giuliofis ha scritto:Per quanto riguarda i dottorati:
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gugo82 ha scritto:Ho un dottorato di ricerca, sono pagato quanto un laureato e non ho un posto in cui lavorare (se si escludono le 15 ore in cui faccio lezione, il resto va fatto a casa con una bimba piccola che fa la bimba piccola).
Però che tu abbia un dottorato è irrilevante se fai un lavoro da laureato...
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Ah, questa mi mancava... Dai la colpa a me che ho scelto un lavoro non rispettante il mio livello di preparazione. Bello, davvero. Grazie.
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gugo82 ha scritto:Mia moglie lavora in azienda, ha il dottorato di ricerca ed è pagata meno di colleghi (certo più anziani) con il diploma.
Anche qui, dipende che lavoro fai...
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Lavora in un Centro Ricerca e non fa certo la segretaria (o qualche altro lavoro da laureata... Ma santoiddio, che ç@%%@7@ hai scritto sopra?!?!).
giuliofis ha scritto:Il problema dei dottori di ricerca è quello che dice Gabriella:
gabriella127 ha scritto:Qui i dottori di ricerca sono trattati male, si sa. Un mio amico, Phd in fisica matematica, anni di ricerca in Inghilterra, qui niente, le aziende lo schifavano (spesso non vogliono i dottori di ricerca perché la loro preparazione è sovradimensionata al ruolo che offrono)
Il problema dei dottori di ricerca è che servono se c'è qualcuno -in qualsiasi ambito- che si prende la briga di fare ricerca, i.e. di innovare.
Ma il nostro tessuto produttivo (privato e statale
1) sotto questo punto di vista è abbastanza refrattario. Probabilmente perché la gran parte di imprenditori e dei gestori non ha i titoli culturali e l'intelligenza per comprendere cosa sia meglio fare e quando.
giuliofis ha scritto:gugo82 ha scritto:Il problema è che c'è un'ampia fetta di docenti che fa parte di una generazione che non riesce a fare i conti con la modernità. Gente che si oppone a tutto ciò che non collima col proprio modello di scuola, che è quello che loro hanno vissuto 40 anni fa e -consciamente o meno- ripropongono in maniera inalterata oggi...
Questa è sicuramente una parte del problema (a cui si aggiungono Indicazioni Nazionali e Linee Guida che sono state emanate nel 2010, ma sembrano emanate nel 1910).
Spezzo una lancia in favore delle Indicazioni e del discorso sulle competenze.
Lette dal punto di vista di un dottore di ricerca, entrambe gridano "vogliamo che i ragazzi siano in grado di fare ricerca -nel loro piccolo- in autonomia alla fine della scuola"... E questo è corretto e splendido, solo che è completamente starato rispetto al contesto, rispetto alla mentalità della maggior parte dei docenti (che non hanno idea di cosa significhi fare ricerca, quindi non sa cosa farsene delle IN e delle competenze) e della maggior parte degli imprenditori (che non ha idea di cosa serva fare ricerca).
giuliofis ha scritto:Ma il promuovere tutti, anche chi ha gravi insufficienze nelle materie d'indirizzo, credo proprio che peggiori ulteriormente le cose. Studiare non solo non piace, ma nemmeno serve più ad evitare di perdere l'anno: quindi perché farlo senza la spinta di cui scrivi dopo (e che riporto)?
gugo82 ha scritto:Ha funzionato perché ai loro genitori ed alle loro famiglie importava qualcosa -anche se non sempre sapevano bene come e perché- della loro istruzione ed avevano possibilità di farli studiare. Ha funzionato per la paura di un brutto voto, che comportava il lisciabusso di papà e la perculata dal cugino bravo a scuola. Ha funzionato perché non c'erano altri canali che offrivano alcun tipo di formazione. Etc...
Ecco: a che serve studiare?
Alla fine si gira sempre attorno a questa questione qui... Quello che stai velatamente proponendo è che se noi bocciassimo di più, puff! Magia! Gli studenti tornerebbero a studiare.
Quindi studierebbero per non essere bocciati, continuando a non assegnare alcun senso a ciò che studiano, cioè evadendo dal problema e diventando la copia spiccicata di quella generazione (quella dei boomers, precedente alla mia) che sta portando tutto a catafascio.
Bella soluzione, complimenti.
Credo che questo modo di pensare risalga a molto prima del 1910... Direi alla
Restaurazione, così a occhio.
giuliofis ha scritto:gabriella127 ha scritto:Come possono ragazzi di famiglie modeste capire il 'valore dello studio' se sanno che non potranno nemmeno permettersi l'iuniversità, e il loro diploma probabilmente non servirà a niente?
Certo, c'è il valore astratto, culturale, ma non si può pretendere che i ragazzini vivano tutti sull'empireo della Cultura.
E come ci siamo arrivati alla vuotezza di significato del diploma? Come ho già scritto, credo anche (ovviamente non solo) promuovendo chi non dovrebbe essere promosso, consegnandogli un diploma davvero inutile.
Io adesso ne ho uno in quinta che non capisco come possano avercelo portato: non sa nulla di nulla, lo sto portando avanti a suon di 2 e non fa nulla, né a casa né a scuola, viene un giorno sì e uno no, salta compiti di continuo, e così mi disse il suo precedente docente faceva pure negli anni passati. Davvero gli hanno fatto del bene a mandarlo avanti? A me, sinceramente, non sembra.
Prova a porti queste domande: perché ora il diploma ti sembra privo di significato? E come la pensavi quando eri tu uno studente? E cosa pensi pensassero di te (generazionalmente parlando) e del tuo diploma i tuoi decenti?
Inoltre
2, cosa fai tu per assegnare un significato (culturale, ovviamente) al diploma? Quello che fai per assegnargli un significato è condiviso dai tuoi colleghi? E quello che fai lo comunichi ai tuoi studenti? Ed alle famiglie? E loro cosa ne pensano?
Sono sempre stato, e mi ritengo ancora un dilettante. Cioè una persona che si diletta, che cerca sempre di provare piacere e di regalare il piacere agli altri, che scopre ogni volta quello che fa come se fosse la prima volta. (Freak Antoni)