Discutere un teorema di matematica in Inglese, commentare un brano di Leopardi con un impeccabile accento da lord, o magari spiegare le cause della Rivoluzione Francese usando la lingua della Regina Elisabetta. Tutto questo potrebbe diventare realtà, a partire da settembre, per molti studenti italiani.

L’anno scolastico 2014-2015, infatti, segnerà l’introduzione dell’insegnamento in lingua straniera di una materia non linguistica nell’ultimo anno di scuola superiore, come previsto dalla riforma Gelmini, che verrà attuata a partire dall’autunno in ogni singola parte.

Le materie che potranno essere insegnate in inglese saranno quelle di base nei licei (anche se la novità verrà estesa a tutte le scuole): italiano, matematica, storia, filosofia, geografia e storia dell’arte. Il metodo d’insegnamento che verrà usato si chiama Clil, content and language integrated learning, un sistema che dalla metà degli anni sessanta è stato sperimentato in Canada e poi è stato usato in altri Paesi.

Secondo le indicazioni del MIUR, in base agli insegnanti disponibili, ogni singola scuola potrà scegliere quale materia insegnare anche in inglese, attenendosi alla regola generale secondo la quale almeno il 50% delle ore di quella materia dovrà essere svolta in inglese.

I maturandi del 2015, quindi, potrebbero doversi confrontare con l’inglese, tanto agli scritti, quanto agli orali degli esami del prossimo giugno. Ogni consiglio di classe potrà stabilire se inserire domande in lingua tra i quesiti della terza prova scritta e durante il colloquio potrebbe esserci un docente a fare una domanda in inglese ai candidati, per comprendere il livello di competenza acquisito durante l’anno.

Se questa novità sembra entusiasmare tutti coloro che sperano da sempre nell’internazionalizzazione della scuola italiana, il tasto dolente è rappresentato proprio dalla carenza di insegnanti abilitati per l’insegnamento in lingua secondo il metodo Clil. Nonostante negli ultimi anni siano stati organizzati dal Miur numerosi corsi per formare gli insegnanti, e nonostante l’insegnamento in inglese sia stato avviato in alcune scuole in via sperimentale, il livello d’inglese richiesto dalla metodologia Clil non incontra le competenze di tutti gli insegnanti italiani. Il Miur, dal canto suo, non potendo garantire i fondi necessari per finanziare consulenti esterni per tutte le scuole, invita utopisticamente gli istituti ad avvalersi dei fondi di istituto – spesso ridotti all’osso – per aiutare l’insegnante e attuare le disposizioni imposte dal testo Gelmini.

L’introduzione in sordina dell’insegnamento in doppia lingua potrebbe servire come fase di rodaggio per un progetto che potrebbe davvero rappresentare un mattoncino per la rinascita della scuola italiana.

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