vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: Ars dicendi:arte del parlare.
Autore: Del sero Giulia
Descrizione: la tesina, operando una lieve distinzione tra retorica e pragmatica linguistica, mira a realizzare un percorso in merito ai discorsi e alla loro persuasione.
Materie trattate: Latino, Filosofia, Storia
Area: umanistica
Sommario: STORIA: John Fitzgerald Kennedy/ Ich bin ein Berliner/ la pragmatica linguistica nella democrazia.Benito Mussolini/Dichiarazione di guerra 10 giugno 1940/ retorica nella dittatura. FILOSOFIA:Johann Gottlieb Fichte/Discorsi alla Nazione tedesca IV° Discorso/ pragmatica linguistica nel discorso filosofico LATINO: Marco Tullio Cicerone/Pro caelio (1, 1-2)/De oratore (52-55/ 131-134)/ arte della persuasione nella letteratura latina.
“Nulla, a mio parere, è più insigne della capacità di avvincere con la parola l’attenzione degli uomini,
guadagnarne il consenso, spingerli a piacimento dovunque e da dovunque a piacimento distoglierli: questa
sola capacità ha sempre avuto importanza ed è sempre prevalsa presso i popoli liberi e principalmente nelle
comunità governate dalla pace e dall’ordine. [...] Quale altra forza avrebbe potuto raccogliere in un solo
luogo gli uomini sparsi qua e là, o condurli da un’esistenza selvatica e agreste a questo vivere umano e civile
o istituire leggi, tribunali, diritti, una volta formatesi le comunità civili?. [...] Affermo che nella saggia guida
di un oratore compiuto sta il fondamento non solo del suo prestigio personale, ma anche la salvezza di
moltissimi cittadini e dell’intero stato” Marco Tullio Cicerone
De oratore
131-134
L’oratore per eccellenza del mondo latino, il benamato Cicerone appunto, si serve
di tali parole, per presentare ed offrire un vero e proprio encomio dell’eloquenza.
Rielaborando materiale topico dove fanno spicco i motivi di ascendenza isocratea,
la stessa viene celebrata come la forza civilizzatrice che ha permesso all’umanità
di trascendere l’originario stato ferino, riunendola nella vita associata, e ha poi
reso possibile la codificazione delle leggi e dei diritti. Nella città la parola riveste
una funzione di guida e di dominio: la sua efficacia nel pilotare l’irrequietezza del
popolo, la coscienza critica dei giudici, e la stessa fermezza dei senatori, dipende
molto spesso dalla dei singoli e dell’intera collettività. Affiorano quindi temi
salus
quali il legame che unisce l’eloquenza sia alla pace sociale sia alla libertà,
particolarmente cari al Cicerone uomo e retore, politico e filosofo, colto e fine letterato, abile ed esperto
comunicatore, capace di impiegare e di servirsi di tutte le risorse della retorica e di sfruttare le proprie doti
naturali al fine di rendere persuasivi i suoi discorsi.
“L’eloquenza è infatti veramente una delle più grandi virtù; anche se tutte le virtù sono uguali e di pari
valore, tuttavia una può presentarsi più bella e più illustre di un'altra. Così avviene con questa facoltà, che,
in possesso di una conoscenza universale, dà espressione verbale ai sentimenti e ai pensieri, in modo tale da
riuscire a spingere gli ascoltatori dove vuole; e quanto è maggiore questa forza, tanto più è necessario
unirla all’onestà e a una profondissima saggezza”.
Hoc est magis probitiae iungenda summaque prudentia. Marco Tullio Cicerone
De oratore
52-55
L’oratore perfetto, secondo il suo parere, non doveva essere un semplice
esecutore di norme tecniche ma, al contrario, collegare ad una precisa
conoscenza della retorica, un’altrettanto salda conoscenza della filosofia, del
diritto, della storia e della psicologia umana. D’altronde tale figura opera nella
società, esplicando la sua funzione nei tribunali, in Senato e dinanzi al popolo. II
È indispensabile, a tal proposito, che lo stesso affianchi ad un’abilità retorica la e la
probitas prudentia,
caratteristiche indispensabili al fine di adempiere nel miglior modo possibile agli officia oratoris.
ed rappresentano poi una componente emozionale nell’argomentazione che aiuta ad ottenere
Pathos Ethos
l’assenso da parte dell’ascoltatore, dal momento che il primo tende a sfruttare maggiormente il potenziale
emotivo così da travolgere l’uditorio e da suscitare in esso le passioni desiderate; il secondo, invece, mette in
luce la personalità dell’oratore stesso, la probità e l’autorevolezza.
Il appellativo di cui la storia della retorica si serve per definire lo stesso Cicerone, fu
Perfectus orator,
maestro dello stile perfetto e il primo a porre l’educazione retorica al vertice della formazione intellettuale del
cittadino romano. Molte e variegate sono le orazioni, da egli stesso composte, attraverso le quali tale stile
trova pieno fondamento e delle quali “l’arte della persuasione” sembra essere l’unica e sola padrona.
L’orazione pronunciata in difesa di Marco Celio, è considerata, a ragione, la più spiritosa e
Pro Caelio,
divertente tra le medesime da egli composte. Tuttavia, dietro il tono leggero e i momenti comici si cela
un’attenta strategia difensiva che mira fondamentalmente a stornare l’attenzione dei giudici dalle gravi
accuse mosse all’imputato, e le cui implicazioni politiche Cicerone aveva ben presenti.
Nel frammento che segue, tratto dalla medesima orazione, si può notare come sin dal principio si tenti di
distogliere l’attenzione dei giudici dalle accuse stesse portando la loro attenzione sull’occasione in cui si
svolge il processo. Nell’exordium, si serve poi del dell’osservatore esterno, utilizzando anche la tecnica
topos
dell’insinuatio: l’oratore non entra subito in merito al discorso ma parte da un dato apparentemente estraneo
alla causa trattata, con netto ed evidente riferimento alla commedia plautina.
“Si quis iudices forte nunc adsit ignarus legum iudiciorum consuetudinis nostrae miretur profecto quae sit
tanta atrocitas huiusce causae quod diebus festis ludisque publicis omnibus forensibus negotiis intermissis
unum hoc iudicium exerceatur nec dubitet quin tanti facinoris reus arguatur ut eo neglecto civitas stare non
possit; idem cum audiat esse legem quae de seditiosis consceleratisque civibus qui armati senatum
obsederint magistratibus vim attulerint rem publicam oppugnarint cotidie quaeri iubeat: legem non improbet
crimen quod versetur in iudicio requirat; cum audiat nullum facinus nullam audaciam nullam vim in
iudicium vocari sed adulescentem illustri ingenio industria gratia accusari ab eius filio quem ipse in
iudicium et vocet et vocarit oppugnari autem opibus meretriciis: [Atratini] illius pietatem non reprehendat
muliebrem libidinem comprimendam putet vos laboriosos existimet quibus otiosis ne in communi quidem otio
liceat esse. Etenim si attendere diligenter existimare vere de omni hac causa volueritis sic constituetis iudices
nec descensurum quemquam ad hanc accusationem fuisse cui utrum vellet liceret nec cum descendisset
quicquam habiturum spei fuisse nisi alicuius intolerabili libidine et nimis acerbo odio niteretur. Sed ego
Atratino humanissimo atque optimo adulescenti meo necessario ignosco qui habet excusationem vel pietatis
vel necessitatis vel aetatis. Si voluit accusare pietati tribuo si iussus est necessitati si speravit aliquid
pueritiae. Ceteris non modo nihil ignoscendum sed etiam acriter est resistendum.” Marco Tullio Cicerone
Pro caelio
1, 1-2
III
“Se per un caso, o giudici, si presentasse qui un cittadino, del tutto ignaro delle leggi, della procedura, dei
nostri usi, si chiederebbe sorpreso perché mai questo processo sia di una gravità tale, che in un giorno di festa
e di pubblici giochi, quando ogni altra attività forense è sospesa, unico venga qui celebrato; e non avrebbe
dubbio che si stia processando il colpevole di un delitto di tal fatta che, se trascurato, la città non rimarrebbe
più in piedi. Quando poi venisse a conoscere, che c'è una legge che impone si debba procedere in qualsiasi
giorno contro i cittadini sediziosi e facinorosi, che armati abbiano stretto d'assedio il Senato, fatto violenza ai
magistrati, attentato allo Stato, non disapproverebbe certamente una tale legge, ma vorrebbe sapere di quale
di questi delitti si tratti qui. E quando sapesse che non si tratta né di un attentato, né di un colpo di mano o di
una violenza qualsiasi, ma bensì di un giovane noto per il brillante ingegno, per operosità, per simpatia,
accusato dal figlio di colui che per ben due volte egli citò in giudizio, attaccato grazie ai mezzi di una
prostituta, egli non condannerà certamente la filiale devozione di lui, ma chiederà che sia represso quel
vergognoso capriccio di una donna; e vi giudicherà vittime di un esagerato zelo di lavoro, che non vi concede
neppure quel riposo di cui tutti godono. E in verità, se voi vorrete attentamente considerare e apprezzare sotto
ogni aspetto questa causa, voi arriverete, o giudici, alla conclusione che nessuno, libero nel proprio volere, si
sarebbe mai abbassato a una tale accusa, né, una volta lanciata, nutrirebbe per essa un briciolo di speranza, se
non fidando sull'intollerabile arbitrio e sull'odio violentissimo di qualcuno. Quanto a me, io perdono Atratino,
mio giovane amico pieno di cultura e di bontà, poiché lo scusano, o la reverenza, o la necessità, o l'età. Se
egli personalmente volle l'accusa, ne do colpa alla devozione filiale; se gli fu imposta, alla costrizione; se ne
sperò qualcosa, alla immaturità degli anni. Contro gli altri, non solo nessun perdono, anzi si deve opporre una
fiera resistenza.”
È evidente come il tono dell’ sia contenuto e non conceda alcunché a parole di astio o di disprezzo.
exordium
È possibile tuttavia, come già accennato in precedenza, individuare un richiamo al prologo delle commedie
plautine. Egli infatti non solo informa il suo uditorio della situazione e richiama l’atmosfera di festa che
dovrebbe regnare in quei giorni di ludi, ma crea una sorta di complicità con il pubblico e, quindi, introduce
sulla scena i personaggi, i protagonisti del dramma, presentandoli a uno a uno, secondo il punto di vista
particolare che è lui ad imporre. Ancora una volta è quindi il Cicerone oratore ad assumere le regia dell’intera
scena, a dare forza e vigore all’argomentazione, a rendere più persuasivi e il del discorso
l’ethos pathos
mediante atteggiamenti, gesti e toni della voce. È infatti la medesima voce che riveste il ruolo più importante;
i suoi toni ora acuti ora gravi, ora forti ora deboli, “sono a sua disposizione per esprimere le varie sfumature
del discorso, come il pittore fa con i colori”. Ogni piccola sfumatura e particolare è fondamentale al fine di
far risultare l’oratore, non un teatrante, ma un individuo che con sobrietà e misura è in grado di accalappiarsi
le grazie altrui. Il medesimo affermava poi che il braccio doveva esser tenuto in avanti quasi quoddam telum
quasi come l’arma dell’orazione, al fine di sottolineare quanto il gestire del busto, delle mani e
orationis,
delle dita contribuisca alla creazione di un’adeguata scena retorica e spettacolare. IV
Egli privilegiò poi nell’eloquenza uno stile capace di esercitare un forte
impatto emotivo sugli ascoltatori. A questa intenzione va ricondotta la sua
"magniloquenza", che si esprime, prima ancora che nel ricorso alla copia
("abbondanza di parole" che spesso significa ridondanza espressiva
verborum
al fine di ribadire un concetto) e all’amplificatio (la "dilatazione" di un
concetto, al fine di farlo apparire più grandioso, maestoso, o spaventoso),
nella sapiente costruzione del periodo prosastico, che nella letteratura latina è
essenzialmente una sua innovazione.
Alla luce di quanto detto, quelli di Cicerone furono uno stile e una lingua che benissimo si piegarono al
compito "politico" che il medesimo aveva assegnato alla sua oratoria, filosofia e scrittura tutta, e che da
secoli lo identificano come solo e unico magister oratorum.
L’arte del parlare, del persuadere e, più in generale, i discorsi, furono perno e fondamento nella guida di
avvenimenti, nell’organizzazione della vita concittadina, nel rinnovamento e nell’educazione nazionale. Fin
dall’antica tradizione oratoria della Πολίς greca, fin dai tempi immemori dei dibattiti nel foro romano la
parola assume le sembianze di un “potente signore, che con un corpo assai piccolo e del tutto invisibile porta
a termine opere straordinarie”.
In ambito filosofico, ma non solo, un rinvigorimento del valore e della forza della medesima si ebbe nella
seconda metà del V° secolo a.C. con lo sviluppo della sofistica, la quale accompagnò la fioritura della
grande oratoria attica della fine del V° e IV° secolo a.C. e i cui effetti sono ancora tangibili ai nostri giorni.
L’arte del parlare e insieme del persuadere, nel corso dei tempi, fu un mezzo di cui filosofi, uomini di politica