@ViciousGoblin
Per risponderti compiutamente dovrei scrivere un libro, ma cercherò di sintetizzare con la speranza di essere chiaro.
ViciousGoblin ha scritto:...non ho mai capito "formalmente" l'utilita' del simbolo $dx$
Non è grave. Ai tempi di Leibniz e Newton non c'erano più di 4 o 5 persone in tutto il mondo che sapessero perché serve $dx$, e quelli che lo sapevano non erano in grado di spiegarlo convincentemente.
Parallelamente ho capito l'uso del $dx$ fatto dai fisici - che io mi traduco come uno "schema approssimante", ma non ho mai trovato un approccio matematico convincente che "spiegasse l'uso" che si fa del $dx$.
Per i fisici, $dx$ è una grandezza misurabile che sta subendo un processo di contrazione senza fine, cioè una successione che tende a zero.
Faccio un esempio.
Se a,b,c sono le dimensioni di un parallelepido, allora V=abc è il suo volume.
Se però poni $a_n=a/n, b_n=b/n, c_n=c/n$, allora $V_n=(abc)/(n^3)$ rappresenta il volume di prima quando il processo di contrazione è arrivato allo stadio n. Se immagini che n continui a numerare gli stadi del processo senza mai fermarsi, allora $V_n$ è un volume infinitesimo. I fisici scrivono $dV$ per rappresentarlo, volendo dire con questo che le dimensioni a, b, c si possono sostituire con una qualsiasi successione che tende a zero (non solo 1/n, per intendersi), e qualunque sostituzione produce risultati equivalenti: cioè che $V_n$ diventa definitivamente inferiore a qualunque volume finito $v$ piccolo a piacere. In realtà, questo è quanto dicono anche i matematici, quando definiscono le successioni infinitesime in linguaggio astratto e senza riferimenti applicativi, anche se non scrivono sempre $dx$.
Nell'integrale di Riemann, per esempio, le somme parziali superiori e inferiori non sono altro che due classi di processi di contrazione del parametro di finezza delle partizioni dell'intervallo [a,b]; $dx$ dentro l'integrale serve a ricordarci di questo fatto.
Ho anche chiacchierato con un collega esperto in analisi non standard e capisco il fascino di usare gli infinitesimi come numeri - per farlo pero', mi pare di aver capito, si entra in questioni sottili (come mettere delle misure sull'insieme delle successioni). Quindi continuo a non essere soddisfatto.
Concordo con te. L'analisi non standard è una cosa diversa da quello che ho prospettato. L'analisi non standard si basa sulla definizione (e secondo me dovrebbe anche darne una costruzione) dei numeri iperreali. Una nuova classe di numeri. E' un approccio che secondo me non semplifica nulla. Non riesco a immaginare una matricola del primo anno che discetta di ultrafiltri e di logica dei predicati del secondo ordine. A meno che non vogliamo fargli fare l'esame di Analisi 1 al 5° anno.
"Un infinitesimo, denotabile con ε oppure con Δx, è semplicemente una variabile che può essere sostituita con una qualsiasi successione infinitesima"
cosa intendi per variabile?
Una variabile reale.
Una variabile è una lettera che può essere sostituita da qualsiasi elemento di un insieme supposto noto. Dopo la sostituzione, la variabile diventa una costante. Quando scriviamo $x in RR$ vogliamo dire che la lettera x può essere sostituita con un numero reale qualsiasi. Analogamente, quando si dice "$\Deltax$ è un infinitesimo", vuol dire che $\Deltax$ può essere sostituita con una successione infinitesima qualsiasi.
Per inciso, i numeri irrazionali si possono rappresentare solo con lettere costanti (o altri simboli costanti).
Quando scriviamo $e$ non dovremmo illuderci di aver scritto un numero. Infatti $e$ non può essere scritto esplicitamente, perché è composto da un numero infinito di cifre non periodiche (in qualunque base). Idem per $pi$ o $sqrt(30)$.
Altro punto - oltre ai casi 1) 2) e 3) c'e' la possibilita' che il quoziente non abbia limite (che da un punto di vista "probabilistico" e' il piu' frequente) e credo che questa sia uno
dei motivi che rendono piuttosto tecnico un approccio rigoroso all'analisi non standard. Quindi puo' capitare che quoziente di infinitesimi non sia riconducibile a quanto dici
tu - o sbaglio?
Non sbagli affatto. Infatti, mi ero dimenticato il caso 4):
Il quoziente di due infinitesimi $\epsilon$ e $\eta$ non nullo può produrre:
1) un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ è di ordine superiore a $\eta$
2) un numero reale non nullo + un infinitesimo, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ sono dello stesso ordine
3) un infinito (cioè il reciproco di un infinitesimo , e allora si dice che $\eta$ è di ordine superiore a $\epsilon$
4) nessuno dei casi precedenti, e allora si dice che $\epsilon$ e $\eta$ non sono confrontabili
La confrontabilità di ogni coppia di infinitesimi non è necessaria. Basta l'ordine parziale.
Alla fin fine poi, vorrei chiederti, cosa rappresenta per te quel $dx$ messo nell'integrale o anche nel simbolo ${df}/{dx}$?
Per l'integrale vedi sopra. Per ${df}/{dx}$ si tratta del quoziente di due infinitesimi dello stesso ordine, con df dipendente linearmente da dx.
Quindi ${df}/{dx} = a(x) (1/n)/(1/n) = a(x) (1/10^n)/(1/10^n) = ..............$
Occorre dare una definizione di df.
Poniamo $\Deltaf = f(x+\Deltax)-f(x)$, supponendo di aver scelto e fissato un x nel dominio di f.
Diremo che f è differenziabile in x se esiste un numero reale a(x) tale che, per ogni infinitesimo $\Deltax$, risulti
$\Deltaf = f(x+\Deltax)-f(x)=a(x) \Deltax + o(\Deltax)$.
In pratica, $\Delta f$ si spezza nella somma di una funzione lineare di $\Delta x$ e di un infinitesimo di ordine superiore a $\Deltax$. La parte lineare di $\Deltaf$ si chiama il differenziale di f in x e si denota $df=a(x) \Deltax$.
Riesci a vedere che $dx=\Delta x$, cosicché si può porre $df=a(x) dx$?