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Sintesi

Tesina presentata all'esame di stato per il liceo scientifico PNI

Dall'invenzione dello zero al concetto di nulla: per scoprire come le arti e le scienze hanno saputo confrontarsi con un numero e un concetto tanto "scomodo".

Materie trattate: Matematica, Fisica, Letteratura Italiana, Storia dell'Arte, Filosofia

INDICE

1. Perché lo zero? p. 1

2. Zero: tutta la storia p. 3
2.1. Dagli Egizi ai Sumeri: primi passi verso lo zero p. 3
2.2. Il problema del "posto vuoto": Babilonesi e Maya a confronto p. 4
2.3. Lo zero indiano: un numero, un'idea p. 6
2.4. Dalle Piramidi alle Alpi: lo zero sbarca in Europa p. 8

3. Perché tanta diffidenza? p. 10
3.1. Zeri quotidiani p. 10
3.2. Horror vacui: il nulla non esiste! p. 11
3.3. Da zero a infinito: l'altra faccia della medaglia p. 12

4. Lo zero delle scienze p. 14
4.1. Zeri matematici: numeri e punti p. 14
4.2. Dal vuoto atomico al vuoto quantistico p. 15

5. Il nulla, un solo grande protagonista p. 17
5.1. Sartre e l'esistenzialismo: il nulla nella speculazione filosofica p. 17

6. Molto rumore per nulla p. 19
6.1. E il nulla compare all'improvviso: Eugenio Montale in un'aria di vetro p. 19
6.2. Il nulla più radicale: Leopardi e la nullità dell'Uomo p. 21
6.3. L'arte e il nulla: tante soluzioni, un solo protagonista p. 23

7. Bibliografia e sitografia p. 28

Estratto del documento

storia di un numero e

di un’idea

Nulla è più interessante del nulla, nulla è più

intrigante del nulla e nulla è più importante del nulla.

Lo zero è uno degli argomenti preferiti dai

matematici, un autentico vaso di Pandora, per

curiosità e paradossi. Ian Stewart

Borlengo Sara

Classe 5°B

Anno scolastico 2006/2007

Liceo Scientifico P.N.I. Norberto Bobbio

2

INDICE

1. Perché lo zero? p. 1

2. Zero: tutta la storia p. 3

2.1. Dagli Egizi ai Sumeri: primi passi verso lo zero p. 3

2.2. Il problema del “posto vuoto”: Babilonesi e Maya a confronto p. 4

2.3. Lo zero indiano: un numero, un’idea p. 6

2.4. Dalle Piramidi alle Alpi: lo zero sbarca in Europa p. 8

3. Perché tanta diffidenza? p. 10

3.1. Zeri quotidiani p. 10

3.2. Horror vacui: il nulla non esiste! p. 11

3.3. Da zero a infinito: l’altra faccia della medaglia p. 12

4. Lo zero delle scienze p. 14

4.1. Zeri matematici: numeri e punti p. 14

4.2. Dal vuoto atomico al vuoto quantistico p. 15

5. Il nulla, un solo grande protagonista p. 17

5.1. Sartre e l’esistenzialismo: il nulla nella speculazione filosofica p. 17

6. Molto rumore per nulla p. 19

6.1. E il nulla compare all’improvviso: Eugenio Montale in un’aria di vetro p. 19

6.2. Il nulla più radicale: Leopardi e la nullità dell’Uomo p. 21

6.3. L’arte e il nulla: tante soluzioni, un solo protagonista p. 23

7. Bibliografia e sitografia p. 28

1

1. Perché lo zero?

Decidere come iniziare un libro è altrettanto complicato quanto determinare le origini

dell’universo. 1

John D. Barrow

Nel mio caso non si tratta né di scrivere un libro, né tantomeno di individuare le origini del

cosmo, bensì molto più semplicemente di approfondire, al termine di un ciclo di studi liceali,

una tematica a parer mio accattivante.

Tuttavia, perché tanto interesse per lo zero? E perché scegliere di affrontare proprio il nulla?

La risposta è tanto complessa quanto la materia cui intendo accostarmi.

La prima motivazione è che amo la matematica, e come spesso mi accade di fronte a

“meraviglie” matematiche, anche davanti allo zero non riesco a restare indifferente; mi ha

sempre affascinato: come spiegare la bellezza di un numero che da solo non vale proprio

nulla, eppure mutato di poche posizioni diventa una cifra del tutto rispettabile? Lo zero è forse

una delle invenzioni più geniali della Storia, e tuttavia, com’è avvenuto con la maggior parte

delle scoperte umane più significative, esso viene ampiamente utilizzato senza che se ne

riconosca l’importanza, sfruttato e svuotato della propria natura. E poi è la cifra più curiosa

che esista: è un numero oppure no? E ha senso parlare di zero o la questione è del tutto

irrilevante? Eccoci giungere così alla seconda motivazione. Perché lo zero non è solo un

semplice circolino che siamo abituati a vedere fin dai nostri primi calcoli in colonna. Lo zero

equivale ad una mancanza, ad una assenza, ad un buco: insomma, equivale al nulla. E che

cos’è questo nulla di cui gli antichi Greci avevano tanto orrore, che ha terrorizzato la

letteratura cristiana medioevale e ha assillato artisti e filosofi, alle prese con il significato

dell’esistenza umana? Il nulla c’è, non possiamo negarne l’esistenza; il cosmo ha origine dal

nulla, la vita ha origine dal nulla e, come l’universo, ad esso ritorna. Ma come esprimere un

qualcosa che non c’è, come rappresentarlo visivamente e renderlo tangibile?

Sono state queste domande a condurmi alla scelta, forse azzardata, di affrontare un tema

“scomodo”, ma stimolante, perché indefinito, misterioso e a me totalmente ignoto. Non

pretendo di fornire alcuna soluzione, né sarebbe possibile formularne una: il concetto di nulla,

a differenza dei calcoli elementari con lo zero, non porta a risultati certi. Tuttavia, se penso al

nulla la mia mente non si popola soltanto di immagini di pazzi filosofi consumati dall’amore

per il sapere ed eccentrici letterati troppo pessimistici per superare il proprio nichilismo. Se

penso al nulla, uno scenario di montagna appare ai miei occhi, e non soltanto perché amo la

montagna al pari della matematica: cime alte e innevate, del tutto incontaminate, che si

ergono imponenti davanti a me sovrastando tutto ciò che mi circonda. Di fronte ad alcune

manifestazioni della natura, tra cui in primis l’incommensurabile grandezza di un paesaggio

alpino inviolato, mi sembra impossibile non percepire quel senso di nulla tanto ricercato

dall’arte, soprattutto novecentesca, ed espresso nei modi più disparati. Che cos’è l’uomo di

fronte allo spettacolo della natura del mondo e all’infinità dell’Universo? Leopardi stesso

1 John D. Barrow, Da zero a infinito, la grande storia del nulla, Milano, Mondadori, 2000 2

aveva avuto una intuizione simile, osservando estasiato una pianta di ginestra alle pendici del

Vesuvio. Siamo un nulla, a ben vedere. Se domani decidessimo di ritirarci a vivere su un

albero, sull’esempio di un Barone di calviniana memoria, il mondo farebbe tranquillamente a

meno di noi. Eppure la mia immagine di nulla non si conclude qui. Una seconda scena si apre

al mio sguardo: come in uno zoom progressivo, la carrellata successiva è infatti incentrata

sugli osservatori di quel panorama alpino mozzafiato. Seguiamo la macchina da presa ed ecco

gli spettatori: si tratta di una comitiva di persone; non importa il sesso, l’età, la nazionalità:

sono uomini, e tanto basta. In quel gruppo di individui ciascuno non è più soltanto un nulla,

perché se uno dei componenti stabilisse di ritirarsi su un albero, in quella compagnia la

situazione cambierebbe, e in maniera piuttosto evidente. Ognuno non è più un nulla, ma un

mondo a sé, un microcosmo con le proprie meraviglie e i propri lati oscuri. Ciascuno

racchiude in sé una potenzialità infinita.

Ecco a cosa conduce in ultima analisi la mia riflessione sullo zero. E allora che cos’è il nulla?

Ai posteri l’ardua sentenza. 3

2. Zero: tutta la storia

Certamente lo zero ha tutti i segni dell'artificio umano: destrezza, ambiguità,

understatement 2

Robert ed Ellen Kaplan

2.1. Dagli Egizi ai Sumeri: primi passi verso lo zero

Nell'antichità gli Egizi erano notoriamente definiti veri maestri di geometria. Plutarco

narra che la insegnarono a Talete e a Pitagora. I papiri ritrovati testimoniano conoscenze

piuttosto elaborate: essi sapevano misurare terreni e ristabilire i confini dei campi dopo le

inondazioni del Nilo, conoscevano formule per calcolare l'area di figure piane e il volume di

solidi come il tronco di piramide. Eppure nei papiri non vi è alcuna traccia dello zero, il primo

e il più ambiguo dei numeri, così come non si trova nella matematica greca, che ampliò

considerevolmente le conoscenze degli Egizi e con la creazione della logica costituì le basi di

tutta la matematica moderna. La mancanza dello zero non si fece infatti sentire fino a quando

si usarono sistemi additivi di rappresentazione numerica. La numerazione egizia ricorreva alla

ripetizione di una sequenza di simboli corrispondenti ad uno, dieci, cento, mille, diecimila,

centomila e un milione; i segni comparivano in ordine di grandezza decrescente, ma soltanto

per una questione stilistica: le posizioni relative dei simboli dei numerali non fornivano

alcuna informazione numerica, cosicché non vi era la necessità di un simbolo per lo zero; se i

numeri possono stare in qualsiasi posizione senza modificare la quantità totale che

rappresentano, non c’è possibilità di un “posto” vuoto e un segno della sua presenza non

avrebbe senso. E nel caso in cui non ci fosse nulla da contare, semplicemente non si scriveva

alcun simbolo. Al vantaggio del sistema additivo, e cioè l’indipendenza dall’ordine degli

addendi, si opponevano però sostanziali svantaggi: da un lato la teorica necessità di infiniti

simboli per le infinite potenze della base, dall’altro la pesantezza della rappresentazione, che

richiedeva troppe ripetizioni.

I Sumeri tentarono di ovviare al problema introducendo una nuova caratteristica: il loro

sistema di numerazione non era puramente decimale, in quanto si serviva della base dieci per

individuare le grandezze, ma introduceva anche il numero sessanta come seconda base; i

simboli individuavano i numeri uno, dieci, sessanta, seicento, tremilaseicento e

trentaseimilaseicento. Fig. 1: I segni che rappresentavano i numerali sumeri.

2 Robert ed Ellen Kaplan, The Art of the Infinite, Oxford, OUP, 2003 4

Tuttavia il simbolo corrispondente a 600 combinava la tacca che indicava il 60 con il

cerchietto che rappresentava il 10. Questo schema creava una notazione moltiplicativa:

c’erano meno simboli da imparare e quelli dei grandi numeri avevano una logica interna che

consentiva di generare numeri maggiori partendo da quelli minori, senza dover inventare

nuovi segni. Un cambiamento significativo avvenne intorno al 2600 a.C, grazie

all’uso di uno stilo in grado di produrre linee più sottili e segni a

forma di cuneo di differenti dimensioni. Il passo successivo

nell’affinamento dei metodi, e che portò all’esigenza di inventare il

simbolo dello zero, fu l’introduzione di un sistema posizionale in

cui le ubicazioni dei simboli determinavano i loro valori. Ciò

consentiva di usare un numero minore di segni, dal momento che lo

stesso simbolo poteva assumere significati differenti a seconda

Fig. 2: Segni cuneiformi

raffiguranti l’1 e il 10 della posizione.

2.2. Il problema del “posto vuoto”: Babilonesi e Maya a confronto

Un posto non è nulla: neppure spazio, a meno che al suo cuore ci sia un numero. 3

Paul Dirac

Un primo sistema posizionale fece la sua apparizione in Babilonia attorno al 2000 a.C;

esso si limitava a estendere la notazione cuneiforme e il vecchio sistema additivo in base

sessanta in modo che includessero l’informazione posizionale. Esso era usato in modo

particolare dai matematici e dagli astronomi più che per la contabilità quotidiana, ma ben

presto fu utilizzato nella registrazione dei decreti reali. In esso il numero 10.292 sarebbe stato

concepito come (2 x 60 x 60) + (51 x 60) + 32 (v. fig. 3).

Fig. 3: Il numero 10.292 in cuneiforme

Si tratta di una rappresentazione perfettamente analoga a quella di cui ci serviamo noi,

utilizzando le varie potenze di 10 anziché di 60; il sistema sessagesimale risulta il medesimo

da noi impiegato per le misure di tempo: 7 ore, 5 minuti e 6 secondi corrispondono a (7 x 60 x

60) + (5 x 60) + 6 = 25.506 secondi. Il più antico sistema posizionale decimale simile al

nostro non apparve prima della fine del III secolo a.C, quando i Cinesi introdussero il valore

posizionale nel loro sistema di segni in base dieci. Il sistema babilonese era ancora un ibrido,

3 Paul Dirac, I principi della meccanica quantistica, Torino, Bollati Boringhieri, 1959 5

in quanto l’indicazione del numero per cui andava moltiplicata ciascuna potenza di 60 era

ancora espresso in forma additiva. Ciò avrebbe potuto causare ambiguità se non si fosse

lasciato sufficiente spazio tra una potenza di 60 e la successiva. Questa difficoltà veniva in

genere affrontata separando nettamente i diversi ordini di 60; tuttavia quando gli spazi bianchi

sono più di uno risulta difficile valutarli: si pensi con quale facilità possono essere confusi i

numeri 72 (settantadue), 7 2 (settecentodue) e 7 2 (settemiladue). Questa è la ragione per cui,

dopo aver operato per 1500 anni senza un simbolo dello zero, i Babilonesi introdussero un

segno di separazione: esso consisteva in due cunei sovrapposti, una doppia cuspide che

permetteva di indicare un posto vuoto nella rappresentazione di un numero.

Fig. 4: Il simbolo “separatore” per indicare i posti vuoti nell’espressione di un numero;

nell’esempio, il numero 3612= (1x60x60)+(0x60)+(1x10)+2

Da quando fu acquisito nel mondo dell’astronomia, data l’enorme importanza

dell’astronomia babilonese, esercitò una notevole influenza attraverso i secoli, costituendo la

prima rappresentazione simbolica dello zero nella storia della cultura umana. Tuttavia, lo zero

dei Babilonesi non significava nulla più di uno spazio vuoto nel registro contabile: non veniva

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