_antoniobernardo
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Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz: i fatti della geometria

Hermann von Helmholtz (1821-1894) completa nel 1842 gli studi in medicina; diviene nel 1849 professore di fisiologia a Koenigsberg, nel 1855 professore di fisiologia e anatomia a Bonn, nel 1858 professore di fisiologia a Heidelberg. Negli anni Sessanta si occupa del problema dei fondamenti della geometria: una problematica che interseca diversi suoi interessi: fisica, fisiologia dell'occhio, matematica, filosofia.

Punto di partenza per queste ricerche sullo spazio sono gli studi di ottica fisiologica.

Nel 1867 ha pubblicato un'opera di oltre mille pagine che raccoglie una lunghissima serie di esperimenti sulla percezione visiva, la descrizione degli organi coinvolti nel processo di visione, le loro disfunzioni e alcune osservazioni di carattere storico e filosofico (Manuale di ottica fisiologica). Helmholtz vuole ora indagare sul modo in cui l'azione fisica dei corpi esterni, la struttura fisiologica dei nostri organi di senso e la rielaborazione psicologica delle sensazioni concorrono alla percezione e rappresentazione degli oggetti esterni.

L'attività psichica che ci porta a concludere che un determinato oggetto, con una determinata forma, si trova in una determinata posizione al di fuori di noi è, quasi sempre, un'attività di cui non siamo coscienti. La maggior parte delle nozioni che riguardano lo spazio deve essere considerata il risultato dell'esperienza e dell'abitudine. La rappresentazione della forma dei corpi e della loro localizzazione nello spazio si produce per mezzo del confronto delle immagini ricevute dai due occhi: attraverso spostamenti sia dei corpi sia dell'osservatore, ci si rende conto che qualcosa rimane inalterato.

Se non esistessero un gran numero di oggetti simili, la nostra facoltà di formare delle nozioni di specie non ci sarebbe di alcuna utilità; se non ci fossero corpi rigidi, le nostre facoltà geometriche resterebbero senza sviluppo e senza uso allo stesso modo in cui l'occhio non ci servirebbe a niente in un mondo senza luce

(Manuale di ottica fisiologica, 1867, p. 447)

Quanto allo spazio, afferma Helmholtz, vi sono due posizione: quella empirista, secondo la quale la nozione di spazio deriva direttamente dall'esperienza, e quella innatista, per la quale la nozione di spazio si costruisce attraverso un sistema di concetti innati.

Hemholtz ha appena iniziato una ricerca matematica sui fondamenti della geometria, quando viene pubblicata la memoria di Riemann "Sulle ipotesi che stanno a fondamento della geometria". Si rende conto che Riemann ha già sviluppato in modo egregio l'argomento; decide di pubblicare delle proprie osservazioni in merito. Prende corpo una conferenza dal titolo "Sui fatti che stanno a fondamento della geometria" che presenta nel 1868.

La premessa di Helmholtz è che bisogna distinguere, in primo luogo, le proposizioni della geometria che hanno un significato fattuale da quelle che sono semplici definizioni legate al linguaggio usato per esprimersi. Quindi, trovare l'origine delle proposizioni che riguardano i fatti.

La geometria, così come è esposta nei manuali, osserva Helmholtz, presuppone tutta una serie di fatti che vengono ritenuti ovvi, sui quali non si è sufficientemente indagato, mentre proprio la loro ovvietà esprime caratteristiche ben precise del mondo reale esterno a noi. Riemann ha correttamente utilizzato lo strumento dell'analisi matematica, che occupandosi di concetti puri senza fare ricorso all'intuizione geometrica, può permetterci di distinguere quelle proprietà dello spazio che sono puramente matematiche da quelle che riguardano proprietà fattuali, il cui fondamento va cercato all'esterno della matematica.

Dopo aver ripreso il concetto riemanniano di varietà multidimensionale, passa alla caratteristica fondamentale dello spazio: la possibilità di effettuare misure. Mette così subito in chiaro la differenza tra la propria posizione e quella di Riemann.

Riemann assume la formula di Pitagora, ds2=dx2+dy2+dz2, come ipotesi e pur sostenendo che è la più semplice tra quelle possibili ritiene che si possa cambiarla liberamente. Dal suo punto di vista, è possibile avere diverse geometrie a seconda di come si sceglie la formula per calcolare le distanze: la geometria di Euclide è solo una delle tante analiticamente possibili. Per quanto riguarda la geometria dello spazio fisico, è convinto che sia compito della fisica individuare quale tra le geometrie matematicamente possibili sia quella più idonea per la fisica.

Helmholtz introduce dall'inizio la condizione che le figure spaziali possano muoversi liberamente senza alterazione della loro forma, traduce questa idea empirico-intuitiva in assiomi sull''esistenza dei corpi rigidi e dei loro movimenti, ottiene come conclusione che la formula per calcolare le distanze non è arbitraria, l'unica compatibile con l'esistenza dei corpi rigidi è quella espressa dal teorema di Pitagora: la geometria di Euclide è, quindi, l'unica possibile in quanto l'unica compatibile con il concetto di corpo rigido.

Helmholtz conclude il proprio saggio sostenendo di essere arrivato al punto di partenza delle ricerche di Riemann.

Il 24 Aprile del 1869, il matematico italiano E. Beltrami scrive una lettera a Helmholtz.

Per quanto mi è possibile penetrare nel vero significato delle vostre belle ricerche, non incontro nessuna conclusione che non possa verificare dal mio punto di vista e che io ho esposto in parte in due pubblicazioni intitolate: Saggio di interpretazione della geometria non euclidea e Teoria fondamentale degli spazi di curvatura costante, che ho avuto l'onore di inviarvi, tempo fa. C'è solo un punto sul quale debbo chiedervi delucidazioni.

Beltrami nei due saggi in questione ha studiato una superficie a curvatura costante negativa (cfr. la scheda sulla pseudosfera di Beltrami), chiamata pseudosfera, che soddisfa tutte le condizioni poste da Helmholtz per l'esistenza dei corpi rigidi.

Helmholtz si rende subito conto del proprio errore e pochi giorni dopo scrive un Supplemento al suo primo saggio, nel quale precisa:

[...], ho sostenuto in una parte non ancora pubblicata e non completamente studiata a fondo, nella quale si è insinuato un errore, che allora non conoscevo, che una certa costante che io credevo dovesse essere reale, aveva significato anche quando la si assume immaginaria. L'affermazione colà enunciata, che lo spazio, se deve essere esteso all'infinito non può che essere piano (nel senso di Riemann), è errata. Ciò risulta specialmente dall'altamente interessante e importante ricerca di Beltrami[...]; questi ha studiato la teoria delle superfici e degli spazi con curvatura costante negativa e ha dimostrato la concordanza di questa teoria con la geometria immaginaria già enunciata in precedenza da Lobacevski. In questa teoria lo spazio è infinitamente esteso in tutte le direzioni; figure congruenti a una data possono essere costruite in ogni parte; tra ogni coppia di punti è possibile individuare una linea di minor percorso ma la proposizione sulle parallele non vale.

In un secondo saggio Helmholtz afferma che la conclusione cui è pervenuto riguardo la geometria euclidea non è del tutto esatta: le proprie ricerche non costituiscono una discriminazione tra la geometria di Euclide e quella di Lobacevski.

Il tentativo di Helmholtz di dimostrare matematicamente che l'unica geometria valida per lo spazio fisico è quella di Euclide non è quindi riuscito: il concetto di corpo rigido e lo strumento logico dell'analisi matematica non sono sufficienti a individuare in modo univoco la geometria euclidea. Se si aggiunge che Riemann aveva già dato un quadro sufficientemente completo della geometria e che ancora prima Gauss aveva stabilito il teorema sulla possibilità di muovere una figura senza deformarla, si può ritenere il tentativo di Helmholtz la pretesa di dare una veste matematica a quello che era ancora un pregiudizio della cultura scientifica e filosofica.

L'obiezione di Beltrami sembrerebbe far vacillare le conclusioni di Helmholtz. Ciò è vero solo per la parte matematica, l'aspetto filosofico ne esce rafforzato. Nel 1870, presenta una seconda conferenza sulla geometria, dal titolo: Sull'origine e il significato degli assiomi geometrici. La geometria, sostiene Helmholtz, non è accumulo di dati empirici e, tuttavia, è capace di ottenere risultati applicabili al mondo reale. Kant ne ha tratto la conclusione che possiamo avere intuizione solo di quelle esperienze che hanno un contenuto organizzato secondo lo schema euclideo della geometria; Helmholtz pensa che gli assiomi dello spazio non sono una forma a priori di conoscenza ma hanno natura empirica.

Se immaginiamo, spiega Helmholtz, essere bidimensionali dotati di ragione che si muovono in un mondo bidimensionale. Essi attribuirebbero al loro spazio due dimensioni e non sarebbero in grado di rappresentarsi uno spazio con più di due dimensioni. Essi osserverebbero un punto in movimento descrive una linea, che una linea in movimento descrive una superficie e che una superficie in movimento descrive ancora una superficie. Allo stesso modo la nostra percezione dello spazio è tridimensionale perché il movimento di una superficie descrive un solido, ma il movimento di un solido non può che descrivere un altro solido. Quindi, il numero di dimensioni dello spazio ha una radice empirica, perché è una conseguenza del tipo di spazio nel quale viviamo.

Analogamente, hanno radice empirica i seguenti assiomi: per due punti passa una sola retta, per un punto esterno a una retta passa un'unica parallela. Infatti, essi non sarebbero validi per esseri bidimensionali che vivessero sulla superficie di una sfera. Occorre premettere che, per essi, la linea di minimo percorso tra due punti, cioè la retta, è un arco del cerchio massimo passante per quei due punti. Presi due poli della sfera, questi sarebbero uniti da infiniti percorsi della stessa lunghezza minima: tutti i meridiani. Non varrebbe nemmeno l'assioma delle parallele poiché tutti i circoli massimi, opportunamente prolungati si incontrano.

Infine, esseri bidimensionali viventi su una superficie a forma di uovo, osserverebbero l'impossibilità di spostare figure senza deformarle.

Già questi esempi mostrano che, secondo il tipo di spazio ambientale, esseri dotati di capacità intellettive affatto corrispondenti alle nostre formulerebbero assiomi geometrici diversi.

Gli assiomi geometrici, dunque, parlano non soltanto di rapporti spaziali ma anche del comportamento meccanico dei corpi. In questo senso, gli assiomi geometrici possiedono un contenuto reale che può essere confermato o confutato dall'esperienza. Queste intuizioni dello spazio però non sono state acquisite dall'umanità tramite precise misure geometriche ma sono conseguenza di un gran numero di esperienze quotidiane avute fin dalla prima giovinezza. Si tratta di una forma di conoscenza empirica che si forma nella nostra mente attraverso accumulo e rafforzamento di successive impressioni omogenee, non di una forma trascendentale dell'intuizione, che precede ogni esperienza.

Un altro esperimento considerato da Helmholtz è quello dello specchio convesso. Un tale specchio mostra l'immagine speculare di ogni oggetto antistante, conferendole un'apparenza corporea come se esso fosse posto in una certa posizione e a una certa distanza dietro la superficie dello specchio. Per ogni figura del mondo oggettivo viene a formarsi una corrispondente figura dietro lo specchio, nel mondo speculare. Inoltre, poiché nello specchio gli strumenti di misura si deformano allo stesso modo degli oggetti da misurare, la misura di un segmento nel mondo reale è identica a quella del mondo speculare. Di conseguenza gli uomini del mondo speculare non potrebbero scoprire che i loro corpi non sono rigidi.

Secondo Helmholtz, nello spazio pseudosferico di Beltrami ci accadrebbe la stessa cosa che accade a un portatore principiante d'occhiali. Costui inizialmente si accorgerà di vedere gli oggetti ravvicinati e che si dilatano; l'illusione scompare dopo un po'.

Il saggio si Helmholtz sugli assiomi della geometria diviene un punto di riferimento e di confronto per il dibattito filosofico e culturale sulle nuove geometrie. In esso, Helmholtz, ha saputo presentare in modo semplice una tematica complessa e trattata ancora in modo esclusivamente tecnico.

Dai suoi questi esempi sugli esseri bidimensionali prenderà spunto E. Abbott per il suo grazioso libretto Flatlandia.

  • A. Einstein, Relatività: esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio, Geometria e Fisica, Boringheri, Torino, 1967.

  • H. L. Helmholtz, Opere scelte, a cura di V. Cappelletti, UTET, Torino, 1967.P. Parrini, Fisica e geoemtria dall'Ottocento a oggi, Loescher, Torino, 1979.