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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: La poetica di Fabrizio De Andrè
Autore: Maggi Lorenzo
Descrizione: in questa tesina ho voluto ricordare a dieci dalla scomparsa il celebre cantautore genovese de andrè. nella tesina il filo conduttore è la poetica degli emarginati, determinata da un pensiero fortemente anarchico. successivamente ho trattato il moviment
Materie trattate: Filosofia, Italiano, Arte, Storia, Inglese.
Area: umanistica
Sommario: Filosofia: quadro generale sull' anarchia attraverso l' opera di Woodcook, De Andre era anarchico. Italiano: U.Saba, Citta' Vecchia, canzone omonima a quella di De Andre, stesso tema, cioe' l'emarginazione. Arte: Picasso, rappresentazione della miseria, alcuni quadri d' esempio illustrati. Storia: gli anni 60 e il movimento del '68, De Andre visse quei momenti e scrisse in Storia di un impiegato la sua opinione al riguardo (analisi de La canzone del Maggio) Inglese: Antologia di Spoon River di E.L.Masters, confronto con l'album Non al denaro, ne all'amore, ne al cielo di De Andre'.
aveva appena ventidue anni, una famiglia e, più che un lavoro, un hobby poco redditizio. Ma una
svolta nella sua carriera si verificò nel 1965, allorché Mina interpretò una sua composizione, La
canzone di Marinella, che immediatamente si impose all'attenzione generale. “Mi arrivarono
seicentomila lire in un semestre (per quegli anni una somma davvero considerevole), - dichiarò
Fabrizio in un'intervista - allora ho preso armi e bagagli e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che
era un quartiere chic di Genova. Da quel momento, cominciai a pensare che forse le canzoni
m'avrebbero reso di più e, soprattutto, divertito di più".
Nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante
milanese alla quale si era legato dopo la separazione
dalla prima moglie), nacque Luisa Vittoria, detta Luvi.
Due anni dopo, Dori e Fabrizio furono sequestrati e
rimasero prigionieri in Sardegna dell'Anonima per
quattro mesi. La drammatica esperienza non cancellò
tuttavia l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione;
tant'è vero che non vi è traccia di rancore nelle
dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: «I
rapitori - disse - erano gentilissimi, quasi materni.
Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po'
di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che
non godeva certo della nostra situazione.»
Nel 1980, in seguito alla morte di Brassens, De André scrisse: «Per me è stato un mito, una guida,
un esempio; è grazie a lui che mi sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il
superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme di rispetto ai
quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la musica. Per me è come
leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o, al minimo, come non comportarsi».
Nel 1984 uscì un disco che evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il
Creuza de mä,
Mediterraneo, ma è "un canto d'amore a Genova", la sua terra.
L'anno successivo Fabrizio fu colpito da un grave lutto: all'età di 72 anni moriva infatti suo padre,
uomo influente e assai noto a Genova. In un'intervista all'amico Cesare G. Romana dirà: "Il
problema non è che gli volevo bene,
perché questo non finisce. Il
problema è che lui ne voleva a me".
Pochi anni dopo morì anche il
fratello Mauro, colpito da aneurisma.
Fabrizio fu naturalmente scosso dalla
terribile notizia.
Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatre
anni, venne a mancare la madre
Luisa, unica della famiglia a morire
di vecchiaia.
Nell'estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour di la tac non lasciava speranze:
Anime Salve,
tumore ai polmoni. Appena pochi mesi dopo, l’11 gennaio 1999, Fabrizio moriva a Milano, dov'era
ricoverato, assistito sino all'ultimo momento dai suoi cari.
Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio
nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la bandiera del Genoa
(la sua squadra del cuore) e quella anarchica (a testimonianza e ricordo del suo "credo" politico, o
meglio del suo "modo d'essere"). Al cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia, "abita eterno".
FILOSOFIA – De Andrè,un anarchico.
Analizziamo ora un lato molto importante degli ideali di De Andrè senza il quale nemmeno tutti i
suoi dischi sarebbero comprensibili: il suo pensiero anarchico.
L’anarchia in Fabrizio nacque fin da quando era un fanciullo. Egli
infatti disse: « Se sono, più modestamente, un anarchico è perché
l’anarchia, prima ancora che un’appartenenza è un modo di essere.
Lo ero fin da bambino, quando preferivo giocare con le biglie e, in
anticipo sul mio mestiere futuro, inventare parolacce, per strada,
con una banda di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il
signorino di buona famiglia, quale comunque io ero, e sono rimasto
per tanto tempo, vivendo sulla mia pelle la drammatica schizofrenia
di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati di una barricata.
Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico. Cominciai
a leggere Bakunin, imparai che gli anarchici sono dei santi senza
Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro. Intanto
da Bakunin ero passato a Stirner, e da una visione collettivistica ne
scoprii una più individualistica: dopo tutto, ci vuole troppo tempo a
trovare gente con cui vivere le mie idee e così, me la vivo da solo.
Anarchico non è un catechismo o un decalogo, tanto meno un dogma, ma è uno stato d’animo, una
categoria dello spirito.»
Queste parole inquadrano perfettamente ciò che secondo De Andrè fu, come la chiamò lui, la
signorina anarchia. De Andrè, in parte con l’aiuto di De Gregori, non ebbe paura di scagliare frecce
avvelenate contro i miti del perbenismo, l’indistruttibilità del potere e le varie facce di quella civiltà
borghese nella quale lui stesso è nato. L’ideale anarchico di Faber fu in continua evoluzione, egli
infatti con gli anni sovrappose all’icona del populista Bakunin, quella del solitario e tormentato di
Max Stirner.
Vorrei definire dunque quello che fu il pensiero anarchico da cui De André trasse i suoi ideali.
Il termine “Anarchia” deriva da anarchos cioè “senza superiore”, si ricerca la condizione positiva
del non avere governo perché il governo non è necessario al mantenimento dell’ordine.
Nel 1840 Proudhon pubblicava un libro con il quale si faceva portavoce del pensiero libertario, Che
in cui scrisse che «la e rivendicava per primo a se stesso il
cos’e la proprietà?, proprietà è un furto»
termine anarchico. Proudhon era convinto che nella società operi una legge naturale d’equilibrio ,
che respinge l’autorità come nemica e non già amica dell’ordine, facendo così ricadere sui fautori
del principio autoritario le accuse già rivolte agli anarchici.
Molti furono gli anarchismi, ma a noi interessano in linea generale i tratti comuni, i quali furono,
per esempio, un sistema di pensiero sociale mirante a cambiamenti radicali della società e in
particolare il tentativo di sostituire lo stato autoritario con qualche forma di libera cooperazione tra
gli individui.
Per chiarire ulteriormente ciò che realmente fu l’anarchia bisogna distinguerla dal nichilismo. Il
nichilista infatti non crede in nessun principio morale, in nessuna legge naturale. L’anarchico,
invece, crede in un impulso tanto forte da tenere unita la società con i liberi e naturali vincoli della
fratellanza umana.
E i sistemi non furono neanche mai quelli della violenza. Proudhon infatti ammetteva una pacifica
proliferazione di organizzazioni cooperative. Bakunin , benché combattesse in molte barricate ed
esaltasse il carattere sanguinario delle insurrezioni contadine, ebbe anche momenti di dubbio, in cui
osservava che le rivoluzioni cruente sebbene necessarie sono sempre un male mostruoso e un
grande disastro, non solo per le vittime, ma anche per ciò che concerne la purezza e la perfezione
dell’idea nel cui nome avvengono. Notiamo dunque che come in ogni movimento, sebbene di
impronta pacifista e collaborazionista, si siano infiltrate al suo interno falangi estremiste che mirano
a ribaltare il potere, piuttosto che eliminarlo come istituzione. La parola violenza va associata con
attenzione dunque al termine anarchia.
Un altro luogo comune da sfatare è l’odio anarchico verso i ricchi. L’anarchico non detesta i ricchi,
ma la ricchezza, il ricco è vittima della sua stessa opulenza non meno di quanto il povero lo sia della
sua miseria.
La dottrina anarchica cambia continuamente, non sono mai stati fissati dei punti teorici inamovibili..
I principi anarchici fondamentali, che danno tanta importanza alla libertà e alla spontaneità,
precludono in partenza la possibilità di una organizzazione rigida o di un partito che miri alla
conquista del potere. Proudhon scrisse che «tutti i partiti senza eccezione, nella misura in cui si
Inoltre Bakunin, a proposito
propongono la conquista del potere, sono varietà dell’assolutismo».
delle rivoluzioni, scrisse: «Le rivoluzioni non le fanno né gli individui né società segrete. Nascono
in certa misura automaticamente, le producono la forza delle cose, la corrente degli eventi e dei
fatti. Si creano a lungo nella coscienza delle masse e poi esplodono improvvisamente.»
Nel corso degli anni la dottrina anarchica di De Andrè si accostò a quella di Max Stirner, passando
così da idee più prettamente collettivistiche, di stampo bakuniniano, a idee più individualistiche, di
matrice stirneriana. Max Stirner predicò l’affermazione dell’Io e vagheggiò un’unione di egoisti,
tenuta insieme dal rispetto reciproco per la libertà di ciascuno.
Per concludere possiamo affermare che in comune comunque le varie scuole anarchiche hanno una
concezione naturalistica della società: non credono che uomo sia buono per natura, ma che esso per
natura sia sociale. Non deve esistere una pietrificazione nelle leggi, i rapporti tra le persone vanno
sanciti tra i membri stessi e da un complesso di usanze e costumi. Coloro che tentano di imporre
legge agli uomini che sono per natura invece sociali sono i veri nemici della società; mentre
l’anarchico è il vero uomo sociale, egli si sforza di ristabilire il naturale equilibrio della società.
Quasi tutti gli anarchici per questi motivi rifiutano l’idea russoiana di un contratto sociale.
«Aspetterò domani, dopodomani, e magari cent`anni ancora finché la signora libertà e la signorina
Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile
di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del 700, le istituzioni
disse Fabrizio De Andrè.
repubblicane erano considerate utopie»
ITALIANO – Il tema della da Saba a De
Città Vecchia,
Andrè.
Le canzoni di De André hanno spesso riferimenti colti. La canzone ne è un esempio
Città vecchia
emblematico, questa traccia contiene un chiaro riferimento all’omonima poesia di Umberto Saba ,
non solo nel titolo, ma negli stessi contenuti.
Presento prima la canzone di De Andrè, successivamente la poesia di Saba ponendola a confronto
con la prima. – De Andrè
Città vecchia
Nei quartieri dove il sole del buon Dio
non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente
d'altri paraggi
Una bimba canta la canzone antica
della donnaccia
quel che ancor non sai tu lo imparerai
solo qui fra le mie braccia
E se alla sua età le difetterà
la competenza
presto affinerà le capacità con l'esperienza
Dove sono andati i tempi d'una volta per Giunone,
quando ci voleva per fare il mestiere
anche un po' di vocazione
Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
Li troverai là col tempo che fa estate e inverno
a stracannare, a stramaledir
le donne, il tempo ed il governo
Loro cercan là la felicità
dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso
fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando
in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
Quella che di giorno chiami con disprezzo
pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo
alle tue voglie
Tu la cercherai, tu la invocherai più d'una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai, delapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire:
"micio, bello e bamboccione".
Se ti inoltrerai lungo le calate
dei vecchi moli
in quell'aria spessa, carica di sale,
gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini
e il tipo strano
quello che ha venduto tremila lire
sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli, son pur sempre figli / vittime di questo mondo.
Presentando La città vecchia, De André disse: «è una canzone del 1962, dove precisavo già il mio
pensiero e esso non è cambiato, perché un artista, a qualsiasi arte si dedichi, ha poche idee, ma