Regola di derivazione delle funzioni composte

Messaggioda fireball » 01/02/2005, 18:11

Ho elaborato una mia dimostrazione
della regola di derivazione delle funzioni composte.
Vorrei sapere che ne pensate e se è tutto corretto oppure no.

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Messaggioda Pachito » 02/02/2005, 21:59

Perchè ce n'è un'altra?
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Messaggioda Luca77 » 03/02/2005, 09:47

Effettivamente non sono intervenuto subito, ma visto che anche Pachito la pensa cosi', anche io ammetto che conoscevo solo questa.

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Messaggioda fireball » 03/02/2005, 14:31

Non so, sul mio libro è diversa e più lunga...
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Messaggioda Pachito » 03/02/2005, 15:39

Cioè?
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Messaggioda fireball » 03/02/2005, 15:48

La dimostrazione del mio libro è più lunga ed
elaborata e neanche io, all'inizio, l'ho capita facilmente.
Così ho provato a ri-dimostrare la regola
in modo più sintetico e chiaro (almeno secondo me):
non sapevo che già esistesse comunque.

La dimostrazione non mi va di postarla
appunto perché è lunga...
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Messaggioda GIOVANNI IL CHIMICO » 03/02/2005, 17:09

Nel corso di analisi 1 la professoressa dimostrò questo risultato utilizzando i differenziali (df=f'(x)*dx) ma al momento non ricordo dettagli più precisi
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Messaggioda Luca77 » 04/02/2005, 11:38

Beh, utilizzando il vero e proprio calcolo differenziale alla Leibniz e' un gioco da ragazzi: se z=z(y(x)), allora dz/dx=dz/dy dy/dx (moltiplico e divido per dy).

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Messaggioda GIOVANNI IL CHIMICO » 04/02/2005, 12:17

partendo al concetto che nei calcoli ingegneristici si usa proprio il calcolo differenziale alla Leibnitz per giungere alle equazioni che descrivono i fenomeni, ho spesso sentito dire dai matematici che questo tipo di calcolo alla luce delle attuali definizioni e teorie usate in analisi sarebbe formalmente scorretto. Ad esempio negli integrali il termine dx o dy etc non rappresenterebbe un vero e proprio tratto infinitesimale la cui sommatoria è l'integrale (idea ingegneristica o fisica), ma solo la variabile risetto a cui si compie l'operazione di integrazione. Ma se così è quale è il fondamento del metodo della separazione delle variabili per le eq differenziali?
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Messaggioda Luca77 » 04/02/2005, 16:46

E' vero, per noi matematici moltiplicare e dividere i differenziali tra loro non ha nessun significato, ed e' matematicamente scorretto. La teoria dei limiti della scuola di Cauchy ha definitivamente risolto il problema dei fondamenti dell'Analisi Matematica. Ma le idee che stanno alla base del calcolo rimangono, tant'e' che il nome e' rimasto: calcolo differenziale significa calcolare i differenziali, cosi' come calcolo infinitesimale significa calcolare gli infinitesimi, ovvero lavorare con gli o piccolo, come diremmo oggi. Queste computazioni puramente formali pero' hanno il pregio di fornire il punto di arrivo corretto. Ad esempio, se io devo trovare una formula che mi dia la derivata di una funzione composta z(x)=z(y(x)), allora formalmente scrivo dz/dx=dz/dy dy/dx, moltiplicando e dividendo per dy, facendo finta che i differenziali siano proprio delle variazioni infinitesime della funzione considerata. Questo modo di procedere non ha fondamento, ma le cose, se l'intuito non inganna, devono andare cosi'. Ecco che ho scoperto che cosa devo dimostrare. Ora, grazie alla teoria dei limiti, questo lo posso dimostrare correttamente, proprio come ha scritto il nostro collega Fireball, scrivendo i rapporti incrementali e poi passando al limite. La stessa identica cosa vale per la risoluzione di un' equazione differenziale a variabili separabili: equazione della forma y'(t)=a(y(t))b(t). Uno divide per a(y(t)) entrambi i membri e poi osserva che y'(t)dt=dy, e integra i due membri in dt. Allora uno intuisce la formula risolutiva, e poi dimostra che effettivamente la formula risolutiva e' corretta e porta alla soluzione dell'equazione. La dimostrazione non e' poi cosi' diversa dal ragionamento fatto sopra: il passaggio y'(t)dt=dy viene sostituito da un'applicazione del Teorema di sostituzione per integrali definiti.

Luca77
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