_antoniobernardo
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Appunto di storia della matematica sull’evoluzione del concetto di numero. Dall’idea di numeri come accidenti nel pensiero di Aristotele a quella di numeri ideali per Platone, da Cartesio a Spinoza fino alle teorie di Hobbes. Scopriamo come nel corso del tempo l’affermazione 2+2=4, ha assunto mille significati alla luce delle teorie filosofiche e religiose. Sapere matematico e sapere divino, uomo e Dio sullo stesso piano quando si parla di verità matematiche.

Numeri, esiste ciò che può

Una volta tanto ho intenzione di mettere in disparte le classiche operazioni numeriche per lasciar spazio ad un'indagine che sta a monte delle operazioni stesse.
I numeri, quelle entità con le quali facciamo operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione e quant'altro, esistono?
E se esistono, che cosa sono?
Vi siete mai posti domande simili?
La nostra vita è scandita dai numeri, dall'istante in cui veniamo concepiti, trascorriamo 9 mesi nel grembo materno e poi veniamo alla luce.
La data del nostro compleanno è formata da 8 numeri. Andiamo a scuola e ci viene insegnato a contare per 1, e poi per 2, procedendo con i numeri pari, per 3 con i numeri dispari e così via. Adoperiamo i numeri ogni volta che dobbiamo fare la spesa, per digitare il pin della carta di credito e per avviare il nostro smartphone.
Già 2400 anni fa, circa, Platone si era posto il problema: che cosa esiste? Ecco allora che aveva tirato in ballo il concetto di dunamis, potenza, secondo questo concetto, esisterebbe tutto ciò che può (dunatai) compiere e subire un'azione. Esisteranno, quindi, tutti gli enti materiali che possono allo stesso tempo compiere e subire azioni: il cane corre e può essere accarezzato, quindi esiste. Ma con questa definizione si è costretti ad ammettere anche l'esistenza di enti immateriali: le idee, ossia quelli che noi definiamo oggetti del pensiero, dovranno avere una loro esistenza proprio perché subiscono l'azione di essere pensati; l'idea stessa di giustizia agisce anche nel senso che le cose giuste partecipano di essa: se una cosa è giusta vuol dire che ci sarà un'idea di giustizia. Di conseguenza, e qui arriviamo al dunque, in qualche misura esisteranno anche i numeri come oggetto del nostro pensiero.

Numeri come accidenti, nel pensiero di Aristotele

Secondo l'illustre filosofo Aristotele, considerato uno dei padri della logica, i numeri esistono, certo, ma come pure e semplici astrazioni: egli effettua una distinzione tra sostanza (ciò che per esistere non ha bisogno di null'altro all'infuori di sè) e accidente (ciò che per esistere ha bisogno di una sostanza cui riferirsi). Così la Terra o il libro saranno sostanze proprio perché dotati di esistenza autonoma, il blu o il marrone saranno accidenti perché potranno esistere solo se abbinati ad una sostanza: il blu e il marrone di per sè, sostiene Aristotele, non esistono, bensì esistono libri blu e terra marrone. Gli accidenti si trovano dunque ad avere un'esistenza che potremmo definire "parassitaria", ossia totalmente legata ad una sostanza cui riferirsi. Ritornando al discorso dei numeri, Aristotele non esita a collocarli tra gli accidenti: il 2 o il 3, di per sè, non esistono, esistono gruppi di due o tre sostanze: tre libri, due penne, due case ...
Non è sbagliato dire che il numero è l'ultima cosa che permane man mano che si tolgono a due o più oggetti le differenze: i due libri hanno colori diversi, tolgo il colore; hanno scritte diverse, tolgo le scritte; hanno dimensioni diverse, tolgo le dimensioni; alla fine, quando li avrò spogliati di ogni cosa, resterà solo il numero. Così ragiona Aristotele e così siamo portati a ragionare anche noi: non ci sogneremmo mai di sostenere che il 2 o il 3 esistano di per sè senza sostanze cui riferirsi.

Per ulteriori approfondimenti sulla logica aristotelica vedi qua

Numeri come idee nel pensiero di Platone

Platone sosteneva l'esistenza dei numeri sganciata dalle sostanze: il 2 o il 3 per Platone esistono non solo nelle cose materiali (sostanze) che ne partecipano (2 case, 3 gatti ...) , ma addirittura come enti a sé stanti: se ho un gruppo di 6 libri significa che esso partecipa all'idea del 6 (il numero ideale 6). Questa strana concezione dei numeri deriva dall'impianto della metafisica di Platone: per lui al quesito "che cos'è x ?" (dove x sta per bello, giusto ...) la risposta a questa domanda consiste nel rintracciare l'idea in questione (per esempio l'idea di bellezza, di giustizia ...).
L’idea è un "universale": ciò significa che i molteplici oggetti sensibili, dei quali l'idea si predica, dicendoli per esempio belli o giusti, sono casi o esempi particolari rispetto all'idea: una bella persona o una bella pentola sono casi particolari di bellezza, non sono la bellezza. Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse.
Le idee hanno una quadruplice valenza:
  • ontologica: i cavalli esistono perché copiano l'idea di bellezza;
  • gnoseologica: riconosco che quello è un cavallo perché nella mia mente ho l'idea di cavallo;
  • assiologica: ogni idea è il bene cui tendere, lo scopo a cui aspirare;
  • di unità del molteplice: i cavalli esistenti sono tantissimi e diversissimi tra loro, ma l'idea di cavallo è una sola.
Anche i numeri sono idee e hanno le prerogative delle idee: così come quel cavallo è bello perché partecipa all'idea di bellezza, esiste l’uno perché partecipa all'idea di uno; così come i cavalli materiali sono una miriade ma l'idea di cavallo è una, così anche i 3 scritti sulle lavagne o sui fogli sono una miriade ma l'idea di tre è una sola, da cui tutti gli altri tre dipendono.
I numeri sono sì idee come le altre, ma si tratta di idee particolarmente complesse tant'è che Platone non esita a collocarli su un livello superiore: i numeri ideali, ossia le essenze stesse dei numeri, in quanto tali, non possono essere sottoposti ad operazioni aritmetiche. Il loro status metafisico ben differente da quello aritmetico, appunto perché non rappresentano semplicemente numeri, ma l'essenza stessa dei numeri.

Per ulteriori approfondimenti sul mondo delle idee vedi qua

Numeri nell’età medievale

Nel medioevo, poi, il dibattito sui numeri assumerà una vivace coloritura dovuta soprattutto alle credenze religiose: che 2 + 2 = 4 lo decide Dio o anch' Egli deve sottostare a questa verità? In realtà tutto dipende dalla concezione stessa di Dio a seconda delle posizioni aristoteliche o platoniche; per spiegare come le idee si calassero nelle cose materiali (ossia come dall'idea di cavallo derivasse il cavallo in carne ed ossa) Platone era ricorso alla figura del Demiurgo, ossia di un divino artigiano che, attenendosi alle idee, plasmava la materia in funzione di esse dando così vita agli enti materiali e non. Il Cristianesimo in buona parte mutua la sua concezione di Dio dal Demiurgo platonico: Dio non si limita a plasmare materia già esistente, ma la crea nel vero senso della parola. Per i Francescani, Dio, pur essendo onnipotente e creatore, deve per forza attenersi all'apparato ideale che gli sta a monte: la sua onnipotenza si manifesterà nel decidere di creare l'uomo, ma questo creare sarà semplicemente un calare nella materia l'idea preesistente di uomo, cui Dio stesso deve sottostare. Contrapposti a loro vi sono i Domenicani, che abbracciano le posizioni aristoteliche: non vi è un'idea uomo che sta a monte dell'uomo stesso: la forma uomo esiste incollata all'uomo stesso, presente in tutti gli uomini e durerà fin tanto che esisteranno uomini: essa non è ante rem, come credeva Platone, ma in re. Per i francescani
[math]2 + 2 = 4[/math]
indipendentemente da Dio: Dio deve sottostare a questa verità e non può cambiarla, anzi deve attenersi ad essa nel creare il mondo. Per i domenicani:
[math]2 + 2 = 4[/math]
l'ha deciso Dio di sua spontanea iniziativa perché, in assenza delle idee cui costretto ad attenersi, Dio può tutto: ha deciso che
[math]2 + 2 = 4[/math]
, ma avrebbe anche potuto decidere che
[math]2 + 2 = 5[/math]
.

Cartesio, Spinoza e Hobbes: sapere matematico e certezza divina

Cartesio, nel Seicento, arriverà a dire che le verità matematiche che l'uomo è riuscito ad acquisire, tramite sforzi immani e secoli di ricerca, egli le conosce alla pari di Dio: in altri termini, secondo Cartesio, che
[math]2 + 2 = 4[/math]
lo so io esattamente come lo sa Dio: tutto quel che c'è da sapere nella verità
[math]2 + 2 = 4[/math]
lo sappiamo, così come lo sa Dio.
Sul piano qualitativo siamo dunque alla pari di Dio (ciò che sappiamo in ambito matematico lo sappiamo esattamente come lo sa Dio), su quello quantitativo siamo nettamente in svantaggio: la quantità di verità matematiche che noi conosciamo è infinitamente minore rispetto a quella conosciuta da Dio: questo vale solo per quel che riguarda la matematica, la forma di pensiero più precisa e rigorosa di cui siamo in possesso. Sia noi sia Dio possiamo conoscere con certezza le verità matematiche e sia noi sia Dio dobbiamo sottostare ad esse, ossia non possiamo fare nulla per cambiarle: da notare come Cartesio sia molto pi vicino alle idee francescane che non a quelle domenicane sotto questo profilo e, non è un caso, egli è un platonico.
Secondo Benedetto Spinoza, Dio è l'intero universo in tutte le sue manifestazioni, se è perfetto come vuole la definizione stessa di divinità non può che esprimere una necessità proprio come un calcolo del tipo
[math]2 + 2 = 4[/math]
: ciò che avviene in campo divino e quindi (proprio perché Dio non è altro che l'intero cosmo) tutto ciò che avviene nel mondo non può che avvenire necessariamente: con Spinoza viene a cadere il libero arbitrio dell'uomo, il quale, facendo parte dell'universo-Dio, è anch'egli manifestazione di Dio. Tutto nel mondo avviene in modo perfetto, e il mondo intero potrebbe essere letto come una grande espressione: non c'è possibilità che
[math]2 + 2[/math]
dia 5.

Spinoza vive nel Seicento, il secolo della fisica matematizzata, il secolo in cui si cerca di ricorrere sempre e solo alla matematica; in quegli stessi anni un altro grande pensatore, Thomas Hobbes, arriva a dire che pensare significa svolgere sottrazioni e addizioni: dire che una penna è blu significa addizionare alla sostanza penna l'attributo blu per ottenere così la penna blu allo stesso modo in cui 2 + 2 mi da 4; viceversa, dire che la penna non è blu significa sottrarre l'attributo blu alla sostanza penna, esattamente come 6 - 2 mi da 4. Quella di Spinoza, di Hobbes, di Cartesio e di molti altri filosofi di quegli anni sembra una vera e propria esasperata corsa al numero, dettata dalla consapevolezza che la matematica costituisca il sapere pi preciso di cui l'uomo disponga, talmente preciso da essere identico a quello di Dio.

Per ulteriori approfondimenti sulla sostanza spinoziana vedi qua