Messaggioda mircoFN » 01/02/2009, 17:58

Caro Fioravante

temevo di sollevare un vespaio. Non so dire se esiste una vera definizione di dimensione (nel senso fisico). Quella che io conosco è la seguente:

In un sistema di unità di misura (riconosco decisamente arbitrario e convenzionale) comunque vengano scelte (o anche modificate) le unità di misura, il rapporto tra due quantità dimensionalmente omogenee non cambia.

Dato questo, effettivamente $1m^2=1m*1m$, basta contare...


L'unica cosa che ti posso dire è il suo effetto pratico. Una formula dimensionalmente coerente può essere usata in qualunque sistema di unità di misura.
Per sottolineare l'utilità di queste mere cose, ti ricordo di quando è stato perso un satellite artificiale (quanti Meuro??) per un problema di passaggio dalle unità metriche a quelle anglosassoni...


Scusa il terra-terra 'spaziale' :-D

ciao

PS1
Per quanto riguarda la mia impressione sullo scarso interesse dei matematici per le dimensioni, mi riferivo per esempio a certe definizioni di distanza in analisi funzionale dove 'tranquillamente' si sommano quadrati di funzioni a quadrati di derivate.... In questi casi in una applicazione numerica (dove necessariamente non si arriva mai al limite) sarebbe interessante vedere l'effetto di un cambiamento di unità di misura della $x$ sul risultato ...


PS2: scusa ma a cosa ti riferivi per 'tool disponibili'?
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Messaggioda Sidereus » 01/02/2009, 20:14

@Fioravante Patrone
Leggendo questo thread, non avevo ben capito la questione urang-utang... poi sono andato a leggere la tua dispensa, e sto ancora ridendo :-D :-D :-D
In effetti, non è possibile fare uso di tale metodologia con l'impostazione dell'analisi che c'è oggi. Con l'impostazione alla Weierstrass fatta con limiti, epsilon-delta e derivate, i differenziali non sono manipolabili algebricamente e le argomentazioni geometriche non sono accettabili.
Il metodo urang-utang ha un senso soltanto se si imposta il calcolo differenziale sugli infinitesimi, senza il concetto di limite.
E' possibile farlo anche senza i numeri iperreali, secondo me. In un altro thread avevo postato questa risposta

mysterium ha scritto:...Nel 1966 Robinson ha ripreso il concetto di infinitesimo in questo modo:

chiamasi infinitesimo un numero dx tale che per ogni N naturale si ha che 0 minoredi dx minoredi 1/N.

Dicesi numero iperreale la somma di un numero reale (detto parte standard) e di un infinitesimo.


A mio modo di vedere, non c'è ragione di pensare agli infinitesimi come dei numeri.
Un infinitesimo, denotabile con $\epsilon$ oppure con $\Delta x$, è semplicemente una variabile che può essere sostituita con una qualsiasi successione infinitesima.
L'unico sforzo necessario è capire la definizione di successione infinitesima (positiva): una funzione $\epsilon_n$, definita sui numeri naturali, che assume definitivamente valori minori di qualunque numero positivo a (definitivamente significa per tutti gli indici n maggiori di un certo numero N che dipende dalla scelta di a).
A questo punto è semplicissimo mostrare decine di esempi di infinitesimi (sia positivi che negativi). Si può anche completare l'insieme degli infinitesimi aggiungendo lo 0, inteso come la successione $0_n = 0$ per ogni n. Si fa vedere facilmente che somme, differenze e prodotti di infinitesimi producono infinitesimi.
Il quoziente di due infinitesimi $\epsilon / \eta$ , con $\eta$ diverso da 0, può produrre invece uno dei tre risultati seguenti:
1) un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ è di ordine superiore a $\eta$
2) un numero reale non nullo + un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ sono dello stesso ordine
3) un infinito (cioè il reciproco $1/\omega$ di un infinitesimo $\omega$, e allora si dice che $\eta$ è di ordine superiore a $\epsilon$

Il problema nell'uso degli infinitesimi alla maniera di Leibniz non sta tanto nel darne una definizione, quanto piuttosto nel giustificare una regola di "cancellazione" come questa:
$a + sin(\Deltax) = a+\Deltax = a + 0 = a$
A mio avviso, si tratta di un problema di semantica dei simboli (in assenza del concetto di limite).
Se stiamo interpretando i simboli qui sopra come successioni di numeri reali, allora non è giustificata nessuna cancellazione, perché le uguaglianze nemmeno sussistono.
Se invece i simboli qui sopra vogliono rappresentare due successioni che appartengono a una stessa classe di equivalenza, allora usare l'una o l'altra è indifferente. In tal caso l'uguaglianza va interpretata come un'equivalenza, e la regola di cancellazione è valida.
Non mi pare che sia necessario definire una classe di numeri iperreali per ottenere la stessa cosa.

p.s. Non userei la notazione $dx$ prima di aver introdotto la definizione di differenziale di una funzione.
Se si vuole essere coerenti con l'impostazione di Leibniz, allora si deve fondare il calcolo sul concetto di differenziale, e non di derivata (che da esso deriva, appunto)
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Messaggioda ViciousGoblin » 01/02/2009, 21:39

@Sidereus
Sono molto incuriosito da quanto dici, ma devo dire che "non ci capisco nulla". Ricordo che piu' di trent'anni, quando studente liceale mi ero messo a leggere per curiosita' dei libri
universitari (allora volevo studiare ingegneria elettronica) non riuscivo in nessun modo a capire questi differenziali. Poi all'universita' mi hanno presentato i differenziali come applicazioni lineari - ma mentre mi ritrovo con $df(x_0)$ intesa come (in una variabile) $x\mapsto f'(x_0)x$ non ho mai capito "formalmente" l'utilita' del simbolo $dx$. Parallelamente ho capito l'uso del $dx$ fatto dai fisici - che io mi traduco come uno "schema approssimante", ma non ho mai trovato un approccio matematico convincente che "spiegasse l'uso" che si fa del $dx$
(e a livello di uso sono anch'io convinto che sia comodo - motivo di piu' perche' mi faccia rabbia non trovare un modo di capirlo).
Ho anche chiacchierato con un collega esperto in analisi non standard e capisco il fascino di usare gli infinitesimi come numeri - per farlo pero', mi pare di aver capito, si entra in questioni sottili (come mettere delle misure sull'insieme delle successioni). Quindi continuo a non essere soddisfatto.

Venendo a quanto scrivi ti elenco alcuni punti per me oscuri - insisto sul fatto che non sono mosso da spirito di critica ma da curiosita' di capire.

"Un infinitesimo, denotabile con ε oppure con Δx, è semplicemente una variabile che può essere sostituita con una qualsiasi successione infinitesima"

cosa intendi per variabile? Non mi pare che si tratti di un ente matematico, quanto di un elemento del linguaggio (a meno che non si parli di logica) - dico questo in modo naive
senza grossi background storico/filosofici. Forse (leggo il tuo post mentre scrivo) tu pensi agli infinitesimi come a tutte le successioni che tendono a zero ? Cioe' ogni successione infinitesima e' un oggetto diverso?
Come punto di partenza mi fa pensare alll'analisi non standard (per come mi e' stata spiegata - sempre che ricordi bene) solo che poi si introduceva una relazione di equivalenza (??) per trattare gli infinitesimi come numeri - e d'altra parte se non sono numeri che te ne fai ?? (comunque andro' a vederemi meglio le definizioni dell'analisi non standard)

Altro punto - oltre ai casi 1) 2) e 3) c'e' la possibilita' che il quoziente non abbia limite (che da un punto di vista "probabilistico" e' il piu' frequente) e credo che questa sia uno
dei motivi che rendono piuttosto tecnico un approccio rigoroso all'analisi non standard. Quindi puo' capitare che quoziente di infinitesimi non sia riconducibile a quanto dici
tu - o sbaglio?

Non capisco poi cosa intendi con "problema di semantica dei simboli" o forse, leggendo meglio, non capisco cosa intendi dopo - di quale relazione di equivalenza stai parlando?
non mi pare che tu ne abbia fatto menzione prima (forse questo e' il nocciolo della questione ... in effetti l'idea di una relazione di equivalenza tra le successioni e' un'idea sensata, ma temo, come dicevo prima, piena di insidie)

Alla fin fine poi, vorrei chiederti, cosa rappresenta per te quel $dx$ messo nell'integrale o anche nel simbolo ${df}/{dx}$? come me lo spiegheresti se venissi a chiedertelo da "ingenuo studentello" - cosa che purtroppo non sono piu'...?

EDIT dopo l'invio del messaggio sono andato a leggermi un po' di informazioni sull'analisi non standard e cio' che ho trovato non corrisponde a cio' che ricordavo (raccontatomi)
Penso che cio' che ricordavo sia un possibile modello di analisi non standard che mi era stato spiegato, fabbricato con le successioni e una relazione di equivalenza tra esse -
approfondiro' la questione. Scusate per le imprecisioni.
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Messaggioda Sidereus » 02/02/2009, 14:02

@ViciousGoblin
Per risponderti compiutamente dovrei scrivere un libro, ma cercherò di sintetizzare con la speranza di essere chiaro.
ViciousGoblin ha scritto:...non ho mai capito "formalmente" l'utilita' del simbolo $dx$

Non è grave. Ai tempi di Leibniz e Newton non c'erano più di 4 o 5 persone in tutto il mondo che sapessero perché serve $dx$, e quelli che lo sapevano non erano in grado di spiegarlo convincentemente.
Parallelamente ho capito l'uso del $dx$ fatto dai fisici - che io mi traduco come uno "schema approssimante", ma non ho mai trovato un approccio matematico convincente che "spiegasse l'uso" che si fa del $dx$.

Per i fisici, $dx$ è una grandezza misurabile che sta subendo un processo di contrazione senza fine, cioè una successione che tende a zero.
Faccio un esempio.
Se a,b,c sono le dimensioni di un parallelepido, allora V=abc è il suo volume.
Se però poni $a_n=a/n, b_n=b/n, c_n=c/n$, allora $V_n=(abc)/(n^3)$ rappresenta il volume di prima quando il processo di contrazione è arrivato allo stadio n. Se immagini che n continui a numerare gli stadi del processo senza mai fermarsi, allora $V_n$ è un volume infinitesimo. I fisici scrivono $dV$ per rappresentarlo, volendo dire con questo che le dimensioni a, b, c si possono sostituire con una qualsiasi successione che tende a zero (non solo 1/n, per intendersi), e qualunque sostituzione produce risultati equivalenti: cioè che $V_n$ diventa definitivamente inferiore a qualunque volume finito $v$ piccolo a piacere. In realtà, questo è quanto dicono anche i matematici, quando definiscono le successioni infinitesime in linguaggio astratto e senza riferimenti applicativi, anche se non scrivono sempre $dx$.
Nell'integrale di Riemann, per esempio, le somme parziali superiori e inferiori non sono altro che due classi di processi di contrazione del parametro di finezza delle partizioni dell'intervallo [a,b]; $dx$ dentro l'integrale serve a ricordarci di questo fatto.
Ho anche chiacchierato con un collega esperto in analisi non standard e capisco il fascino di usare gli infinitesimi come numeri - per farlo pero', mi pare di aver capito, si entra in questioni sottili (come mettere delle misure sull'insieme delle successioni). Quindi continuo a non essere soddisfatto.

Concordo con te. L'analisi non standard è una cosa diversa da quello che ho prospettato. L'analisi non standard si basa sulla definizione (e secondo me dovrebbe anche darne una costruzione) dei numeri iperreali. Una nuova classe di numeri. E' un approccio che secondo me non semplifica nulla. Non riesco a immaginare una matricola del primo anno che discetta di ultrafiltri e di logica dei predicati del secondo ordine. A meno che non vogliamo fargli fare l'esame di Analisi 1 al 5° anno.

"Un infinitesimo, denotabile con ε oppure con Δx, è semplicemente una variabile che può essere sostituita con una qualsiasi successione infinitesima"
cosa intendi per variabile?

Una variabile reale.
Una variabile è una lettera che può essere sostituita da qualsiasi elemento di un insieme supposto noto. Dopo la sostituzione, la variabile diventa una costante. Quando scriviamo $x in RR$ vogliamo dire che la lettera x può essere sostituita con un numero reale qualsiasi. Analogamente, quando si dice "$\Deltax$ è un infinitesimo", vuol dire che $\Deltax$ può essere sostituita con una successione infinitesima qualsiasi.
Per inciso, i numeri irrazionali si possono rappresentare solo con lettere costanti (o altri simboli costanti).
Quando scriviamo $e$ non dovremmo illuderci di aver scritto un numero. Infatti $e$ non può essere scritto esplicitamente, perché è composto da un numero infinito di cifre non periodiche (in qualunque base). Idem per $pi$ o $sqrt(30)$.

Altro punto - oltre ai casi 1) 2) e 3) c'e' la possibilita' che il quoziente non abbia limite (che da un punto di vista "probabilistico" e' il piu' frequente) e credo che questa sia uno
dei motivi che rendono piuttosto tecnico un approccio rigoroso all'analisi non standard. Quindi puo' capitare che quoziente di infinitesimi non sia riconducibile a quanto dici
tu - o sbaglio?

Non sbagli affatto. Infatti, mi ero dimenticato il caso 4):
Il quoziente di due infinitesimi $\epsilon$ e $\eta$ non nullo può produrre:
1) un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ è di ordine superiore a $\eta$
2) un numero reale non nullo + un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ sono dello stesso ordine
3) un infinito (cioè il reciproco di un infinitesimo , e allora si dice che $\eta$ è di ordine superiore a $\epsilon$
4) nessuno dei casi precedenti, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ non sono confrontabili

La confrontabilità di ogni coppia di infinitesimi non è necessaria. Basta l'ordine parziale.

Alla fin fine poi, vorrei chiederti, cosa rappresenta per te quel $dx$ messo nell'integrale o anche nel simbolo ${df}/{dx}$?


Per l'integrale vedi sopra. Per ${df}/{dx}$ si tratta del quoziente di due infinitesimi dello stesso ordine, con df dipendente linearmente da dx.
Quindi ${df}/{dx} = a(x) (1/n)/(1/n) = a(x) (1/10^n)/(1/10^n) = ..............$
Occorre dare una definizione di df.
Poniamo $\Deltaf = f(x+\Deltax)-f(x)$, supponendo di aver scelto e fissato un x nel dominio di f.
Diremo che f è differenziabile in x se esiste un numero reale a(x) tale che, per ogni infinitesimo $\Deltax$, risulti
$\Deltaf = f(x+\Deltax)-f(x)=a(x) \Deltax + o(\Deltax)$.
In pratica, $\Delta f$ si spezza nella somma di una funzione lineare di $\Delta x$ e di un infinitesimo di ordine superiore a $\Deltax$. La parte lineare di $\Deltaf$ si chiama il differenziale di f in x e si denota $df=a(x) \Deltax$.
Riesci a vedere che $dx=\Delta x$, cosicché si può porre $df=a(x) dx$?
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Messaggioda Sidereus » 02/02/2009, 14:42

@ViciousGoblin
Come esempio di differenziale e derivata senza limiti, applica la definizione data qui sopra alla funzione $y=x^3$.

Allora $\Deltay=(x+\Deltax)^3-x^3=3x^2\Deltax + 3x\Deltax^2+ \Deltax^3 = 3x^2 \Deltax + o(\Deltax)$, dunque

$dy=3x^2 \Deltax$ e $(dy)/(dx)=3 x^2$
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Messaggioda mircoFN » 02/02/2009, 19:35

Sidereus ha scritto:.....
Per ${df}/{dx}$ si tratta del quoziente di due infinitesimi dello stesso ordine ...
.....


forse $df$ può anche essere infinitesimo di ordine superiore a $dx$ ....
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Messaggioda ViciousGoblin » 02/02/2009, 23:11

@Sidereus

Ho letto molto di fretta il tuo messaggio e forse dovrei pensarci un po' prima di rispondere.
Se ci riesco lo faro' domani - pero' una cosa mi colpisce leggendo i discorsi sulle variabili. Gli infinitesimi sono oggetti del linguaggio ? sono i simboli ? Io pensavo che vivessero insieme ai numeri reali (come mi pare vorrebbero gli analisti nonstandard). Se mi dici che li vedi come simboli devo ritirarmi a meditare per un po'. Se invece, come mi pare traspaia da altri punti del discorso gli infinitesimi sono le successioni infinitesime, puo' darsi che sia una buona idea, ma credo che ci siano parecchi problemi.
Comunque ci ripenso - grazie in ogni modo delle risposte.
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Messaggioda Sidereus » 03/02/2009, 10:41

mircoFN ha scritto:
Sidereus ha scritto:.....
Per ${df}/{dx}$ si tratta del quoziente di due infinitesimi dello stesso ordine ...
.....


forse $df$ può anche essere infinitesimo di ordine superiore a $dx$ ....


Giusto. Ma la definizione di differenziabilità funziona lo stesso, ponendo a(x) = 0. In tal caso risulta infatti:
$\Deltaf = f(x+\Deltax)-f(x)=o(\Deltax)=0 * \Deltax + o(\Deltax)$.
Quindi $df=0$ nel punto x. In questo caso $df$ è un infinitesimo di ordine superiore a qualunque $\Deltax$ e ${df}/{dx} = 0$

p.s. Qui sto solo facendo due chiacchiere, non riesco a scrivere proprio tutto con rigore assoluto :-D
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Messaggioda Sidereus » 03/02/2009, 11:23

ViciousGoblin ha scritto:@Sidereus

Ho letto molto di fretta il tuo messaggio e forse dovrei pensarci un po' prima di rispondere.
Se ci riesco lo faro' domani - pero' una cosa mi colpisce leggendo i discorsi sulle variabili. Gli infinitesimi sono oggetti del linguaggio ? sono i simboli ? Io pensavo che vivessero insieme ai numeri reali (come mi pare vorrebbero gli analisti nonstandard). Se mi dici che li vedi come simboli devo ritirarmi a meditare per un po'. Se invece, come mi pare traspaia da altri punti del discorso gli infinitesimi sono le successioni infinitesime, puo' darsi che sia una buona idea, ma credo che ci siano parecchi problemi.
Comunque ci ripenso - grazie in ogni modo delle risposte.


Ribadisco che gli infinitesimi sono semplicemnte successioni che tendono a zero (senza mai arrivarci). Cioè funzioni definite sui numeri naturali che diventano definitivamente piccole a piacere. Dire "infinitesimo" significa prendere una funzione $\epsilon(n)$ con $lim_{n \to \infty} \epsilon(n) = 0$, detto nel linguaggio abituale dell'analisi standard.
L'analisi non standard è diversa, perché tratta gli infinitesimi come numeri, non come funzioni su$NN$.
Tuttavia, esiste una completa analogia tra la mia proposta e l'analisi non standard.
Robinson____________________________ Sidereus
numero infinitesimo $\epsilon$.......................... successione infinitesima $\epsilon_n$
numero iperreale $x+\epsilon$.........................classe di successioni di numeri reali equivalenti a $x+\epsilon_n$
estensione non standard $f^"*"$ di $f$.......funzione composta $f(x+\epsilon_n)$
$std (x+\epsilon) = x$...................................$x+\epsilon_n$ è una successione di Cauchy equivalente a $x_n = x$ per ogni n
etc...
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Messaggioda Fioravante Patrone » 03/02/2009, 11:38

Prendo:

$x_n$ così definita:
$1/n$ per n pari
$1/n^2$ per n dispari

$y_n$ così definita:
$1/n^2$ per n pari
$1/n$ per n dispari

$x_n / y_n$ viene:
$n$ per n pari
$1/n$ per n dispari

Quindi non ho "niente", nel senso che la successione che trovo non è né infinitesima né infinita.
Invece, il quoziente fra due numeri "normali" o "infinitesimi" che siano, mi pare si possa sempre fare, nell'analisi non standard (denominatore diverso da zero, naturalmente).

Mi sa che l'analogia tra Robinson e Sidereus richieda qualche sistematina :P
Forse gli ultrafiltri (cfr. Hurd e Loeb) non possono essere scansati così facilmente.
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