cerco di rispondere puntualmente alle tue ossevazioni perche' mi interessa molto capire il tuo punto di vista.
Forse non riusciro' a farlo in un solo colpo - da una lettura frettolosa dei tuoi messaggi mi sembra che ci siano sotto delle questioni
abbastanza profonde e non sono sicuro di riuscire immediatamente a focalizzarle bene. E purtroppo sono lento a scrivere.
Se devo anticipare delle conclusione ho l'impressione che tu abbia in mente solo infinitesimi standard (come in effetti dicevi) e che tutti
i discorsi sui $dx$ che proponi siano di natura "interpretativa" - vuoi cioe' "spiegare l'idea" che sta sotto le definizioni.
Io parlavo d'altro, cioe' se ci sono definizioni alternative (o note ) per definire rigorosamente certi oggetti "evanescenti"
Vengo comunque a una disamina di cio' che scrivi.
Sidereus ha scritto:Ommammamia, ho fatto una gaffe spaventosa
Chiedo venia umilmente
Ma santo cielo, Vicious Goblin, sei professore di Analisi e vieni a chiedere a me di definirti le successioni di Cauchy equivalenti? E' questo che mi ha fuorviato.
Per la verita' io non volevo parlare da professore, ma cercavo di argomentare chiedendo chiarimenti su cio' che avevi scritto e cercando di seguire il tuo discorso.
Dato che, parlando di infinitesimi, a un certo punto, en passant, avevi tirato fuori una relazione di equivalenza avevo chiesto di che relazione di equivalenza si trattasse.
Mi hai risposto che parlavi dell' equivalenza tra successioni di Cauchy per cui due successioni sono equivalenti se la loro differenza tende a zero.
Ne ho ricavato (intendendo male) che definivi gli infinitesimi come successioni di Cauchy modulo tale relazione di equivalenza. Allora ho ribattuto che in questo modo ogni successione di Cauchy e' equivalente al suo limite.
Nel messaggio successivo ho invece trovato che sono i numeri reali ad essere definiti come classi di equivalenza tra successioni (di razionali!!).
Allora ho risposto "Scusa, avevo capito male -l'equivalenza la introduci per parlare dei numeri reali non degli infinitesimi".
Questa definizione mi va benissimo - figurati che qualche anno fa ho provato a introdurre i numeri reali come succession infinite di cifre decimali, seguendo, se ricordo bene
il/ un Pagani Salsa (senza molto successo per la verita...). Tu la preferisci a una introduzione assiomatica per tuoi motivi e forse, sotto sotto,
la condivido anch'io.
Ho pero' concluso chiedendomi COSA AVESSE A CHE FARE la definizione di numero reale con la nozione di infinitesimo da cui eravamo partiti.
A scanso di ulteriori equivoci confermami che per te "infinitesimo" e' sinonimo di "tendente a zero" SI/NO ??
(nota che se hai risposto si' vuol dire che hai gia' una definizione di limite - presumibilmente fatta a suon di $\epsilon$ e $delta$).
Sidereus ha scritto:Il tuo ultimo messaggio, con l'esempio relativo a $e$, mi fa sostanzialente capire che tu vedi i numeri reali come le successioni di razionali che verificano la proprieta' di Cauchy, modulo la relazione di equivalenza $(a_n)\sim(b_n)$ se e solo se $a_n-b_n\to0$
Beh, ma non sono io a dirlo. E' il teorema di completamento degli spazi metrici.
Spero ti sia chiaro da quanto detto sopra che non metto assolutamente in discussione nulla - non c'e' niente di male a definire cosi' i numeri reali.
Sidereus ha scritto:In base a questo teorema, $RR$ è il completamento di $QQ$, ed è un vero teorema di matematica, perché costruisce effettivamente $RR$; secondo me non è sufficiente limitarsi a fare l'elenco degli assiomi che valgono in $RR$, senza dimostrare anche che esiste davvero un insieme che gode di quelle proprietà.
Limitarsi al formalismo senza fare costruzioni riduce la matematica a una collezione di esercizi di logica, secondo il mio pedestre parere. Secondo me il matematico non può accontentarsi di teoremi di esistenza puramente logici che non offrono una costruzione dell'oggetto di cui si suppone l'esistenza.
Cerco di spiegarmi. Il teorema di Lagrange sul valore intermedio ci dice che
$(f(b)-f(a))/(b-a) = f'(\eta)$ sotto certe ipotesi.
Bene, il teorema ci informa che esiste questo numero $\eta$, ma non ci dice come trovarlo: è un teorema di logica. Paradossalmente, la versione geometrica di questo teorema è veramente matematica: tracciare la tangente alla curva $y=f(x)$ parallela alla secante e proiettare il punto di tangenza sull'asse delle $x$. Qui l'esistenza deriva da una costruzione matematica, non da un esercizio logico. Un analogo problema si verifica col teorema delle funzioni implicite, che in realtà contiene due teoremi, uno logico e uno matematico. Questo teorema dimostra l'esistenza di una funzione senza costruirla (parte logica) e quindi come calcolare la sua derivata (parte matematica).
Ci tengo a precisare che non sto dicendo che i teoremi di esistenza logici non sono accettabili. Vanno benissimo. Purché non se ne abusi e ci si renda ben conto che la matematica è un'altra cosa.
Rimando a un altro messaggio (forse...) di commentare quanto sopra perche' la questione mi pare ASSAI profonda (rapporti tra "matematica" e "realta'") che probabilmente e' il
"nocciolo duro" del nostro confronto - ma ho bisogno di piu' tempo e per ora mi limito a sollevare delle "questioni formali" (che pero' sono importanti, almeno per me).
Sidereus ha scritto:Quanto alla questione della notazione $dx$, la considero un sinonimo di successione $a_n$ tendente a 0.
Purtroppo per come ragiono io questa tua affermazione significa che $\int_0^1x^2 dx$ si puo' scrivere $\int_0^1x^2 " successione" a_n "tendente a 0$
Sidereus ha scritto:Nell'integrale essa segnala la contrazione a zero delle $\Deltax_n$ che scriviamo nelle somme di Riemann, nella matematica applicata segnala la stessa cosa e in più la coerenza con le unità di misura, nella derivata segnala il differenziale della variabile dipendente rapportato al differenziale della variabile indipendente, poi c'è la coerenza con la teoria della misura.... insomma ho elencato almeno quattro buone ragioni per tenerselo.
...segnala ...segnala ... Ma cosa DENOTA ?- per me questo discorso (su cui sono sostanzialmente d'accordo, fino a prova contraria da parte dell'analisi non standard)
significa che $dx$ non ha un significato individuale fuori dal segno di integrale - il fatto che quel simbolo ricordi che l'integrale viene
immaginato una "somma infinita di quantita' infinitesime" non significa che siamo riusciti a definire le quantita' infinitesime e la loro somma infinita - abbiamo solo definito l'integrale !!!
Se poi questo ci basta - bene! Se invece vogliamo dargli senso individuale dobbiamo dare delle definizioni e confrontarci su quelle. Se tu mi parli di cosa "rappresenta" l'integrale io
mi taccio non avendo (ne' avendolo mai avuto dall'inizio) altro da dire.
Se invece mi parli di cosa l'integrale E' (e qui parlo in gergo matematico ...) allora mi devi dare delle definizioni su cui possiamo confrontarci.
Se mi dici che e' "opportuno" mantenere il simbolo $dx$ nell'integrale, in virtu' dell'idea che ha portato all nozione di integrale a me sta bene - infatti non sono per l'abolizione del dx (purche' la notazione abbia una sua coerenza - a me sembra sbagliato scrivere $\int_E f dx$).
Se invece dici che $dx$ " e' necessario", perche' togliendolo si toglie qualcosa - allora mi devi definire cosa si toglie, un numero?, un infinitesimo? una forma lineare?$
Sidereus ha scritto:Infine, mi chiedi se considerare successioni che tendono a 0 non sia la stessa cosa del limite. Lo è. Ma anche l'assioma dell'estremo superiore, quello che distingue i numeri reali dai razionali, che altro è, se non un limite mascherato?
Inoltre, accettare l'assioma dell'estremo superiore significa accettare l'esistenza degli infinitesimi.
Perche' mi dici quanto sopra? Pensi forse che io neghi l'esistenza del limite o degli infinitesimi. Allora dovrei rassegnare le dimissioni... Gli infinitesimi tradizionali sono per l'appunto
le successioni o le funzioni che tendono a zero (definite mediante il limite, definito a sua volta con $\epsilon$ e $\delta$) . Ti faccio peraltro notare che pensare che tutti gli infinitesimi
"pari sono" non va sempre bene - pensa alle forme indeterminate (ma questo e' un altro fronte).
Il problema di cui credevo stessimo parlando e' se (a) c'e' un'altra nozione di infinitesimo che prescinda dagli $\epsilon$ e $\delta$ (b) se tale nozione oppure quella tradizionale di infinitesimo abbiano un qualche ruolo nel dare "un'identita' " al simbolo $dx$
Sidereus ha scritto:Sia $A$ un insieme di numeri reali non vuoto e superiormente limitato. Allora esiste $"sup"A$.
Sia $\epsilon_1$ un numero positivo arbitrario; allora esiste un $a_1 \in A$ tale che $"sup"A-\epsilon_1<a_1<="sup"A$
Sia $\epsilon_2<\epsilon_1$ un numero positivo arbitrario; allora esiste un $a_2 \in A$ tale che $"sup"A-\epsilon_2<a_2<="sup"A$
..................................
Iterando questo processo risulta che $\epsilon_n$ è un infinitesimo, che $"sup"A-a_n$ è un altro infinitesimo e che $a_n$ è una classe di numeri infinitamente vicini a $"sup"A$.
Hai mostrato che l'estremo superiore e' limite di una successione di punti di $A$ cosa perfettamente corretta. Ma ti ripeto che non ho mai messo in dubbio l'esistenza deli infinitesimi.
Sidereus ha scritto:Ricordiamo la definizione di infinitesimo (positivo) di Robinson:
un "numero" (?) $\epsilon$ tale che $0<\epsilon < 1/n$ per ogni $n \in NN$
Allora $\epsilon=1/(n+1)$ è un infinitesimo o no?
Qui pero' ci vuole chiarezza su cosa vogliono dire le parole. Prima di tutto $\epsilon=1/(n+1)$ non e' un infinitesimo - assegnato $n$ e' un numero diverso da zero!!!
Ma tu evidentemente intendi la successione $(1/n)$. In questo caso la successione e' un infinitesimo in senso tradizionale, per dire se e' un infinitesimo nel senso di Robinson
(spettro che aleggiava sul nostro discorso) bisogna sapere cosa sono gli infinitesimi di Robinson. A questo punto devo dire che non conosco rigorosamente l'approccio
di Robinson (se avro tempo provero' a farmene un' idea dato che mi sto interessando di logica) - pero' ho letto due formulazioni che mi vengono dette equivalenti da esperti
del mio dipartimento. Comunque se sbaglio correggetemi. Una formulazione e' quella che ho indicato precedentemente, contenuta in
http://www-1.unipv.it/webphilos_lab/dos ... rreali.pdf
in cui si definiscono gli ipereali mediante le successioni di numeri reali modulo un'opportuna relazione di equivalenza (in cui si usano gli ultrafiltri) e un 'altra nel libro di testo
(per un corso di calculus!) reperibile in rete a
http://www.math.wisc.edu/~keisler/calc.html.
Il primo approccio e' piuttosto intutivo (secondo me, una volta mandati giu' gli ultrafiltri) utile a far capire e non ho capito perche' non e' piu' pubblicizzato, il secondo parte da
un'impostazione assiomatica. Il fatto comunque e' che gli infinitesimi dell'analisi non standard SONO NUMERI non successioni - sono punti di una retta reale piu' grossa della
retta reale standard, in cui non vale il principio di Archimede e in cui esistono numeri diversi da zero che sono minori di $1/n$ per ogni $n$. I discorsi che ho letto nel Keisler propongono come "intuitiva" la nozione di tale retta nonstandard (facendo dei bei disegnini in cui ogni punto viene analizato al miscroscopio) e forniscono degli assiomi per
usare tali numeri, nello stesso modo in cui si presentano nella maggior parte dei casi i reali come punti della retta, e manipolabili mediante un certo numero di assiomi.
Tornando alla domanda se $(1/n)$ sia un infinitesimo io direi che intanto e' una questione di scrittura perche' anche negli iperreali esiste la successione $(1/n)$, che e'
una successione e non un mumero. Poi pero', visto nella prima formulazione ( e probabilmente ci sara' un modo di farlo anche nella seconda, ma non ho letto tutto il libro)
$(1/n)$ e' il rappresentante di un numero iperreale $[(1/n)]$ che, seguendo la nomenclatura nonstandard, e' infinitamente vicino a zero. cioe' e' strettamente compreso
tra $0$ e qualunque numero reali strettamente positivo. Oltre a lui ce ne sono infiniti altri: $[(1/n^\alpha)]$ per ogni $\alpha>0$ reale che sono tutti diversi. Ribadisco che
l'idea e' che gli infinitesimi non sono successioni ma punti "ben fermi" proprio cone $1$ e $2$.
Non so se questo approccio risponda a quelle che io chiamo "le intuizioni dei fisici" o il loro "modo di procedere" - come ho detto dovrei studiarmi un po' di fisica.
Pero' questo e' un modo formale di dare una nozione di infinitesimo per cui si puo' dividere, che puo' darsi corrisponda al modo di pensare dei matematetici "pre-rigorosi"
(per i quali tanto di cappello) . Con questo formalismo la formula $f'(x)=\frac{f(x+dx)-f(x)}{dx}$ va pensata come l'affermazione che la funzione scritta a destra risulta
essere costante (avere parte standard costante) al variare di $dx$ tra tutti gli infiniti numeri infinitesimi (qui $dx$ e' semplicemente un nome, che potrebbe benissimo
essere $h$ o qualunque altro). Non ho trovato se ci sia una definizione di integrale come somma di infiniti infinitesimi (??)
Sidereus ha scritto:Salute
Salute a te - ho impiiiiegato varie ore a scrivere quanto sopra - alla prossima (se ne avrai voglia)