beppe_scienza.jpgL’inflazione, ormai alle soglie del 4% annuo, suscita comprensibili timori. Ma per i risparmiatori la situazione non è disperata o almeno non è disperante, come negli anni ’70, quando chi aveva soldi da parte non sapeva dove battere la testa. Esistono infatti titoli che, salvo scenari da Repubblica di Waimar, offrono una valida difesa del potere d’acquisto dei propri risparmi.

 


     Sarebbero molto più noti, se il Tesoro italiano facesse pubblicità ai suoi prestiti con inserzioni a tutta pagina, come fa quello tedesco. Invece moltissimi risparmiatori conoscono i tradizionali Buoni del tesoro poliennali (Btp), ma ignorano l’esistenza dei Btp-i, dove la “i” sta per indicizzati all’inflazione. I titoli obbligazionari con tale caratteristica sono detti reali, perché agganciati a indici non finanziari (Bot, euribor ecc.), bensì reali e in particolare ai beni e servizi che formano il paniere usato per misurare il costo della vita. A quanti poi insistono a non chiamarli titoli reali ma in inglese inflation linked, ci sarebbe solo da chiedere perché si vergognino di parlare come mangiano.

     Alternative possibili. Un risparmiatore che voglia cautelarsi dal rischio inflazione ha più soluzioni a portata di mano. Il vero problema è semmai che non le conosce o viene fuorviato da cattivi consigli interessati. Dal febbraio 2006 esistono addirittura buoni fruttiferi postali indicizzati all’inflazione italiana, con tutti i vantaggi di tale genere di titoli. In particolare il diritto al riscatto in ogni momento con la certezza di ricevere integralmente il capitale investito e, passati 18 mesi, anche interessi e rivalutazioni capitalizzati. A medio-lungo termine tale soluzione renderà però meno dei corrispondenti di titoli di stato od obbligazioni. Sono invece da evitare le obbligazioni di volta in volta collocate dalle banche. Sono praticamente sempre molto inferiori a quelle già in circolazione. Lo conferma il fatto che scendono regolarmente di prezzo, quando vengono quotate.

     Titoli di Stato. I Btp-i hanno scadenze diverse e non c’è motivo per aspettare una nuova emissione, anziché comprare quelle già in circolazione. La tabella [in fondo all’articolo] ne riporta quattro con durate circa dai 2 ai 27 anni, oltre a un’emissione francese e una greca. Il loro vero difetto è l’indicizzazione ai prezzi dell’area dell’euro anziché italiani. Di per sé esiste un titolo di Stato italiano così indicizzato: sono le Infrastrutture (Ispa) 2,25% 31-7-2019 che però il Tesoro italiano non si è cura di quotare in Italia, per cui molte banche hanno facile gioco a rifiutarle a chi gliele chiede.

     Tutti questi titoli hanno una struttura particolare: il capitale – e cioè il valore nominale – cresce in parallelo con l’inflazione; in più si incassano una o due volte l’anno interessi a un tasso fisso, ma applicato al capitale periodicamente rivalutato.

     Ragionando su un’inflazione del 3,5% il loro rendimento nominale a scadenza è attualmente intorno al 6% lordo, che non si può definire una miseria. La loro redditività reale netta è invece intorno al 2% annuo. Tolte cioè le tasse e l’inflazione, si può far conto su tale incremento dei propri risparmi. Vendendoli invece prima della scadenza, la performance può risultare maggiore o minore.

     Obbligazioni societarie. Ne esistono parecchie e sono congegnate in una maniera diversa, più semplice ma meno protettiva. Infatti pagano interessi ogni tre, sei o dodici mesi in misura pari all’inflazione con una qualche maggiorazione. Il capitale resta invece immutato fino a scadenza e quindi in termini reali si riduce. Per evitare ciò, occorre reinvestire gran parte degli interessi che si incassano.

La tabella [in fondo all’articolo] riporta tre titoli: uno che rende moltissimo, quasi il 10% lordo, ma con qualche pericolo d’insolvenza e due obbligazioni quotate in Italia senza rischi di default. Per queste il rendimento è leggermente superiore ai Btp-i, come è logico.

Fondi comuni ed Etf. Esistono anche fondi comuni che offrono una gestione in titoli indicizzati all’inflazione: un risparmiatore prudente li eviterà con cura. È infatti presumibile che chi mira a una difesa dall’inflazione punti anche alla massima sicurezza e questa è possibile solo possedendo direttamente i titoli desiderati, senza dare deleghe a nessuno, alla luce anche delle pessime esperienze passate.

Meno pericolosi ma sconsigliabili sono pure gli Exchange traded fund (Etf) che investono in un paniere di titoli reali. Qui i rischi di cattiva gestione sono minori, ma hanno comunque poco senso perché comportano inutili costi aggiuntivi. Gli Etf hanno ragione d’essere per investire in mercati azionari ed evitare la concentrazione su troppi pochi titoli, di fatto agganciandosi così a decine o centinaia di azioni. Qui invece non c’è motivo di diversificare tanto. È ragionevole limitarsi a quattro o cinque titoli o addirittura a uno solo, purché sicuro. Un risparmiatore che mettesse tutto per esempio nei Btp-i 0,95% 15-9-2010 o in un buono postale indicizzato all’inflazione non si comporterebbe affatto in modo azzardato.

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La Repubblica, 30-6-2008, Affari & Finanza, p. 21

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