna un nome alle cose per convenzione, infatti nel Cratilo, discorso indirizzato al linguaggio, egli ritiene che tra le cose e i nomi vi è una correlazione di natura, in quanto le cose materiali possiedono una loro natura che di certo non può essere modificata dall'individuo. Assegnare dei nomi alle cose è un'attività di competenza esclusiva degli individui che conoscono, che sanno (i filosofi), dal momento che i nomi verranno attribuiti prendendo in considerazione la natura delle cose mediante l'analisi delle idee di ogni cosa.

L'idealismo platonico prende vigore anche mediante alcuni discorsi che hanno come tema centrale l'amore e l'estetica. Le idee rappresentano l'obiettivo finale cui tende l'anima, e l'anima acquisisce il carattere dell' immortalità grazie alla sua connessione con le idee proprio per il suo legame con le idee.

Sia nell'opera Il Convivio che nel Simposio l'autore affronta il tema dell'amore. Platone vede l'amore come un'aspirazione che è presente in qualunque individuo, si prova amore sia per il bel corpo che per l'anima bella; esso rappresenta quella forza che spinge il singolo a superare i limiti della sua natura corporea e a rivolgersi verso ciò che è più perfetto e spirituale.

L'amore è aspirazione di avere il bello ed il bene. È intuizione dell'esistenza del bello e del buono da parte di chi non li ha ma li desidera. Mediante tale ambizione l'individuo supera i propri limiti, sale a poco a poco la scala delle cose belle e giunge ad ammirare il bello in sé.

Nel Fedro il pensatore ateniese dà una rappresentazione dell'anima, come principio di vita e di movimento, libera dal corpo e immortale, è raffigurata come un carro trainato da due cavalli con le ali, e quando il cavallo bianco che raffigura le forze del bene emerge su gli altri. Quando prevale il cavallo bianco, che guida gli impulsi buoni e razionali, l'anima spicca il volo nel mondo delle idee, invece quando predomina il cavallo nero che guida le passioni materiali e sessuali, l'anima casca sulla terra ed è indotta a riviversi in un nuovo corpo. platone-berlino-by-hovistoninavolare.jpg

Per il filosofo ateniese l'anima tiene in serbo i ricordi del mondo sacro pure in seguito alla caduta nel corporeo e nel sensibile. La concezione delle cose belle nel mondo sensibile ravviva i ricordi delle essenze osservate nel mondo conoscibile ed infiamma l'anima di un delirio soprannaturale, la configurazione più alta dell'amore.

Nel Fedone Platone riporta le ultime ore del suo maestro Socrate, descrivendolo come uno che nel corso della sua vita era sottoposto ad una specie di morte, in quanto il mondo reale veniva visto come una prigione ed il corpo come un ostacolo per l'anima che non poteva essere liberato verso la scienza. Il momento della liberazione dell'anima si manifesta nel momento in cui egli muore, e così facendo riesce altresì a liberare la scienza dai vincoli del corpo, poiché il corpo dell'uomo in vita è un impedimento per l'anima che non può tendere verso la scienza.

Il filosofo virtuoso vuole cessare di vivere per rendere libero dalla prigione del corpo e per fare ritorno al puro mondo delle idee, in caso contrario raggiungibile solamente con la ricerca inflessibile e distaccata della verità e l'esercizio della virtù.

Nella Repubblica il pensatore ateniese mette in luce una nuova visione dello stato per conseguire l'ideale della conoscenza generale ed indispensabile. Infatti, per Platone lo stato si crea per il soddisfacimento delle proprie esigenze con l'appoggio degli altri, ma la smisurata smania di potere e le mire espansionistiche spesso sono causa di scontri continui con le altre civiltà. Bisogna perciò dare vita ad un esercito di soldati di professione per proteggere uno stato che sia espressione della condivisione dei valori da parte di tutti i consociati.

Platone vede nella abolizione di ogni forma di proprietà privata la massima realizzazione dell'ideale di condivisione che è elemento fondamentale per garantire la pacifica convivenza tra gli individui. Inoltre, lo stato secondo il nostro filosofo, si deve occupare della formazione dei bambini, deve tenere sotto controllo le unioni sentimentali e le donne dovranno essere formate per poter prendere parte con gli uomini alla cosa pubblica.

Per Socrate era rilevante occuparsi principalmente dell'anima, invece il suo allievo ritiene indispensabile prendersi cura anche dello stato. In questo passaggio si assiste ad un superamento dell'orientamento socratico che Platone realizza facendo la distinzione tra tre classi sociali che costituiscono lo stato sulla base di una dottrina dell'anima composta da tre parti. La parte concupiscibile, l'istinto, corrisponde alla classe dei lavoratori, definiti uomini di bronzo. La parte avversa, la forza emotiva, coincide invece con i custodi, considerati uomini d'argento, mentre la parte razionale, la ragione, compete ai governanti, che sono uomini d'oro.

A capo dello stato devono porsi i filosofi che sono depositari del sapere e che possiedono una potenza politica. La forma di governo ideale secondo il nostro autore è il governo aristocratico, l'unico che consente l'incontro fra dominio politico e vera conoscenza, tutte le altre forme come l'oligarchia, la democrazia o la tirannia rappresentano la degenerazione di questo modello considerato perfetto.

Le idee assicurano non solo l'accesso ad una forma di conoscenza vera e universale ma altresì l'unità essenziale e costante del molteplice e del divenire. Attraverso il mito della caverna Platone mostra le tappe della conoscenza umana. Secondo tale mito, gli individui sono bloccati all'interno di una caverna, con le spalle rivolte verso la luce e gli oggetti reali sono al di fuori della caverna, ma gli individui non si possono voltare per osservarli direttamente, loro possono soltanto guardare le ombre che gli oggetti gettano contro le pareti della caverna.

Secondo Platone l'uomo è condannato a poter cogliere mediante la sensazione soltanto le ombre delle idee, e solamente in pochi sono in grado di uscire dalla caverna e rendersi conto della bellezza del reale. È di competenza dei pensatori cercare di condurre gli esseri umani verso la conoscenza delle idee, attraverso lo studio della matematica e l'esercizio della dialettica che insegnano l'ammirazione del bello e del mondo reale.

Nel Parmenide Platone affronta i problemi che concernono la dottrina delle idee. Le difficoltà si incontrano nel momento in cui bisogna considerare insieme i processi di unificazione e di divisione, dato che le idee sono separate dalle cose (ad esempio l'idea di bellezza non collima con le cose, se no diventerebbe una e molteplice) ma allo stesso tempo assomigliano ad esse (sono difatti unificate da tale somiglianza).

Per dare una soluzione a tali problematiche, Platone enuncia la teoria della partecipazione: le cose prendono parte semplicemente alle idee, e il mondo dell'essere e il mondo sensibile coesistono nella medesima relazione in cui si trovano l'uno e il molteplice. È impensabile Il molteplice senza fare riferimento all'unità, poiché è anch'esso composto da unità, a sua volta l'uno è essere in quanto unisce il molteplice sensibile e pertanto è in collegamento con il non essere sensibile.

Secondo la filosofia di Platone, la divisione di Parmenide tra essere e non essere non può essere accettata, dato che implicherebbe l'impossibilità di stabilire relazioni cognitive fondate. Il filosofo ateniese critica aspramente altresì la dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza vista come sensazione. Infatti, nel Teeteto ritiene che la sensazione non permette una conoscenza valida e vera fondata sul mondo delle idee.

Nel Sofista, presenta il metodo dicotomico della dialettica e ripresenta il problema dell'esistenza del non essere. Per trovare una intercessione tra mondo ideale dell'essere e conoscenza dell'uomo è indispensabile «uccidere Parmenide». Il non essere è definito in quanto rifiuto relativo e non come negazione assoluta, dato che la diversità è una forma basilare dell'essere medesimo. Solamente in tale modo ci si può rendere ragione del falso e dell'errore. Se si esclude qualunque relazione tra l'essere e il non essere si rende molto difficile sia la conoscenza che il linguaggio.

La dialettica conduce uno studio sulle forme dell'essere per stabilire tra loro la relazione di identità e di diversità. Spiegando quali forme della realtà si legano e quali si lasciano fuori, la dialettica è capace di definire la struttura del mondo reale, presentando tutte le sue determinazioni e articolazioni.

Nel Filebo, che è un dialogo della vecchiaia, ribadisce che i generi non devono essere visti come unità inflessibili ma in rapporto di partecipazione gli uni con gli altri. La ricerca dei generi si sposta sia nell'ambito dell'unità che nell'ambito della pluralità. I due generi principali sono il finito e l'infinito. Sempre in quest'opera rinveniamo un tema che ancora oggi possiamo considerare di grande attualità come il problema dell'origine dell'universo e della formazione del mondo. Platone respinge la rappresentazione meccanicistica del mondo enunciata dalla filosofia di Democrito e presenta un discorso sulla nascita e l'organizzazione del cosmo, migliorando il carattere qualitativo della fisica antica con schemi e proporzioni matematiche che gli assegnano una precisa struttura qualitativa che adopera per dare una dimostrazione del fine razionale dell'universo. Difatti, l'universo è visto come una cosa messa al mondo da un creatore, un artefice divino, che opera riproducendo i modelli del mondo delle idee e le proporzioni matematiche, ma non si tratta di un vero fondatore dato che le cose esistevano anche prima del suo avvento.

Platone fa emergere una sorta di parallelismo tra l'intero universo e la città-stato, quest'ultima pensata alla stregua dell'universo, come un ente dotato di un'anima intelligente e di un corpo. L'anima del mondo è principio universale della vita, intercessione tra il piano sensibile e il piano razionale-ideale del mondo reale, rappresentazione della compresenza di essere e divenire che contraddistingue i fenomeni.

Infine, nel Timeo enuncia un altro dei principi che stanno alla base della realtà corporea, che è la Chòra, principio indeterminato e in sé negativo che funge da “ricettacolo” delle forme e da “ostacolo” all'opera plasmatrice del Demiurgo, il quale guardando le idee ed i modelli archetipi di tutte le cose, dà forma e ordine al cosmo.