Il 12 luglio scorso è stata inaugurata, presso il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, la mostra permanente “Extreme: alla ricerca delle particelle”, progettata e realizzata in partnership con CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) e INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare).
Durante la visita, se si ha la pazienza di leggere con attenzione i pannelli, si può scoprire il mondo della ricerca nucleare, attraverso le domande che si pone, la sua evoluzione e le persone coinvolte.
Come ogni altra indagine, dalla zoologia all’antropologia, dall’archeologia alla cosmologia, l’esplorazione comincia dalle tracce, perché tracce sono quelle che lasciano le particelle negli acceleratori: “la conoscenza procede anche grazie allo studio delle tracce lasciate dagli oggetti o dagli eventi”. Le tracce delle particelle sono state artisticamente rappresentate da Davide Angheleddu con la sua “Atlas remeshed”, un’opera realizzata in digitale e stampata con una stampante 3D.
L’esordio della mostra non può lasciarci indifferenti, visto che si gioca con le analogie, stimolando la nostra curiosità e la nostra voglia di scoprire, coinvolgendoci da subito con la bellezza dell’arte.
Il pannello successivo descrive gli acceleratori del CERN, che li rende visibili su una cartina di Ginevra: abbiamo da subito un’idea di grandezza, vista l’importante circonferenza di 27 km dell’LHC (Large Hadron Collider), ma non possiamo dimenticare l’estrema precisione necessaria per svolgere gli esperimenti sulle particelle.
Un’animazione ben curata ci permette di capire come vengano accelerate le particelle e, soprattutto, come vengano immesse nel circuito con versi opposti, in modo che si possa giungere allo scontro. Le velocità sono prossime a quelle della luce e gli schemi dell’interno degli acceleratori ci permettono di capire quale sia il miracolo elettromagnetico nascosto dietro simili scontri. Sull’altro lato, la stessa attenzione nella descrizione è dedicata ai Laboratori del Gran Sasso: isolati 1,4 km sotto terra sono, al tempo stesso, ancorati solidamente al passato, con i lingotti di piombo di 2000 anni fa, che con la loro purezza riescono a schermare ulteriormente gli apparati di ricerca.
I cento anni di storia che sono stati rappresentati sui pannelli, con fotografie d’epoca e accurate descrizioni, ci permettono di incontrare i grandi personaggi e gli eventi che hanno reso possibile questa spettacolare ricerca. Non si può non restare colpiti dalla foto del carro trainato da un cavallo, sul quale c’è il cavo di rame di uno dei primi ciclotroni degli anni ’60 o dalla foto ricordo per il completamento del tunnel dell’SPS (Super Proton Synchrotron) nel 1974, con gli operai ammassati ma felici per l’impresa appena realizzata. Dal World Wide Web, nato al Cern sul finire degli anni ’80, fino alle indagini diagnostiche come la PET, il mondo attorno a noi è impregnato dei risultati che la Big Science del CERN e dell’INFN ha reso possibili, eppure non ne siamo consapevoli fino in fondo: ecco perché la mostra dedica una parte anche agli “acceleratori in società”.
Gli scatti del fotografo Andri Pol hanno creato un ritratto davvero intrigante ed irriverente di questo mondo della ricerca: abbiamo l’occasione di vedere i ricercatori nella loro quotidianità, perché la mostra “Inside Cern” ci guida nei luoghi dei ricercatori, nei loro studi, stupendoci con le diverse nazionalità presenti al Centro, con l’ampia fascia di età dei ricercatori e, in particolare, ci fa sognare, facendoci percepire il fascino di discutere, davanti a un caffè, di neutrini e quark.
Dopo le meravigliose immagini del Cern, viene data voce ai professionisti dei Laboratori del Gran Sasso: ogni ricercatore intervistato, dal fisico teorico al costruttore, mette in luce un aspetto diverso di cosa significhi fare ricerca. Possiamo, ad esempio, percepire lo stupore di Oscar, tecnico degli esperimenti o “piccolo artigiano”, come si definisce lui, e l’amore per l’estetica di Stefano, perché “nel lavoro teorico i principi estetici forniscono una motivazione concettuale, ma hanno anche una funzione pratica”.
All’interno del percorso troviamo quattro installazioni interattive: Creative collisions è sicuramente quella più amata dai bambini, che, attraverso la cooperazione, devono riuscire a far scontrare delle particelle. Sperimentano quindi la difficoltà di intuire dove avverrà lo scontro, vivono in prima persona la fatica e lo stimolo della collaborazione e, al tempo stesso, scoprono che gli scontri che avvengono negli acceleratori non funzionano come nella nostra quotidianità, ma generano qualcosa di inaspettato, quasi magico.
Con l’installazione Extra-dimensioni possiamo cogliere il nostro essere fatti di particelle, mentre scompariamo nello spazio che ci circonda o diventiamo parte della mostra.
Il Juke-box delle particelle ci regala melodie inaspettate: durante la visita, le particelle scelte dagli altri visitatori hanno accompagnato il nostro percorso con le canzoni ad esse associate, mentre, scegliendo le particelle, il visitatore ne apprende la storia, il percorso e i nomi dei fisici coinvolti.
L’ultima installazione (o la prima, a seconda di come scegliete di percorrere la mostra) è quella in cui avrete occasione di “toccare” la materia oscura. Questo è forse anche un modo di toccare con mano la propria ignoranza, perché “la materia che conosciamo costituisce meno di un quinto della quantità totale di materia dell’universo”: possiamo stare tranquilli, il fascino della scoperta avrà modo di accompagnare le nostre esistenze per molto tempo ancora.
http://www.museoscienza.org/extreme/

Daniela Molinari

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