Visto che so qualcosa di teoria delle categorie, penso che la mia opinione possa essere utile. Io adoro la teoria delle categorie, è fenomenale, mi ha aperto un mondo. Inoltre uno si accorge subito che è inevitabile, perché ci sono concetti canonici che saltano fuori in molte teorie. Uno può creare una categoria e chiedersi chi sono i prodotti, i coprodotti, i limiti diretti, i limiti inversi, e saltano fuori oggetti nuovi, praticamente se introduci un nuovo oggetto matematico la teoria delle categorie ti fornisce di una montagna di teoria già gratis.
Ora, veniamo al "ma" della faccenda. Io non sono un categorista, qualsiasi cosa questo voglia dire - tra parentesi mi scuso se userò questo termine ma è per capirci: diciamo che un "categorista" è una persona a cui piace la teoria delle categorie e la vuole usare molto spesso, e in molti casi vuole farci ricerca sopra. Bene, dicevo, io non sono un categorista, nonostante abbia sempre amato la teoria (come detto sopra), e penso che una delle prime volte in cui mi sono accorto che non sono un categorista è stato ascoltando Olivia Caramello all'università di Padova, nello specifico ci sono
testi e
video. Vorrei attenermi appunto all'espressione "essere un categorista" o "non essere un categorista" appunto perché la teoria non è né giusta né sbagliata, è una teoria, un modo di porsi, un approccio. Può essere che si riveli rivoluzionario? Sì, ma non sto parlando di questo al momento. Sto analizzando la mia reazione a seminari o articoli tipo quelli che ho linkato. Dicevo, nel 2010 ascoltavo Olivia parlare (qui non sto giudicando il suo merito, che comunque considero molto alto) e mi chiedevo come si potesse conciliare una teoria tanto generale con ogni singola teoria particolare. Cioè, mi sembra più che ovvio che le diverse teorie geometriche (algebrica, differenziale, etc.), la topologia, le diverse teorie algebriche (gruppi, anelli, algebre, combinatoria, teoria dei numeri algebrica etc.), le teorie analitiche (analisi reale, analisi complessa, analisi funzionale, teoria dei numeri analitica, etc.) sono teorie tra loro diverse. Da qui non ci si scappa.
I categoristi con cui ho parlato spesso sembrano credere che si possa creare una teoria che unifichi tutta la matematica (cf. i link sopra). Sarebbe fantastico, e sarei il primo ad esserne entusiasta. La mia personale posizione è che una tale teoria è certamente possibile fino a un certo punto, unificherà la matematica fino a certi limiti non oltrepassabili. Una "teoria del tutto" non mi sembra plausibile. E' certamente affascinante, e merita di essere studiata, ma secondo me è sbagliato imporla come se la teoria delle categorie fosse più fondamentale della teoria degli insiemi (sembra uno scherzo, ma c'è chi ne è convinto). E' ovvio che la teoria delle categorie viene dopo la teoria degli insiemi perché uno introduce le categorie per "generalizzare" gli insiemi e non viceversa. Quello che voglio dire è che siamo ben lontani dal risolvere tutto usando solo diagrammi commutativi. Potrei dare esempi ma si scenderebbe nel tecnico. Specialmente quando uno analizza strutture finite si rende conto che si arriva ad un certo punto in cui bisogna "sporcarsi le mani", fare i "contacci", quelli sono inevitabili. E i contacci dipendono fortemente dalla teoria specifica in cui uno si trova.
Uno potrebbe dirmi che sono pessimista, che una teoria del tutto va certamente studiata e sviluppata, ma certo! Concordo assolutamente. Ma non è un lavoro che voglio fare io, lo lascio fare ad altri (ovvero, "non sono un categorista") perché per me la teoria delle categorie è un (potentissimo) linguaggio, non la so usare per risolvere problemi concreti (e spero davvero che qualcuno invece ci riesca!). Non voglio scendere nel tecnico, ma farò un esempio che darà l'idea.
(*) Se ho un gruppo $G$ voglio calcolare il suo gruppo degli automorfismi $Aut(G)$, cioè il gruppo degli isomorfismi $G to G$.
La teoria delle categorie mi insegna che la parola "automorfismo" si può adattare in contesti diversi, e quindi il problema (*) in realtà è una famiglia infinita di problemi, dove invece di "gruppo" appare l'oggetto in esame $X$, di cui si può facilmente definire un "automorfismo" (morfismo $X to X$ che ammette inverso), e probabilmente si può vedere $Aut(X)$ come un qualche tipo di oggetto strutturato. Meraviglioso! Ma come mi aiuta questo a
risolvere il problema (*)? Facciamo due diagrammi commutativi, studiamo la funtorialità del fenomeno, pensiamo al lemma di Yoneda, ok ma e poi? La teoria delle categorie mi aiuta a formulare problemi canonicamente legati a (*) ma mi aiuta veramente a risolverlo? Non voglio dire che la risposta sia no, voglio dire che nessuno mi ha mai convinto del contrario. Per fare un esempio di come le cose escono dal nostro controllo, se $G$ è il gruppo simmetrico $S_n$ allora $Aut(S_n)$ è isomorfo a $S_n$ (bello, canonico, no?) e possiamo pure dire che tutti gli automorfismi sono del tipo $x to g^{-1}xg$ con $g in S_n$ fissato,
tranne quando $n=2$ e $n=6$. Cioè $Aut(S_2)$ non è isomorfo a $S_2$ e $Aut(S_6)$ non è isomorfo a $S_6$. Passi il $n=2$ che è un caso talmente piccolo che non dà fastidio, ma quel $n=6$ mi ha sempre scioccato, ed è un altro motivo per cui non sono un categorista.
Potrebbe mai una teoria del tutto saltare un numero così, come se fosse più brutto degli altri? Come fanno i diagrammi commutativi a spiegarmi l'esistenza dell'eccezione $n=6$?Per riassumere, la teoria delle categorie è essenziale per avere una montagna di teoria gratis solo dalla definizione degli oggetti. Purtroppo però quando si vanno a studiare questi oggetti nel dettaglio non si possono evitare i contacci troppo a lungo.