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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: De Limite

Autore: Apichev Ivan

Descrizione: persorso sul limite come luogo di confine

Materie trattate: Matematica,italiano,filosofia,greco,latino,inglese,arte

Area: umanistica

Sommario: matematica,Eudosso di Cnido,Archimede, Leibniz, Newton, Weierstrass; filosofia,Kant, limite e confine,Nietszche, superuomo,oltre il limite; Italiano, Leopardi, l'infinito,siepe come luogo di confine, Pascoli, siepe come luogo di protezione,Alexandros,percorso oltre il limite, Dante, Commedia,il "folle volo" di Ulisse, Caproni, Confine, il limite inesistente; inglese, Conrad, An outposto of progress, Heart of darkness, The shadow line, il limite nelle varie eta dell'uomo e l'evoluzione mentale dell'uomo; greco, Euripide, Le baccanti,ubris elemento di superamento del limite; latino,Seneca,de brevitatae vite, il terminus della vita sintetizzatore, Lucrezio, de rerum natura, terminus haerens che connatura tutti gli espetti di un essere; arte, Fontana, il pittore dei tagli che supera il confine tra pittura e scultura inducendo l'osservatore a compiere un viaggio interiore.

Estratto del documento

Per svolgere il percorso di analisi del limite non si può fare a meno di iniziare attraverso la matematica, più

precisamente, si deve osservare come i primi approcci sul concetto di limite si ebbero intorno al VI secolo

a.C., nella Magna Grecia.

Nella matematica greca non si parla mai esplicitamente di limite, ma alcuni problemi connessi alla

determinazione di aree e volumi venivano risolti con un metodo detto di esaustione(*) il cui scopo era

anche di calcolare il πζρας (limite) in cui si riteneva risiedesse la perfezione.

Il metodo di esaustione oggi è attribuito ad Eudosso di Cnido , matematico vissuto nel periodo compreso

tra la morte di Socrate (399 a.C) e quella di Aristotele (322 a.C.),anche se è giunto a noi grazie

all’applicazione che ne fa Euclide nel libro XII degli Elementi, ove se ne serve per dimostrare che l’area del

cerchio può essere “esaurita” da quella dei poligoni inscritti.

L’opera di Eudosso fu talmente significativa da essere definita una vera e propria riforma della matematica,

in quanto affrontava con successo il problema aperto dalla scoperta di grandezze incommensurabili, di

serie indeterminate (si veda il caso del paradosso di Achille e la Tartaruga), che si collegava con il dilemma

del confronto fra configurazioni curvilinee e rettilinee. Lo stesso Archimede, altra autorevole fonte,

sottolinea la novità apportata da Eudosso al concetto cardine di calcolo di superfici curve, ossia quello di

"inscrivere e circoscrivere figure rettilinee attorno ad una figura curva e di continuare a moltiplicare

indefinitamente il numero dei lati del poligono fino ad approssimare il più possibile la linea curva".

La dimostrazione col metodo di esaustione doveva essere preceduta da una ricerca euristica della tesi,

condotta con diverse tecniche (ad esempio il metodo seicentesco degli indivisibili), ma tali tecniche erano

intuitive e non considerate sufficienti per garantire la verità del risultato. Individuata la tesi, la

dimostrazione rigorosa avveniva sempre per assurdo. Solidamente fondato sulla teoria eudossiana delle

proporzioni, il metodo constava di un importante postulato, il cosiddetto assioma di continuità, una

proposizione che si basava sul concetto stesso di limite (positivamente inteso in quanto non volto a

determinare una discontinuità sulla linea dei numeri naturali) e che affermava:

(*) Il termine esustione non era usato dai greci, ma venne introdotto nel XVII secolo.

2

"date due grandezze aventi un certo rapporto (cioè, nessuna delle quali sia zero) è SEMPRE possibile trovare

un multiplo dell'una che superi l'altra grandezza".

A questo Euclide applica la proposizione 1 del libro X:

"se da una qualsiasi grandezza si sottrae una parte non inferiore alla sua metà, e se dal resto si sottrae

ancora non meno della sua metà, e se questo processo di sottrazione viene continuato, alla fine rimarrà una

grandezza inferiore a qualsiasi grandezza dello stesso genere precedentemente assegnata".

Da ciò deduce che la differenza tra l’area del cerchio e quella di un poligono regolare inscritto viene ridotta

a ogni passo proprio di una parte non inferiore alla sua metà, può essere resa più piccola di qualunque area

assegnata, ovvero di può affermare che i poligoni regolari inscritti “esauriscano” il cerchio.

Se rileggiamo la dimostrazione di Euclide alla luce della moderna definizione di limite, vediamo già che egli

costruisce una successione, quella delle aree dei poligoni inscritti che si ottengono a partire dal quadrato e

dimostra che la differenza tra l’area del cerchio e quella di uno dei poligoni può essere resa minore di

minore di una qualunque area ε prefissata (noi diremmo ‘piccola a piacere’): ciò significa che il limite di tale

successione di aree è l’area del cerchio.

Archimede e la quadratura della parabola

Notevole importanza nell'ambito degli studi sul limite matematico effettuati nell'antica Grecia riveste

Archimede; questi, intorno al 225 a.C., vi fornì un importante contributo attraverso lo studio delle

successioni aritmetiche continue. Dimostrò infatti che l'area delimitata da un segmento di parabola

corrisponde ai 4/3 dell'area di un triangolo costruito sullo stesso segmento e sul vertice della parabola, e ai

2/3 dell'area del parallelogramma ad esso circoscritto. Il problema si trovava nell’opera La quadratura della

parabola quando il matematico siracusano fa riferimento alla serie geometrica di ragione 1/4 nella

seguente proposizione:

 proposizione 23. Se alcune grandezze si pongono ordinatamente nel rapporto quadruplo [se

ciascuna è quadrupla della seguente], tutte le grandezze [sommate insieme] più ancora la terza

parte della più piccola saranno i quattro terzi della maggiore.

1 4

1 3 3

1 1 1 4

1 4 3 4 3

1 1 1 1 4

1 4 16 3 16 3

1 1 1 1 1 4

1 4 16 64 3 64 3

1 1 1 4 1 1

1 ... n n

4 16 4 3 3 4

Si tratta, dunque, di una serie convergente che dimostra come una successione apparentemente infinita

possa essere matematicamente calcolata, o meglio, attraverso il procedimento di esaustione i triangoli

costruiti, sempre più piccoli, arrivano ad approssimare in maniera sempre più precisa la superficie stessa

della parabola, tanto da ottenere come risultato che: 3

A partire da questa considerazione Andrea Tacquet notò che:

“Con facilità si passa da una progressione finita alla progressione infinita.E c’è da stupirsi che gli

Aritmetici che conoscevano il teorema sulle progressioni finite abbiano ignorato quello sulle progressioni

infinite, che si deduce immediatamente”.

Eppure questa considerazione risulterà errata poiché , sebbene da un punto di vista cognitivo risulta dotata

di senso, sotto il profilo epistemologico avviene una delicata rottura: addizionare infiniti addendi non

equivale a realizzare un’addizione vera e propria perché un’addizione ha sempre un risultato, mentre una

serie infinita di addendi può essere convergente, divergente o indeterminata.

La svolta che pone le basi perché lo studio differenziale diventasse una nuova e fondamentale sezione della

matematica (quella dell'Analisi) si collocò intorno alla prima metà del Seicento; ma, come osserva Paul

Tannery,

"l'invenzione del calcolo differenziale e integrale non si presenta dapprima che come una scoperta atta a

semplificare la soluzione di certi problemi di tangenti e di quadrature, già trattati in precedenza con altri

metodi";

Cavalieri e De Fermat

Bonaventura Cavalieri (1598-1647), nel proprio capolavoro GEOMETRIA indivisibilibus quadam ratione

promota, mise a punto il metodo degli indivisibili, per la determinazione di aree e volumi, che venivano

rispettivamente concepiti come insiemi di rette e di piani. L’allievo di Galileo Galilei lo descrisse come

"metodo ottimo per investigare la misura delle figure quello di indagare i rapporti delle linee al posto di

quello dei piani e i rapporti dei piani al posto di quello dei solidi per procurarmi subito la misura delle figure

stesse".

Tuttavia bisogna ricordare che Cavalieri riprese alcune idee di J. Kepler (1571-1630),G. Roberval (1602-

1675),E. Torricelli (1608-1647), e soprattutto riproduce gli studi compiuti da Archimede nel suo Metodo che

però fu ritrovato a Costantinopoli dallo studioso Heiberg solamente nel 1906.

Altro passo importante per la determinazione del concetto di limite lo fa Pierre de Fermat, nato nel 1601,

che nel 1629 espone un nuovo metodo per determinare la tangente di a una curva.(Vediamo per esempio

2

l’applicazione del metodo al grafico di f(x)=x ).

Fermat, volendo determinare la tangente nel punto P, dà alla variabile x un incremento E, chiama P il

1

punto del grafico di ascissa x+E e si propone di determinare il punto T in cui la tangente interseca l’asse

della ascisse.

Osservando la similitudine tra i triangoli TPQ e PRT , si ha TQ :PQ = E :T R; ma se E è abbastanza piccolo, T R

1 1 1

è quasi eguale a P Re quindi si ha TQ : f(x) = E: [f(x-E) - f(x)], da cui

1

TQ = → TQ = → TQ = . (1)

Dividendo numeratore e denominatore per E, si ottiene

4

TQ = . (2)

A questo punto Fermat pone E = 0, ovvero, usando le sue parole “rimuove il termine E”, ottenendo

TQ = . (3)

Il metodo di Fermat non è molto diverso da quello con cui oggi si calcolano le derivate, ma in questo v’è un

punto critico: la (1) ha senso solo se è E ≠ 0 (altrimenti si riduce alla forma 0/0), ma per ottenere la (3)

occorre porre E = 0. Si vede qui emergere il per la prima volta il concetto di infinitesimo, che Fermat non

esplicita mai, ma che diventerà centrale nello sviluppo dell’analisi nei secoli successivi: un infinitesimo è

una grandezza “infinitamente piccola” ma diversa da zero ( sic Newton).

Nella sua introduzione alla Storia del pensiero matematico, Morris Kline afferma che

"i grandi progressi della matematica e della scienza hanno quasi sempre origine nell'opera di molti studiosi

che portano ciascuno il proprio contributo, pezzo dopo pezzo, per centinaia d'anni; alla fine, un uomo

d'ingegno abbastanza acuto per saper distinguere le idee valide nella gran massa dei suggerimenti e delle

dichiarazioni dei suoi predecessori, dotato dell'immaginazione occorrente per incastonare le varie tessere in

un nuovo mosaico e audace quanto basta per costruire un progetto generale, compi e il passo culminante e

definitivo".

Leibniz e Newton

Nel caso del calcolo infinitesimale, due furono questi "eroi d’acume": Gottfried Wilhelm Leibniz e Sir Isaac

Newton.

In particolare Leibniz, uomo (poliedrico), nell’articolo NOVA METHODUS PRO MAXIMIS ET

MINIMIS, itemque tangentibus, quae nec fractas nec irrationales quantitates moratur, et singulare pro

illis calculi genus, pubblicato sugli Acta eruditorum nel 1684, pone al centro il problema di trovare le

tangenti alle curve, inteso direttamente oppure inversamente, ossia come ricerca delle aree e dei volumi

per sommazione. Intendeva quest'ultima come somma di rettangoli talmente piccoli e numerosi che la

differenza fra tale somma e la superficie reale potesse essere trascurata.

5

Notiamo qui la definizione di dx e dy come quantità arbitrariamente piccole e tali che il loro rapporto

costituisse la derivata alla curva nel punto P(x,y), vale a dire la tangente alla curva stessa in quel punto.

Newton invece ne fece uso nello sviluppare le sue teorie fisiche; utilizzava gli incrementi infinitamente

piccoli di x e di y come mezzo per determinare ad ogni istante la flussione(*): essa non era altro che il limite

del rapporto degli incrementi quando questi diventavano sempre più piccoli.

Contemporaneamente però il concetto d’infinitesimo, e quindi anche i teoremi dimostrati facendo uso di

esso, fu sottoposto a critiche violente e giustificate: come poteva una grandezza essere

contemporaneamente infinitamente piccola e diversa da zero? Nonostante le critiche tale concetto di rivelò

troppo potente per essere abbandonato. Nel contempo però i matematici cominciarono una nuova ricerca

volta a porre su fondamenta più sicure i risultati straordinari che avevano raggiunto con il loro utilizzo. Fu

così che nacque il concetto di limite. Già nella letteratura scientifica del XVII secolo si possono trovare

alcuni spunti in tal senso: J. Wallis introduce un concetto aritmetico di limite di una funzione: un numero la

cui differenza dalla funzione considerata può essere resa minore di ogni quantità [La sua formulazione è

ancora vaga (se riferita agli standard moderni), ma l’idea è corretta].

Wallis e Gregory osservarono che nel caso di procedimenti come quello di Fermat, si potrebbe evitare l’uso

degli infinitesimi: ad esempio, il valore TQ che Fermat vuole determinare è il valore a cui si avvicina il

rapporto (1) quando E si approssima a zero. Occorre però attendere altri due secoli e l’opera di matematici

quali Cauchy, Abel, Bolzano, Dirichlet e Weierstrass per giungere a una fondazione rigorosa dell’analisi

matematica, che verso la metà del XIX secolo cominciò ad assumere la forma in cui oggi viene insegnata.

Ecco, dunque, Cauchy nel 1822 definire il limite:

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