dopotutto, Padova non è così male. Avendo avuto tu esperienza diretta e non mi sembra che la denigri.
La vedo coi suoi pregi e difetti, dopo esserci nato, cresciuto e conoscere per nome tutti gli spaccini dell'Arcella, oltreché le pieghe più segrete di torre archimede.
Diciamo così: è una delle università migliori dove studiare un certo tipo di matematica, ma questo non va a suo merito, quanto semmai a demerito del resto d'Italia. Negli anni, ha certamente cambiato volto -quando adesso torno, non riconosco più nessuno, e loro non riconoscono me. Di quelli che hanno insegnato a me alcuni sono morti, la maggior parte è in pensione; di quelli che ci sono adesso alcuni li conosco di persona, ci ho studiato insieme, o cercava l'ennesimo postdoc mentre io mi laureavo, o è direttamente il mio vicino d'ufficio in uno degli innumerevoli miei. Come diceva Vonnegut "il vero terrore si prova nell'alzarsi una mattina e rendersi conto che la gente con cui andavi a scuola ora governa la nazione".
Ti ci troveresti bene? Non lo so, dipende dal tuo carattere, dalla fortuna, dall'allineamento del giusto corpo docente e dei giusti compagni di classe.
E' una città provinciale, che si è chiusa molto in sé stessa negli anni 2010-2020, e solo adesso si sta riprendendo un po', molto lentamente. Però, resta di incrollabile fede democristiana, diffidente verso gli stranieri e verso i poveri (non la classe media povera, almeno non finché va a messa: intendo diffidente verso gli sfrattati, gli ultimi e i fuori casta). I luoghi di aggregazione non esistono più; l'aria è irrespirabile (intendo proprio: è inquinata da fare schifo). Ha anche un modo particolare di insegnare la matematica, fatto di rituali, di un idioletto tutto particolare che altre università anonime non possiedono, perché non hanno la stessa eredità storica. E' un luogo ingombrante dove crescere e studiare, che dà molto -a chi se lo prende, un po' con la forza.
In questo, secondo me somiglia un po', molto alla lontana, a Pisa, dove non a caso ho molti amici della mia generazione, ed è sempre stato, per il poco che l'ho visitata, un posto dove ho avuto modo di sentirmi a casa nel mio disagio e nelle mie idiosincrasie; ma Pisa ha la vicinanza della Normale ad amplificare tutto, a rendere tutto un po' più metafisico ed estremo (Sciascia diceva: "la Sicilia è Italia due volte"; ecco, qualcosa di simile succede a Pisa secondo me, è difficile spiegare cosa sia a chi non l'ha vissuto).
In sintesi: il codice condiviso del corpo docente è che per fare matematica di livello devi essere un certo tipo di persona, o avere un certo senso della priorità nella vita, o un certo tipo specifico di neurodivergenza. Se ce l'hai, Padova o Pisa, pur in modi diversi, pur con rituali diversi, con mitologie diverse, lo validano e lo fomentano. Ciò porta a fenomeni tipo "ah, sì, lui è [expunged], vive in dipartimento". E significa proprio che il dudo in questione
dorme lì stendendosi tra due sedie in un'aula studenti e lo trovi a lavarsi i denti nei bagni alle sette e mezza del mattino. Per quanto sia di livello la formazione matematica che ricevi a Trento, Firenze, Genova eccetera, lì queste cose non succedono. Manca l'opportunità logistica, il buco legislativo, ma questi sono dettagli congiunturali -quello che Trento, Firenze, eccetera non hanno è una attività mitopoietica durata diverse generazioni che
costruisce la leggenda del matematico scorrelato dalla dimensione terrena, che vede l'avere un corpo e dei bisogni come una fastidiosa distrazione, e soprattutto che non vuole fare altro che matematica; non socializzare, non curare l'aspetto, non essere agreeable col prossimo: vuole fare matematica, e basta. Queste cose cambiano il carattere e ti rendono un certo tipo di persona, prima, e un certo tipo di matematico, quasi riconoscibile dall'andatura, in un secondo momento.
Se invece questo spirito indomito non ce l'hai, ti viene fatto crescere (per peer pressure o per semplice eredità culturale: "si fa così"), oppure ti viene fatto capire che fare matematica (che è diverso da
studiare matematica: ma ti viene anche inculcata l'idea, che io ho fatto mia con bruciante estremismo, che non c'è altro motivo per studiare matematica, se non farla), probabilmente, non ti si addice.
Il senso della lezione, impartita così, è darwiniano: la matematica è una disciplina "onesta", tutte le nozioni sono dischiuse davanti a te, a breve distanza dal tuo braccio, ma non è facile appropriartene, perché non è possibile per il docente sostituirsi al discente nel fare fatica, nel digerire le nozioni, nel "patirle nella carne", come ho amato dire in passato. La fatica fatta per apprendere
coincide con l'apprendimento; l'unica maestra è la sofferenza, la frustrazione del non capire per poi, a un certo punto, far breccia. Avere, invece, la risposta pronta, deleterio. Per fare un paragone, l'atletica, la padronanza di uno strumento musicale, o di una lingua, sono imbevute di un simile principio pedagogico.
In sintesi: la matematica come corpo di conoscenze scisso da qualsiasi incarnazione concreta è accessibile a tutti, perché è un insieme oggettivo e relativamente codificato di nozioni che è sufficiente l'impegno e il metodo a organizzare gerarchicamente. Ci sono i libri, studi i libri, fai gli esercizi. Ma una parte consistente del mestiere è frequentare la comunità e acquisirne i codici comunicativi (direi: purtroppo. E' un aspetto del mestiere che a me pesa molto). E una religione è il gruppo dei fedeli e dei sacerdoti, molto più della chiesa che li accoglie, e quindi è inevitabile, per "diventare un matematico" introiettare le idiosincrasie e i tic nervosi, i pregiudizi e le superstizioni, del luogo che ti insegna le nozioni, attraverso
quei sacerdoti, non altri. Questo modifica la maniera in cui guardi alle nozioni che impari, la trasfigura. (Esempio: i geometri e gli algebristi ti sconsigliano caldamente di seguire corsi di logica, considerata matematica di second'ordine a causa di chissà quale lite tra professori ormai morti; di meschinità del genere saranno pieni i tuoi anni, e te ne renderai conto
solo se ti emancipi dall'ambiente che ti ha educato.)