Prima di Natale il Miur attraverso una circolare ha comunicato ai presidi italiani la possibilità di dividere le classi in livelli, in base alle competenze raggiunte dagli studenti nelle singole materie.
Torna il vecchio modello che in epoche di didattica poco felice spaccava le classi in due, portando in trionfo i bravi, e cospargendo il capo di cenere e di vergogna dei meno bravi o, come si chiamavano un tempo, gli asini. Ma questa nuova riorganizzazione delle classi può davvero giovare in un momento in cui l’integrazione e l’apertura alla diversità diventano valori indispensabili?
Le classi di livello e l’idea che i bravi devono stare con i bravi e gli scarsi con gli scarsi, ispirate al modello anglosassone, non convincono tutti. Scegliere la competitività come leva per l’apprendimento potrebbe avere conseguenze decisamente negative sulla personalità degli studenti più piccoli. Anche perchè uno studente portato per la matematica che si mette a disposizione di chi ne sa meno di lui non crea un rapporto umano valido e solidale con l’altro ragazzo, ma cresce con lui. Secondo recenti ricerche sul sistema inglese, inoltre, la formazione di classi eterogenee non è solo più giusta ma anche più efficace.
Sul fronte opposto c’è chi invece vuole puntare l’attenzione su un altro aspetto delle classi a livelli. Nel sistema inglese lo stesso bambino può rientrare fra i più talentuosi in una materia e essere fra gli ultimi in un’altra. La suddivisione per merito, così, diventa strumento di integrazione perché serve agli insegnanti per tarare le lezioni non sulla base del programma ma dei bisogni del singolo, che dipendono appunto dal livello raggiunto. Le classi di livello quindi non escluderebbero affatto la possibilità di socializzare il sapere: chi è più avanti deve aiutare chi è più indietro.
E voi che ne pensate? Favorevoli o contrari al nuovo “scontro” tra asini e bravi?

Serena De Domenico.

Commenti

commenti