Messaggioda ViciousGoblin » 07/02/2009, 23:43

Carissimo Sidereus,
cerco di rispondere puntualmente alle tue ossevazioni perche' mi interessa molto capire il tuo punto di vista.
Forse non riusciro' a farlo in un solo colpo - da una lettura frettolosa dei tuoi messaggi mi sembra che ci siano sotto delle questioni
abbastanza profonde e non sono sicuro di riuscire immediatamente a focalizzarle bene. E purtroppo sono lento a scrivere.

Se devo anticipare delle conclusione ho l'impressione che tu abbia in mente solo infinitesimi standard (come in effetti dicevi) e che tutti
i discorsi sui $dx$ che proponi siano di natura "interpretativa" - vuoi cioe' "spiegare l'idea" che sta sotto le definizioni.
Io parlavo d'altro, cioe' se ci sono definizioni alternative (o note ) per definire rigorosamente certi oggetti "evanescenti"

Vengo comunque a una disamina di cio' che scrivi.

Sidereus ha scritto:Ommammamia, ho fatto una gaffe spaventosa :oops:
Chiedo venia umilmente :cry:
Ma santo cielo, Vicious Goblin, sei professore di Analisi e vieni a chiedere a me di definirti le successioni di Cauchy equivalenti? E' questo che mi ha fuorviato.

Per la verita' io non volevo parlare da professore, ma cercavo di argomentare chiedendo chiarimenti su cio' che avevi scritto e cercando di seguire il tuo discorso.

Dato che, parlando di infinitesimi, a un certo punto, en passant, avevi tirato fuori una relazione di equivalenza avevo chiesto di che relazione di equivalenza si trattasse.
Mi hai risposto che parlavi dell' equivalenza tra successioni di Cauchy per cui due successioni sono equivalenti se la loro differenza tende a zero.
Ne ho ricavato (intendendo male) che definivi gli infinitesimi come successioni di Cauchy modulo tale relazione di equivalenza. Allora ho ribattuto che in questo modo ogni successione di Cauchy e' equivalente al suo limite.
Nel messaggio successivo ho invece trovato che sono i numeri reali ad essere definiti come classi di equivalenza tra successioni (di razionali!!).
Allora ho risposto "Scusa, avevo capito male -l'equivalenza la introduci per parlare dei numeri reali non degli infinitesimi".
Questa definizione mi va benissimo - figurati che qualche anno fa ho provato a introdurre i numeri reali come succession infinite di cifre decimali, seguendo, se ricordo bene
il/ un Pagani Salsa (senza molto successo per la verita...). Tu la preferisci a una introduzione assiomatica per tuoi motivi e forse, sotto sotto,
la condivido anch'io.
Ho pero' concluso chiedendomi COSA AVESSE A CHE FARE la definizione di numero reale con la nozione di infinitesimo da cui eravamo partiti.
A scanso di ulteriori equivoci confermami che per te "infinitesimo" e' sinonimo di "tendente a zero" SI/NO ??
(nota che se hai risposto si' vuol dire che hai gia' una definizione di limite - presumibilmente fatta a suon di $\epsilon$ e $delta$).
Sidereus ha scritto:
Il tuo ultimo messaggio, con l'esempio relativo a $e$, mi fa sostanzialente capire che tu vedi i numeri reali come le successioni di razionali che verificano la proprieta' di Cauchy, modulo la relazione di equivalenza $(a_n)\sim(b_n)$ se e solo se $a_n-b_n\to0$

Beh, ma non sono io a dirlo. E' il teorema di completamento degli spazi metrici.


Spero ti sia chiaro da quanto detto sopra che non metto assolutamente in discussione nulla - non c'e' niente di male a definire cosi' i numeri reali.

Sidereus ha scritto:In base a questo teorema, $RR$ è il completamento di $QQ$, ed è un vero teorema di matematica, perché costruisce effettivamente $RR$; secondo me non è sufficiente limitarsi a fare l'elenco degli assiomi che valgono in $RR$, senza dimostrare anche che esiste davvero un insieme che gode di quelle proprietà.
Limitarsi al formalismo senza fare costruzioni riduce la matematica a una collezione di esercizi di logica, secondo il mio pedestre parere. Secondo me il matematico non può accontentarsi di teoremi di esistenza puramente logici che non offrono una costruzione dell'oggetto di cui si suppone l'esistenza.
Cerco di spiegarmi. Il teorema di Lagrange sul valore intermedio ci dice che
$(f(b)-f(a))/(b-a) = f'(\eta)$ sotto certe ipotesi.
Bene, il teorema ci informa che esiste questo numero $\eta$, ma non ci dice come trovarlo: è un teorema di logica. Paradossalmente, la versione geometrica di questo teorema è veramente matematica: tracciare la tangente alla curva $y=f(x)$ parallela alla secante e proiettare il punto di tangenza sull'asse delle $x$. Qui l'esistenza deriva da una costruzione matematica, non da un esercizio logico. Un analogo problema si verifica col teorema delle funzioni implicite, che in realtà contiene due teoremi, uno logico e uno matematico. Questo teorema dimostra l'esistenza di una funzione senza costruirla (parte logica) e quindi come calcolare la sua derivata (parte matematica).
Ci tengo a precisare che non sto dicendo che i teoremi di esistenza logici non sono accettabili. Vanno benissimo. Purché non se ne abusi e ci si renda ben conto che la matematica è un'altra cosa.

Rimando a un altro messaggio (forse...) di commentare quanto sopra perche' la questione mi pare ASSAI profonda (rapporti tra "matematica" e "realta'") che probabilmente e' il
"nocciolo duro" del nostro confronto - ma ho bisogno di piu' tempo e per ora mi limito a sollevare delle "questioni formali" (che pero' sono importanti, almeno per me).
Sidereus ha scritto:Quanto alla questione della notazione $dx$, la considero un sinonimo di successione $a_n$ tendente a 0.

Purtroppo per come ragiono io questa tua affermazione significa che $\int_0^1x^2 dx$ si puo' scrivere $\int_0^1x^2 " successione" a_n "tendente a 0$
Sidereus ha scritto:Nell'integrale essa segnala la contrazione a zero delle $\Deltax_n$ che scriviamo nelle somme di Riemann, nella matematica applicata segnala la stessa cosa e in più la coerenza con le unità di misura, nella derivata segnala il differenziale della variabile dipendente rapportato al differenziale della variabile indipendente, poi c'è la coerenza con la teoria della misura.... insomma ho elencato almeno quattro buone ragioni per tenerselo.

...segnala ...segnala ... Ma cosa DENOTA ?- per me questo discorso (su cui sono sostanzialmente d'accordo, fino a prova contraria da parte dell'analisi non standard)
significa che $dx$ non ha un significato individuale fuori dal segno di integrale - il fatto che quel simbolo ricordi che l'integrale viene
immaginato una "somma infinita di quantita' infinitesime" non significa che siamo riusciti a definire le quantita' infinitesime e la loro somma infinita - abbiamo solo definito l'integrale !!!

Se poi questo ci basta - bene! Se invece vogliamo dargli senso individuale dobbiamo dare delle definizioni e confrontarci su quelle. Se tu mi parli di cosa "rappresenta" l'integrale io
mi taccio non avendo (ne' avendolo mai avuto dall'inizio) altro da dire.
Se invece mi parli di cosa l'integrale E' (e qui parlo in gergo matematico ...) allora mi devi dare delle definizioni su cui possiamo confrontarci.
Se mi dici che e' "opportuno" mantenere il simbolo $dx$ nell'integrale, in virtu' dell'idea che ha portato all nozione di integrale a me sta bene - infatti non sono per l'abolizione del dx (purche' la notazione abbia una sua coerenza - a me sembra sbagliato scrivere $\int_E f dx$).
Se invece dici che $dx$ " e' necessario", perche' togliendolo si toglie qualcosa - allora mi devi definire cosa si toglie, un numero?, un infinitesimo? una forma lineare?$

Sidereus ha scritto:Infine, mi chiedi se considerare successioni che tendono a 0 non sia la stessa cosa del limite. Lo è. Ma anche l'assioma dell'estremo superiore, quello che distingue i numeri reali dai razionali, che altro è, se non un limite mascherato?

Inoltre, accettare l'assioma dell'estremo superiore significa accettare l'esistenza degli infinitesimi.

Perche' mi dici quanto sopra? Pensi forse che io neghi l'esistenza del limite o degli infinitesimi. Allora dovrei rassegnare le dimissioni... Gli infinitesimi tradizionali sono per l'appunto
le successioni o le funzioni che tendono a zero (definite mediante il limite, definito a sua volta con $\epsilon$ e $\delta$) . Ti faccio peraltro notare che pensare che tutti gli infinitesimi
"pari sono" non va sempre bene - pensa alle forme indeterminate (ma questo e' un altro fronte).
Il problema di cui credevo stessimo parlando e' se (a) c'e' un'altra nozione di infinitesimo che prescinda dagli $\epsilon$ e $\delta$ (b) se tale nozione oppure quella tradizionale di infinitesimo abbiano un qualche ruolo nel dare "un'identita' " al simbolo $dx$

Sidereus ha scritto:Sia $A$ un insieme di numeri reali non vuoto e superiormente limitato. Allora esiste $"sup"A$.
Sia $\epsilon_1$ un numero positivo arbitrario; allora esiste un $a_1 \in A$ tale che $"sup"A-\epsilon_1<a_1<="sup"A$
Sia $\epsilon_2<\epsilon_1$ un numero positivo arbitrario; allora esiste un $a_2 \in A$ tale che $"sup"A-\epsilon_2<a_2<="sup"A$
..................................
Iterando questo processo risulta che $\epsilon_n$ è un infinitesimo, che $"sup"A-a_n$ è un altro infinitesimo e che $a_n$ è una classe di numeri infinitamente vicini a $"sup"A$.

Hai mostrato che l'estremo superiore e' limite di una successione di punti di $A$ cosa perfettamente corretta. Ma ti ripeto che non ho mai messo in dubbio l'esistenza deli infinitesimi.
Sidereus ha scritto:Ricordiamo la definizione di infinitesimo (positivo) di Robinson:
un "numero" (?) $\epsilon$ tale che $0<\epsilon < 1/n$ per ogni $n \in NN$
Allora $\epsilon=1/(n+1)$ è un infinitesimo o no?

Qui pero' ci vuole chiarezza su cosa vogliono dire le parole. Prima di tutto $\epsilon=1/(n+1)$ non e' un infinitesimo - assegnato $n$ e' un numero diverso da zero!!!
Ma tu evidentemente intendi la successione $(1/n)$. In questo caso la successione e' un infinitesimo in senso tradizionale, per dire se e' un infinitesimo nel senso di Robinson
(spettro che aleggiava sul nostro discorso) bisogna sapere cosa sono gli infinitesimi di Robinson. A questo punto devo dire che non conosco rigorosamente l'approccio
di Robinson (se avro tempo provero' a farmene un' idea dato che mi sto interessando di logica) - pero' ho letto due formulazioni che mi vengono dette equivalenti da esperti
del mio dipartimento. Comunque se sbaglio correggetemi. Una formulazione e' quella che ho indicato precedentemente, contenuta in
http://www-1.unipv.it/webphilos_lab/dos ... rreali.pdf
in cui si definiscono gli ipereali mediante le successioni di numeri reali modulo un'opportuna relazione di equivalenza (in cui si usano gli ultrafiltri) e un 'altra nel libro di testo
(per un corso di calculus!) reperibile in rete a
http://www.math.wisc.edu/~keisler/calc.html.
Il primo approccio e' piuttosto intutivo (secondo me, una volta mandati giu' gli ultrafiltri) utile a far capire e non ho capito perche' non e' piu' pubblicizzato, il secondo parte da
un'impostazione assiomatica. Il fatto comunque e' che gli infinitesimi dell'analisi non standard SONO NUMERI non successioni - sono punti di una retta reale piu' grossa della
retta reale standard, in cui non vale il principio di Archimede e in cui esistono numeri diversi da zero che sono minori di $1/n$ per ogni $n$. I discorsi che ho letto nel Keisler propongono come "intuitiva" la nozione di tale retta nonstandard (facendo dei bei disegnini in cui ogni punto viene analizato al miscroscopio) e forniscono degli assiomi per
usare tali numeri, nello stesso modo in cui si presentano nella maggior parte dei casi i reali come punti della retta, e manipolabili mediante un certo numero di assiomi.
Tornando alla domanda se $(1/n)$ sia un infinitesimo io direi che intanto e' una questione di scrittura perche' anche negli iperreali esiste la successione $(1/n)$, che e'
una successione e non un mumero. Poi pero', visto nella prima formulazione ( e probabilmente ci sara' un modo di farlo anche nella seconda, ma non ho letto tutto il libro)
$(1/n)$ e' il rappresentante di un numero iperreale $[(1/n)]$ che, seguendo la nomenclatura nonstandard, e' infinitamente vicino a zero. cioe' e' strettamente compreso
tra $0$ e qualunque numero reali strettamente positivo. Oltre a lui ce ne sono infiniti altri: $[(1/n^\alpha)]$ per ogni $\alpha>0$ reale che sono tutti diversi. Ribadisco che
l'idea e' che gli infinitesimi non sono successioni ma punti "ben fermi" proprio cone $1$ e $2$.

Non so se questo approccio risponda a quelle che io chiamo "le intuizioni dei fisici" o il loro "modo di procedere" - come ho detto dovrei studiarmi un po' di fisica.
Pero' questo e' un modo formale di dare una nozione di infinitesimo per cui si puo' dividere, che puo' darsi corrisponda al modo di pensare dei matematetici "pre-rigorosi"
(per i quali tanto di cappello) . Con questo formalismo la formula $f'(x)=\frac{f(x+dx)-f(x)}{dx}$ va pensata come l'affermazione che la funzione scritta a destra risulta
essere costante (avere parte standard costante) al variare di $dx$ tra tutti gli infiniti numeri infinitesimi (qui $dx$ e' semplicemente un nome, che potrebbe benissimo
essere $h$ o qualunque altro). Non ho trovato se ci sia una definizione di integrale come somma di infiniti infinitesimi (??)
Sidereus ha scritto:Salute :-)

Salute a te - ho impiiiiegato varie ore a scrivere quanto sopra :cry: - alla prossima (se ne avrai voglia)
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Messaggioda gugo82 » 08/02/2009, 02:44

Sidereus ha scritto:
Gugo82 ha scritto:Il significato dei simboli in matematica è quello che noi, convenzionalmente, attribuiamo mediante definizioni: pertanto non ci vedrei niente di strano nell'usare l'uguaglianza $\int_{y_a}^{y_b} :=y_b-y_a$ come definizione del simbolo $\int_{y_a}^{y_b}$.

Stai dicendo che la matematica è una scienza del linguaggio. Ma una scienza del linguaggio esiste già, ed è la logica. Tanto vale dedicarsi alla logica. Comunque, il 95% dei matematici del ventesimo secolo ha abbracciato il tuo punto vista.
Quello strano sono io. Io pensavo e penso tuttora che la matematica sia il linguaggio della scienza, e non la scienza del linguaggio.

Sul versante "linguistico", ho sempre sostenuto che la matematica, in quanto "modello" per un linguaggio della scienza, debba essere priva di qualunque riferimento al reale; pertanto non mi spaventa affatto introdurre delle notazioni (anche bizzarre) se esse aiutano a mettere tutto insieme in maniera più comprensibile per chi scrive/legge.

Sidereus ha scritto:In effetti, per venticinque secoli la matematica è stata il linguaggio della scienza. Ha smesso di esserlo nel ventesimo secolo. Nel corso della storia, la matematica è sempre servita a risolvere problemi difficili. Da un po' di tempo si è dedicata a rendere difficili i problemi già risolti. Questo la renderà sterile. Parere personale, ca va sans dire.
Salute :)

Si vede che i problemi non erano poi tanto risolti quanto si credeva...
Inoltre, non è detto che i matematici non facciano bene a complicarsi le cose: ad esempio, la teoria degli iperreali è sorella della teoria dei modelli, che fa parte proprio di quella matematica nata dall'aver "reso più difficili problemi già risolti".

E poi, se non complicassimo le cose, come ci guadagneremmo il pane?
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Messaggioda ViciousGoblin » 08/02/2009, 16:17

Caro Sidereus.

la tua risposta a Gugo82, mi riporta sul fatto che, come accennavo nell'altro messaggio, il tema di fondo e' cosa sia la matematica di cosa parli.
La mia posizione a riguardo non e' facile in quanto per un verso appartengo culturalmente a quel 95%, dall'altro ho sempre piu' dubbi sull'idea
di "significato", anche ben fuori dalla matematica, che minano molte delle mie convinzioni pregresse.

Provo a dare qualche input riguardo a come vedo la questione.

Un'osservazione sul tuo discorso sul teorema di Lagrange. Per come la vedo io la dimostrazione del suddetto serve a chiarire
quale idea di spazio abbiamo in mente. Dato che il suo risultato e' confermato dall'intuizione ricaviamo che gli assiomi da cui siamo partiti
descrivono bene i "fatti noti" e che possiamo dunque fidarci di loro e delle loro conseguenze meno intuitive, Dire che la "versione geometrica"
e' la "vera" dimostrazione mi pare difficilmente sostenibile dato che presuppone tutta una serie di conoscenze sullo spazio che credo non
siano per nulla evidenti, come si e' capito con la questione delle geometrie non euclidee - credo che se il foglio su cui fai il grafico di $f$
fosse "curvo" l'interpretazione geometrica di Lagrange sarebbe falsa.

La matematica elabora "modelli" della "realta'" (tant'e' vero che Lagrange lo puoi interpretare anche in modo "fisico per cui se
un'auto percorre 100 kilometri in un ora lungo una strada in cui vige il limite di 90 all'ora, siamo autorizzati a multare il conducente -
poi dicono che la matematica non serve ...). Lo stesso teorema descrive cose apparentente assai diverse - la matematica dunque sta
nella "descrizione"
Questa elaborazione di modelli dovrebbe essere un processo di andata e ritorno(in ui tutti guadagnano qualcosa) e qui concordo con te che
un matematico dovrebbe interessarsi di piu' all'utilita' delle costruzioni che propone studiando (seriamente) le discipline in cui esse
vengono utilizzate, per elaborare cose significative. Comunque penso che anche in quest'ambito ci sia una forma di selezione, un giorno che
questa matematica non servisse piu' ....

Comunque la distinzione dei campi mi pare una conquista da cui tornare indietro sarebbe difficile e anche dannoso. Mi pare che molte diatribe, anche accese
e in questioni "filosofiche", nascano dal non comprendere questa distinzione.

E non si puo' rinuciare a in'idea di coerenza nel linguaggio - deve essere chiaro come si usano i simboli. E' come il un linguaggio di
programmazione con cui si devono scrivere dei programmi - se la sintassi e' contorta, non si riesce a capire come mai i programmi non girano.
Se questo "rigore" porta a "complicazioni" vuol dire che o le cose sono complicate, o che i simboli sono scelti male.
Nel secondo caso puo' essere utile discutere di cercare soluzioni piu' semplici (anche se poi -bisogna riconoscerlo- e' assai difficile
nella pratica far accettare dei cambiamenti motivati SOLO da queste considerazioni, dato che "if it works, don't fix it")

Ciao
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Messaggioda Sidereus » 09/02/2009, 17:23

ViciousGoblin ha scritto:
Sidereus ha scritto:Quanto alla questione della notazione $dx$, la considero un sinonimo di successione $a_n$ tendente a 0.

Purtroppo per come ragiono io questa tua affermazione significa che $\int_0^1x^2 dx$ si puo' scrivere $\int_0^1x^2 " successione" a_n "tendente a 0$
Sidereus ha scritto:Nell'integrale essa segnala la contrazione a zero delle $\Deltax_n$ che scriviamo nelle somme di Riemann, nella matematica applicata segnala la stessa cosa e in più la coerenza con le unità di misura, nella derivata segnala il differenziale della variabile dipendente rapportato al differenziale della variabile indipendente, poi c'è la coerenza con la teoria della misura.... insomma ho elencato almeno quattro buone ragioni per tenerselo.

...segnala ...segnala ... Ma cosa DENOTA ?- per me questo discorso (su cui sono sostanzialmente d'accordo, fino a prova contraria da parte dell'analisi non standard) significa che $dx$ non ha un significato individuale fuori dal segno di integrale - il fatto che quel simbolo ricordi che l'integrale viene immaginato una "somma infinita di quantita' infinitesime" non significa che siamo riusciti a definire le quantita' infinitesime e la loro somma infinita - abbiamo solo definito l'integrale !!!Se poi questo ci basta - bene! Se invece vogliamo dargli senso individuale dobbiamo dare delle definizioni e confrontarci su quelle.

Tutto vero. Provo a ripercorrere un po' delle cose che ho detto (per quanto mi sforzi, non è facile stare attenti ai dettagli in questa sede)

1. Infinitesimi
Un infinitesimo (positivo) è una successione di numeri reali $\epsilon_n$ che assume definitivamente valori minori di qualunque numero positivo a (definitivamente significa per tutti gli indici n maggiori di un certo numero N che dipende dalla scelta di a).
E’ semplicissimo mostrare decine di esempi di infinitesimi (sia positivi che negativi). Si può anche completare l'insieme degli infinitesimi aggiungendo la successione $o_n=0$ per ogni n, che ovviamente si dirà infinitesimo nullo. Si fa vedere facilmente che somme, differenze e prodotti di infinitesimi producono infinitesimi e che il prodotto di un numero reale per un infinitesimo produce sempre un infinitesimo.
Il quoziente di due infinitesimi $\epsilon / \eta$ , con $\eta$ diverso da 0, può produrre invece uno dei quattro risultati seguenti:
1) un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ è di ordine superiore a $\eta$ e si scrive $\epsilon=o(\eta)$
2) un numero reale non nullo + un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ sono dello stesso ordine
3) un infinito (cioè il reciproco $1/\omega$ di un infinitesimo $\omega$, e allora si dice che $\eta$ è di ordine superiore a $\epsilon$
4) nessuno dei casi precedenti oppure delle ambiguità, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ non sono confrontabili

2. Differenziale
Sia $f(x)$ una funzione reale di variabile reale.
Poniamo $\Deltaf = f(x+\epsilon_n)-f(x)$, supponendo di aver scelto e fissato un x nel dominio di f.
Diremo che f è differenziabile in x se esiste un numero reale a(x) tale che, per ogni infinitesimo $\epsilon_n$, risulti
$\Deltaf = f(x+\epsilon_n)-f(x)=a(x) \epsilon_n + o(\epsilon_n)$.
In pratica, $\Delta f$ si spezza nella somma di una funzione lineare di $\epsilon_n$ e di un infinitesimo di ordine superiore a $\epsilon_n$. La parte lineare di $\Deltaf$ si chiama il differenziale di f in x e si denota $df=a(x) \epsilon_n$.
In particolare, se $f(x) = x$ otteniamo $df=dx=\epsilon_n$, pertanto $dx$ denota anche un infinitesimo arbitrario.

3: Somma integrale
Sia $[y_a,y_b]$ intervallo chiuso e limitato di numeri reali.
Costruiamo una generica partizione dell'intervallo in questione:

$y_a=y_0<y_1<y_2<y_3<........<y_n=y_b$ e poniamo $\Deltay_k=y_k-y_(k-1)$

Allora $\sum_{k=1}^n \Deltay_k = y_b-y_a$, indipendentemente dalla scelta della partizione e dal
numero $n$ di punti della partizione.Aggiungiamo anche la condizione che il parametro di finezza delle partizioni scelte $\Delta_n=max(\Deltay_k , k=1,2,...,n)$ sia un infinitesimo.
Poiché possiamo scegliere ad arbitrio le partizioni senza alterare la somma, poniamo
$\epsilon_n=(y_b-y_a)\omega_n$, dove $\omega_n$ è un infinitesimo arbitrario e formiamo la partizione

$y_a=y_0<y_1=\epsilon_n<y_2=2\epsilon_n<y_3=3\epsilon_n<........<y_M=M\epsilon_n=y_b$ e poniamo $\Deltay_k=y_k-y_(k-1)=\epsilon_n$

Allora $ y_b-y_a =\sum_{k=1}^M\Deltay_k =\sum_{k=1}^M \epsilon_n=M\epsilon_n=Mdy$

Poiché $M\epsilon_n=y_b-y_a$, ne consegue che $M$ è un infinito, e quindi $y_b-y_a$ è la somma di un numero infinito di infinitesimi arbitrari $\epsilon_n=dy$, che denotiamo così:

$\int_{y_a}^{y_b} dy=y_b-y_a$

4. $\int_0^1x^2 dx$

$x^2dx$ è il differenziale di $y=1/3 x^3$ (per quanto detto al punto 2)

Dunque $dy = x^2dx$, che significa anche che a ogni infinitesimo $x^2 dx$ nell'intervallo $[0,1]$ corrisponde un solo infinitesimo $dy$ nell'intervallo $[0,1/3]$ ad esso uguale. Poiché la cardinalità di $[0,1]$ è uguale alla cardinalità di $[0,1/3]$, la somma integrale di infinitesimi uguali nei due insiemi produrrà somme uguali:
$\int_0^1x^2 dx=\int_0^(1/3)dy=1/3$, per quanto detto al punto 3.

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Messaggioda Sidereus » 09/02/2009, 17:45

Gugo82 ha scritto:Sul versante "linguistico", ho sempre sostenuto che la matematica, in quanto "modello" per un linguaggio della scienza, debba essere priva di qualunque riferimento al reale; pertanto non mi spaventa affatto introdurre delle notazioni (anche bizzarre) se esse aiutano a mettere tutto insieme in maniera più comprensibile per chi scrive/legge.


Ho già dichiarato di non essere d'accordo, ma rispetto senza riserve questo modo di pensare. E' bene sapere però che non ha nulla a che fare con la scienza.

Supponiamo, come tu suggerisci, di definire in modo bizzarro

$\int_a^b =b-a$

Arriva un geometra e chiede:"Non vedo il tensore metrico della varietà differenziabile $[a,b]$ che hai misurato"

La risposta dovrebbe essere che a noi non importa un fico non solo della fisica, della chimica e della medicina, ma nemmeno della geometria e dell'algebra?

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Messaggioda Sidereus » 09/02/2009, 18:08

ViciousGoblin ha scritto: Dire che la "versione geometrica" e' la "vera" dimostrazione mi pare difficilmente sostenibile dato che presuppone tutta una serie di conoscenze sullo spazio che credo non siano per nulla evidenti, come si e' capito con la questione delle geometrie non euclidee - credo che se il foglio su cui fai il grafico di $f$ fosse "curvo" l'interpretazione geometrica di Lagrange sarebbe falsa.

No. La costruzione geometrica di cui ho parlato dipende solo da proprietà affini. Anche se avessi un foglio curvo in cui le parallele non esistono, avrei comunque le geodetiche a svolgere la stessa funzione nelle trasformazioni affini.

La matematica elabora "modelli" della "realta'" (tant'e' vero che Lagrange lo puoi interpretare anche in modo "fisico per cui se un'auto percorre 100 kilometri in un ora lungo una strada in cui vige il limite di 90 all'ora, siamo autorizzati a multare il conducente - poi dicono che la matematica non serve ...). Lo stesso teorema descrive cose apparentente assai diverse - la matematica dunque sta nella "descrizione" Questa elaborazione di modelli dovrebbe essere un processo di andata e ritorno(in ui tutti guadagnano qualcosa) e qui concordo con te che un matematico dovrebbe interessarsi di piu' all'utilita' delle costruzioni che propone studiando (seriamente) le discipline in cui esse vengono utilizzate, per elaborare cose significative. Comunque penso che anche in quest'ambito ci sia una forma di selezione, un giorno che
questa matematica non servisse piu' ....

D'accordo al 100%.
Aggiungo che il matematico è lo scienziato capace di mostrare in tutta la loro evidenza i processi mentali che rendono conoscibili alcuni strani "animali" prodotti dalla mente umana, come i numeri irrazionali trascendenti e la $\delta$ di Dirac. Come un botanico sa spiegare scientificamente come e perché una data specie di pianta può vivere, così il matematico sa spiegare come e perché la mente umana può concepire e servirsi di linguaggi non ambigui e razionali per esprimere la scienza.

E non si puo' rinuciare a in'idea di coerenza nel linguaggio - deve essere chiaro come si usano i simboli. E' come il un linguaggio di programmazione con cui si devono scrivere dei programmi - se la sintassi e' contorta, non si riesce a capire come mai i programmi non girano.

Non c'è dubbio. Ma l'oggetto di studio della matematica non è solo il linguaggio, sebbene ne sia una parte importante.

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Messaggioda ViciousGoblin » 10/02/2009, 13:56

Sidereus ha scritto:
ViciousGoblin ha scritto:
Sidereus ha scritto:Quanto alla questione della notazione $dx$, la considero un sinonimo di successione $a_n$ tendente a 0.

Purtroppo per come ragiono io questa tua affermazione significa che $\int_0^1x^2 dx$ si puo' scrivere $\int_0^1x^2 " successione" a_n "tendente a 0$
Sidereus ha scritto:Nell'integrale essa segnala la contrazione a zero delle $\Deltax_n$ che scriviamo nelle somme di Riemann, nella matematica applicata segnala la stessa cosa e in più la coerenza con le unità di misura, nella derivata segnala il differenziale della variabile dipendente rapportato al differenziale della variabile indipendente, poi c'è la coerenza con la teoria della misura.... insomma ho elencato almeno quattro buone ragioni per tenerselo.

...segnala ...segnala ... Ma cosa DENOTA ?- per me questo discorso (su cui sono sostanzialmente d'accordo, fino a prova contraria da parte dell'analisi non standard) significa che $dx$ non ha un significato individuale fuori dal segno di integrale - il fatto che quel simbolo ricordi che l'integrale viene immaginato una "somma infinita di quantita' infinitesime" non significa che siamo riusciti a definire le quantita' infinitesime e la loro somma infinita - abbiamo solo definito l'integrale !!!Se poi questo ci basta - bene! Se invece vogliamo dargli senso individuale dobbiamo dare delle definizioni e confrontarci su quelle.

Tutto vero. Provo a ripercorrere un po' delle cose che ho detto (per quanto mi sforzi, non è facile stare attenti ai dettagli in questa sede)

1. Infinitesimi
Un infinitesimo (positivo) è una successione di numeri reali $\epsilon_n$ che assume definitivamente valori minori di qualunque numero positivo a (definitivamente significa per tutti gli indici n maggiori di un certo numero N che dipende dalla scelta di a).
E’ semplicissimo mostrare decine di esempi di infinitesimi (sia positivi che negativi). Si può anche completare l'insieme degli infinitesimi aggiungendo la successione $o_n=0$ per ogni n, che ovviamente si dirà infinitesimo nullo. Si fa vedere facilmente che somme, differenze e prodotti di infinitesimi producono infinitesimi e che il prodotto di un numero reale per un infinitesimo produce sempre un infinitesimo.
Il quoziente di due infinitesimi $\epsilon / \eta$ , con $\eta$ diverso da 0, può produrre invece uno dei quattro risultati seguenti:
1) un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ è di ordine superiore a $\eta$ e si scrive $\epsilon=o(\eta)$
2) un numero reale non nullo + un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ sono dello stesso ordine
3) un infinito (cioè il reciproco $1/\omega$ di un infinitesimo $\omega$, e allora si dice che $\eta$ è di ordine superiore a $\epsilon$
4) nessuno dei casi precedenti oppure delle ambiguità, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ non sono confrontabili

2. Differenziale
Sia $f(x)$ una funzione reale di variabile reale.
Poniamo $\Deltaf = f(x+\epsilon_n)-f(x)$, supponendo di aver scelto e fissato un x nel dominio di f.
Diremo che f è differenziabile in x se esiste un numero reale a(x) tale che, per ogni infinitesimo $\epsilon_n$, risulti
$\Deltaf = f(x+\epsilon_n)-f(x)=a(x) \epsilon_n + o(\epsilon_n)$.
In pratica, $\Delta f$ si spezza nella somma di una funzione lineare di $\epsilon_n$ e di un infinitesimo di ordine superiore a $\epsilon_n$. La parte lineare di $\Deltaf$ si chiama il differenziale di f in x e si denota $df=a(x) \epsilon_n$.
In particolare, se $f(x) = x$ otteniamo $df=dx=\epsilon_n$, pertanto $dx$ denota anche un infinitesimo arbitrario.

3: Somma integrale
Sia $[y_a,y_b]$ intervallo chiuso e limitato di numeri reali.
Costruiamo una generica partizione dell'intervallo in questione:

$y_a=y_0<y_1<y_2<y_3<........<y_n=y_b$ e poniamo $\Deltay_k=y_k-y_(k-1)$

Allora $\sum_{k=1}^n \Deltay_k = y_b-y_a$, indipendentemente dalla scelta della partizione e dal
numero $n$ di punti della partizione.Aggiungiamo anche la condizione che il parametro di finezza delle partizioni scelte $\Delta_n=max(\Deltay_k , k=1,2,...,n)$ sia un infinitesimo.
Poiché possiamo scegliere ad arbitrio le partizioni senza alterare la somma, poniamo
$\epsilon_n=(y_b-y_a)\omega_n$, dove $\omega_n$ è un infinitesimo arbitrario e formiamo la partizione

$y_a=y_0<y_1=\epsilon_n<y_2=2\epsilon_n<y_3=3\epsilon_n<........<y_M=M\epsilon_n=y_b$ e poniamo $\Deltay_k=y_k-y_(k-1)=\epsilon_n$

Allora $ y_b-y_a =\sum_{k=1}^M\Deltay_k =\sum_{k=1}^M \epsilon_n=M\epsilon_n=Mdy$

Poiché $M\epsilon_n=y_b-y_a$, ne consegue che $M$ è un infinito, e quindi $y_b-y_a$ è la somma di un numero infinito di infinitesimi arbitrari $\epsilon_n=dy$, che denotiamo così:

$\int_{y_a}^{y_b} dy=y_b-y_a$

4. $\int_0^1x^2 dx$

$x^2dx$ è il differenziale di $y=1/3 x^3$ (per quanto detto al punto 2)

Dunque $dy = x^2dx$, che significa anche che a ogni infinitesimo $x^2 dx$ nell'intervallo $[0,1]$ corrisponde un solo infinitesimo $dy$ nell'intervallo $[0,1/3]$ ad esso uguale. Poiché la cardinalità di $[0,1]$ è uguale alla cardinalità di $[0,1/3]$, la somma integrale di infinitesimi uguali nei due insiemi produrrà somme uguali:
$\int_0^1x^2 dx=\int_0^(1/3)dy=1/3$, per quanto detto al punto 3.
Salute :)


Caro Sidereus,
sono un po' "sfibrato" da questa conversazione - piacevole, beninteso, ma che richiede troppa concentrazione. Purtroppo leggendo cio' che mi scrivi ripiombo nella sgradevole sensazione
di trovarmi di fronte a parole che cambiano significato mentre procedo nella lettura. Tu in piu' punti affermi che la matematica non deve essere lo studio del linguaggio - accettiamolo pure
(anche se andrebbe capito cosa intendi) - il nostro problema pero' non e' di matematica (su cui mi sono convinto siamo quasi completamente d'accordo) ma e' proprio di linguaggio.
Io proprio non capisco (per lo meno non sono sicuro di capire) quello che vuoi sostenere. Vediamo se riesco a fare delle domande "dirimenti".
La scrittura $\int_0^2 2=4$ , non ti va bene perche'

(A) e' brutta, in quanto non riflette il procedimento di limite che ha portato alla definizione del simbolo che sta a sinistra

(B) e' sbagliata perche' $\int_0^2 2$ non ha senso

(C) e' sbagliata perche' $\int_0^2 2$ fa qualcosa di diverso da $4$

Una tua risposta secca mi permetterebbe di orientare le mie eventuali repliche....

Riguardo ai punti 1-3, come dicevo all'inizio la senzazione e' che le definizinioni siano quelle che conosco e insegno, ma che le interpretazioni siano diverse (altrimenti non
mi spiego tutti i discorsi del punto 3) che per me dicono solo che $n(b-a)/n=b-a$ dove $a$ e $b$ sono numeri reali, non lunghezze o altro)
C'e' peraltro al punto 2 una contunua oscillazione di significato del termine $dx$; $x$ viene usata sia come variabile sia per indicate la funzione identica; purtroppo
questa abitudine e' per me ' devastante e probabilmente all'origine della mia incapacita' di capire molte cose. Purtroppo sono stato abituato al fatto che
la derivata di $x^2$ e' zero dato che la funzione $x^2$ e' costante (se si vuole un linguaggio coerente).
Comunque fatte le mie dovute traduzioni interne mi pare di non aver nulla da dire riguardo a 1-3, in particolare non mi pare ci siano "cose non standard" ; tutto quanto
dici e' riconducibile alla nozione di limite classico., anche se dette coi differenziali possono avere sfumatute diverse. Ti faccio un'altra domanda trasversale per capire il tuo punto di vista,
secondo te le due formule:
$\lim_{x\to 0}\sin(x)/x=1$
e
$sin(x)=x + o(x)$
hanno lo stesso "contenuto conoscitivo" ? e"contenuto matematico " ?

Riguardo al punto 4) mi pare di capire che per te non si integrano le funzioni, bensi il prodotto di una funzione per un differenziale (che e' una applicazione lineare).
Per inciso mi pare di capire che in questo caso usi $dx$ per indicare il differenziale dell'applicazione identica (differenziale che e' costantemente la funzione identica) Questo mi sembra perfettamente formalizzabile col linguaggio delle forme differenziali. Mi pare pero' che allora si dovrebbe cominciare dall'inizio a integrare oggetti della forma $f dg$.
Comunque se questo e' il tuo punto di vista dimmelo all'inizio "guarda per me si integrano le forme differenziali" (perche' sono quelle che per me hanno significato) e io sono soddisfatto e riconosco che il $dx$ ci vuole.
Se invece $int_0^1 x^2 dx$ e' l'integrale della funzione $x\mapsto x^2$ nell'intervallo $[0,1]$, allora posso accettare il $dx$ solo come "marcatore" della varibile di integrazione, e , nella
struttura generale dei simboli, come ricordo della costruzuine dell'integrale - non come portatore di un senso individuale.

Concludo con una battuta - le tue lamentele a proposito della bizzarria di $\int_a^b=b-a$ mi suonano come se tu protestassi quando uso la parola "leone" chiedendomi dov'e' il ruggito. :roll:

Alla prossima
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Messaggioda Sidereus » 10/02/2009, 19:08

ViciousGoblin ha scritto:Caro Sidereus,
sono un po' "sfibrato" da questa conversazione - piacevole, beninteso, ma che richiede troppa concentrazione. Purtroppo leggendo cio' che mi scrivi ripiombo nella sgradevole sensazione di trovarmi di fronte a parole che cambiano significato mentre procedo nella lettura.

Caro Vicious Goblin,
sono lusingato dalla tua attenzione. Pensavo che qualcuno prima o poi mi avrebbe mandato al diavolo, ma sono contento di essermi sbagliato.
ViciousGoblin ha scritto:Tu in piu' punti affermi che la matematica non deve essere lo studio del linguaggio - accettiamolo pure (anche se andrebbe capito cosa intendi) - il nostro problema pero' non e' di matematica (su cui mi sono convinto siamo quasi completamente d'accordo) ma e' proprio di linguaggio. Io proprio non capisco (per lo meno non sono sicuro di capire) quello che vuoi sostenere. Vediamo se riesco a fare delle domande "dirimenti".

Non vorrei aver trasmesso l'idea di essere contrario al fatto che la matematica sia anche uno studio del linguaggio. Certo che è anche questo. Ma non solo questo. Se la matematica fosse solo studio del linguaggio diventerebbe "logimatica", cioè un sottoprodotto della logica.
ViciousGoblin ha scritto:La scrittura $\int_0^2 2=4$ , non ti va bene perche'

(A) e' brutta, in quanto non riflette il procedimento di limite che ha portato alla definizione del simbolo che sta a sinistra

(B) e' sbagliata perche' $\int_0^2 2$ non ha senso

(C) e' sbagliata perche' $\int_0^2 2$ fa qualcosa di diverso da $4$

Una tua risposta secca mi permetterebbe di orientare le mie eventuali repliche....

Non è sbagliata. Mi rendo conto che nell'analisi classica espressa in "limitese" non c'è ragione di inserire un oggetto che sembra piovuto dal cielo. Tuttavia il "limitese" non è l'unica lingua in cui si possono esprimere i concetti dell'analisi. Esistono anche altre lingue, come "l'infinitesimese" che ho suggerito qui, che è un mio tentativo di ricostruire la lingua che usavano i matematici del passato e quella che usano tuttora i fisici. Ed esiste anche l'analisi non standard, mediante la quale "l'infinitesimese" si è riguadagnato l'imprimatur di nobiltà che aveva ignominiosamente perduto dopo l'avvento del "limitese". Il $dx$ sotto integrale è superfluo in "limitese" (come in russo non c'è bisogno dell'articolo), ma necessario in "infinitesimese" (come in italiano c'è bisogno dell'articolo). Però le due lingue esprimono le stesse idee, seppure in modo completamente diverso, e per questo auspicherei l'uso degli stessi simboli.
ViciousGoblin ha scritto:Riguardo ai punti 1-3, come dicevo all'inizio la senzazione e' che le definizinioni siano quelle che conosco e insegno, ma che le interpretazioni siano diverse (altrimenti non mi spiego tutti i discorsi del punto 3) che per me dicono solo che $n(b-a)/n=b-a$ dove $a$ e $b$ sono numeri reali, non lunghezze o altro)

Nel punto 3 non ho mai usato la parola lunghezza. Il punto 3 serve per dare una definizione di somma di una quantità non numerabile di infinitesimi. In "infinitesimese" non si parla con le funzioni, ma con gli infinitesimi. In "infinitesimese" non ci interessa tanto la derivata (che è una funzione), quanto piuttosto il differenziale (che è un infinitesimo). In "infinitesimese" non si integrano funzioni, ma si sommano infinitesimi.
In "infinitesimese" l'integrale appare come una serie in cui l'indice varia su un insieme non numerabile.
ViciousGoblin ha scritto:C'e' peraltro al punto 2 una contunua oscillazione di significato del termine $dx$; $x$ viene usata sia come variabile sia per indicate la funzione identica; purtroppo questa abitudine e' per me ' devastante e probabilmente all'origine della mia incapacita' di capire molte cose.

Ammetto di non essere stato chiarissimo. $dx$ è proprio il differenziale della funzione identica. Non significa altro. Quando scrivo $dx=\epsilon_n$ è perché il differenziale della funzione identica $f(x)=x$ restituisce come risultato l'infinitesimo $\epsilon_n$
ViciousGoblin ha scritto:Purtroppo sono stato abituato al fatto che la derivata di $x^2$ e' zero dato che la funzione $x^2$ e' costante (se si vuole un linguaggio coerente).

Non capisco.
ViciousGoblin ha scritto:Comunque fatte le mie dovute traduzioni interne mi pare di non aver nulla da dire riguardo a 1-3, in particolare non mi pare ci siano "cose non standard" ; tutto quanto dici e' riconducibile alla nozione di limite classico, anche se dette coi differenziali possono avere sfumatute diverse.

Per la verità, ho dichiarato fin dall'inizio che non sto facendo dell'analisi non standard, nella quale gli infinitesimi sono numeri. Sto suggerendo un modo per ottenere un'analisi basata sugli infinitesimi senza ricorrere ai numeri iperreali.
ViciousGoblin ha scritto:Ti faccio un'altra domanda trasversale per capire il tuo punto di vista,
secondo te le due formule:
$\lim_{x\to 0}\sin(x)/x=1$
e
$sin(x)=x + o(x)$
hanno lo stesso "contenuto conoscitivo" ? e"contenuto matematico " ?

Sì. L'una è espressa in "limitese" e l'altra in "infinitesimese".
$\lim_{x\to 0}\sin(x)/x=1$ significa che la funzione $sin(x)/x$ si avvicina al valore 1 quando $x$ si avvicina a 0, nonostante il fatto che né $x$ arrivi davvero a 0 né $sin(x)/x$ arrivi davvero a 1. Il "limitese" fornisce un risultato fisso laddove le normali operazioni sui numeri non si possono fare.

Parimenti, $sin(1/n)=1/n + o(1/(n^2))$ significa che $sin(1/n)$ e $1/n$ sono infinitesimi dello stesso ordine, perché
$sin(1/n)/(1/n)=1+ o(1/n)$,
e quindi la successione $sin(1/n)/(1/n)$ è equivalente alle successioni di numeri razionali che definiscono il numero reale 1. Ciò vuol dire che quando n è sufficientemente grande non è più possibile fare una distinzione tra $sin(1/n)$ e $1/n$. Sono praticamente uguali.
ViciousGoblin ha scritto:Riguardo al punto 4) mi pare di capire che per te non si integrano le funzioni, bensi il prodotto di una funzione per un differenziale (che e' una applicazione lineare). Per inciso mi pare di capire che in questo caso usi $dx$ per indicare il differenziale dell'applicazione identica (differenziale che e' costantemente la funzione identica) Questo mi sembra perfettamente formalizzabile col linguaggio delle forme differenziali. Mi pare pero' che allora si dovrebbe cominciare dall'inizio a integrare oggetti della forma $f dg$.Comunque se questo e' il tuo punto di vista dimmelo all'inizio "guarda per me si integrano le forme differenziali" (perche' sono quelle che per me hanno significato) e io sono soddisfatto e riconosco che il $dx$ ci vuole.

Non esattamente. Con le forme differenziali di solito si lavora con funzioni lisce, perché si desidera di poter fare la derivata esterna.
Nell'analisi espressa in "limitese", dopo aver definito l'integrale ci si chiede:"Quali funzioni sono integrabili?"
Nell'analisi espressa in "infinitesimese", dopo aver definito le somme integrali ci si chiede:"Quali infinitesimi del tipo f(x)dx sono sommabili?"
Ripeto: in infinitesimese non si parla tanto di funzioni, ma di infinitesimi.
ViciousGoblin ha scritto:Concludo con una battuta - le tue lamentele a proposito della bizzarria di $\int_a^b=b-a$ mi suonano come se tu protestassi quando uso la parola "leone" chiedendomi dov'e' il ruggito. :roll:

Apprezzo l'ironia :-D
A me sembra invece come se la parola "leone" fosse stata inserita in un cruciverba, incrociata con una seconda parola inventata ad hoc e che nessuno capisce, sostenendo che non ha alcuna importanza che essa sia incomprensibile, basta che si incastri nel gioco.
ViciousGoblin ha scritto:Alla prossima

Sarà un vero piacere :)
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