megas_archon ha scritto:questo thread è nato perché mi hanno chiesto cosa penso della "intrusione" dei dimostratori automatici per certificare la correttezza della dimostrazione di Scholze-Clausen (vedi qui https://www.nature.com/articles/d41586-021-01627-2 e in particolare la quote di Scholze "[...] interactive proof assistants are now at the level that, within a very reasonable time span, they can formally verify difficult original research".
gugo82 ha scritto:megas_archon ha scritto:Oggi sta succedendo una cosa simile, con la differenza che invece che liberare il matematico dall'onere di svolgere conti di routine, lo si sta liberando dall'onere di svolgere dimostrazioni di routine.
Sarebbe interessante definire routine, a questo punto, e quando e quanto e come le dimostrazioni routinarie dovrebbero essere soppiantate da altro e da cos'altro.
gugo82 ha scritto:megas_archon ha scritto:Se la domanda è "funziona?", la risposta è "indubbiamente sì, e dovresti imparare: basta un laptop e mezz'ora di tempo per installare l'ultima versione di agda".
"Indubbiamente" perché?
Secondo te chi programma questi sw ha maggiore perizia del generico Analista Numerico? E, se sì, perché?
gugo82 ha scritto:megas_archon ha scritto:Se la domanda è "cosa pensi del fatto che Scholze e Clausen abbiano checkato la bontà di una dimostrazione attraverso un proof assistant", la mia risposta è che purtroppo le persone sono per la maggior [parte, aggiunta di gugo82 ] scimmie a cui serve una ragione per imparare le cose; non le imparano perché sono giuste o belle, ma solo nella misura in cui servono loro. Per queste ragioni, "fare pubblicità" a una "matematica augmentata", così chiamata perché giustappone un'intelligenza, il proof assistant, a un'altra, il matematico, è utile: perché convince i nabbi.
[...] Il punto è che non credo, come pare nemmeno tu (libero di smentire questa mia illazione), alla storia di un giovane medagliato Fields che ha bisogno di farsi controllare una dimostrazione da una macchina.
Il punto da chiarire è: perché si sente o perché dovrebbe sentirsi (in alcune branche della Matematica piuttosto che in altre) questa necessità?
C'è un problema da qualche parte? Se sì, qual è?
gugo82 ha scritto:Capisco l'idea di fondo, ma non credo che quanto ho letto risponda alla domanda: infatti, non chiedevo il perché motivazionale (ci sono errori che si scoprono dopo quasi 20 anni1), ma la causa del non vedere questi errori che, a quanto capisco, non dipendono da mancanza nella conoscenza delle regole del gioco, delle strutture di base, etc...2 Insomma, qual è (se c'è) il vero problema?
Una "dimostrazione di routine" è una che deve solo "fare un conto", applicare uno schema di dimostrazione generale in un caso particolare, o segue da una sequenza ordinata di manipolazioni sintattiche. Molte dimostrazioni sono tali, ma "sembra" che contengano un'idea per lo stesso motivo per cui "sembrava" che un procedimento per calcolare un risultante contenesse un'idea prima che il mero calcolo venisse automatizzato. Molte dimostrazioni in topologia generale, ad esempio, sono "di routine"; ma è complicato automatizzarle perché è complicato spiegare a una macchina cos'è uno spazio topologico (c'è un problema irrimediabile sotto). Lean, per esempio, ci riesce.Sarebbe interessante definire routine, a questo punto, e quando e quanto e come le dimostrazioni routinarie dovrebbero essere soppiantate da altro e da cos'altro.
Ha una competenza ortogonale a quella di cui parlo, sebbene entrambe si sostanzino nel "programmare un algoritmo". Chi programma questi software solitamente è un bravo logico la cui competenza matematica spazia abbastanza in largo. Posso farti dei nomi.Secondo te chi programma questi sw ha maggiore perizia del generico Analista Numerico? E, se sì, perché?
La storia di Voevodsky lo spiega bene: alcune dimostrazioni si sono rivelate troppo convolute per poter essere verificate da un referee umano; nel lavoro di V. c'erano dei (relativamente gravi) errori, senza che ci si mettesse di mezzo la malizia di nessuno a non vederli, che hanno compromesso una parte della ricerca altrui.l punto da chiarire è: perché si sente o perché dovrebbe sentirsi (in alcune branche della Matematica piuttosto che in altre) questa necessità?
Credo di aver già risposto: la lunghezza e complessità quasi sovrumana di certe dimostrazioni; la natura dialettica di cui sopra che "intorta" autore e referee; la natura elusiva di certe strutture definibili ad un ordine maggiore del primo...Insomma, qual è (se c'è) il vero problema?
sembra tradire la tua opinione sulla faccenda: che "farsi controllare una dimostrazione da una macchina" significhi aver sporcato la prassi dell'attività dimostrativa introducendo un elemento estraneo, che poco ha a che fare con ciò che la matematica è veramente. Questa è una postura da -diciamo- "boomer" della matematica: un individuo che l'ha appresa più di una generazione fa, e che non ha frequentazioni nel circolo di chi sta facendo matematica hic et nunc, 2021. "Farsi controllare una dimostrazione da una macchina" non va a detrimento della dimostrazione; è un modo come un altro per arrivare al QED; tra l'altro col vantaggio di evitare una intera classe di errori da cui la macchina è esente e a cui invece l'umano è abbastanza prono.Il punto è che non credo, come pare nemmeno tu (libero di smentire questa mia illazione), alla storia di un giovane medagliato Fields che ha bisogno di farsi controllare una dimostrazione da una macchina.
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