vincenzo.disalvatore
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DESTINAZIONE: rivista scolastica

La ricerca della felicità, oltre ad essere un bisogno innato dell’uomo, è principalmente un diritto di tutti. Tutte le Costituzioni ne parlano, come la nostra Costituzione all’articolo 3, i film e la letteratura la raccontano. Ma in pratica che ruolo ricopre la felicità nella nostra vita? In tempi recenti anche gli economisti si sono interessati al tema del benessere e della felicità. Infatti lo studio di alcune indagini ha evidenziato che, sebbene vi siano state molte oscillazioni, “la soddisfazione media riportata dagli Europei nel 1992 ad oggi è rimasta invariata.

In realtà, però, oggi siamo effettivamente più felici di venti anni fa, ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate e desideriamo sempre di più” (Mauro Maggioni e Michele Pellizzari, Alti e bassi dell’economia della felicità). Il primo problema che sorge, però, è quello della veridicità dei dati. Infatti ognuno di noi dichiara la maggiore o minore felicità in relazione al suo personale parametro che, di solito, coincide con il raggiungimento o meno dei propri obiettivi. Quindi, se cambiano le aspettative, cambia anche il livello di raggiungimento della felicità. Questa concezione, però, riduce la felicità ad un’accezione economica, senza esaminarne le sfumature più essenziali. Per questo Zygmunt Bauman, nella sua opera L’arte della vita, si interroga se soldi e potere politico danno la felicità. Bauman osserva che la felicità individuale è strettamente connessa al rapporto con gli altri e alla stima che essi nutrono nei propri confronti. Allora, come Maggioroni e Pellizzari, possiamo chiederci: ma cosa ci rende felici? L’errore principale, secondo Zamagni, è credere che l’utilità e la felicità siano strettamente correlate. Ridurre, quindi, la categoria della felicità a quella dell’utilità è “all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale”. In conclusione possiamo desumere che l’uomo è condannato all’infelicità, perché l’economia da sola non può essere alla base della felicità dell’uomo, un uomo che, come dice Zamagni, è nato per mettere in pratica il suo diritto di reciprocità. Inoltre anche la Dichiarazione d’Indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America ci offre uno spunto per riflettere sulla questione della felicità. In particolare questa dichiara che “gli uomini sono creati uguali e dotati di diritti inalienabili e fra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità”. Quindi non è il potere economico a rendere l’uomo felice, ma il fatto di essere possessori di diritti inalienabili. Possiamo affermare, in conclusione,che la felicità sembra rimanere costantemente ad una certa distanza da noi, come un orizzonte che si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci ad esso. Forse il semplice fatto che l’uomo sia portato continuamente ad avvicinarsi alla felicità lo rende un individuo più infelice, in quanto ogni essere si pone come obiettivo principale il raggiungimento della felicità. Questa ricerca continua da parte dell’uomo di volere sempre di più non fa altro che alimentare un senso di insoddisfazione personale.