elementi finiti

Messaggioda GIOVANNI IL CHIMICO » 26/01/2005, 17:48

Qualcuno mi sa dare una infrinatura generale su cosa siano?
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Messaggioda Luca77 » 26/01/2005, 18:21

Il metodo agli elementi finiti e' un metodo numerico per la risoluzione approssimata di equazioni alle derivate parziali. Sostanzialmente si fa a pezzettini lo spazio (o il dominio)e poi si manda il passo della discretizzazione a zero, sperando che la soluzione approssimata ad ogni passo converga a qualcosa. Purtroppo io non ne so molto di Analisi Numerica; se nessun altro rispondera', dai un'occhiata ad esempio a Comincioli, Analisi Numerica, della Mc Graw Hill.

Luca77
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Messaggioda GIOVANNI IL CHIMICO » 26/01/2005, 18:30

Ok, ma faccio un po fatica a cogliere la differenza tra questo metodo e quello delle differenze finite
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Messaggioda goblyn » 26/01/2005, 19:12

L'argomento è estremamente interessante... gli elementi finiti sono molto utili per problemi differenziali. Il metodo degli elementi finiti garantisce la convergenza se ben impostato. Non è roba da poco. Può però essere pesante dal punto di vista computazionale. Ti rimando ad un testo (forse un po' avanzato) che mi ha fatto apprezzare davvero questo metodo:

"Modellistica Numerica per problemi differenziali" di Alfio Quarteroni edito da "Springer-Verlag Italia", Milano 2000 (http://www.springer.it)
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Messaggioda goblyn » 26/01/2005, 19:14

Nel metodo degli elementi finiti, comunque, le funzioni incognite sono riscritte come combinazione lineare di "funzioni base" definite appunto sugli elementi finiti... le derivate e gli integrali quindi si riversano su tali funzioni. Con le differenze finite invece la derivata si trasforma in una differenza... Concettualmente i due metodi sono lontanissimi.
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Messaggioda Marco83 » 26/01/2005, 21:30

Ti rispondo con sommo piacere in quanto è un argomento che mi interessa particolarmente.
Gli elementi finiti sono un metodo che si basa su due passi successivi:
il primo prevede di eliminare richieste di eccessiva regolarità sulle funzioni coinvolte nelle equazioni alle derivate parziali. Questo passaggio viene effettuato attraverso la cosiddetta formulazione debole, che come Luca potrà spiegarti anche meglio di me, ha i sui fondamenti nell'analisi funzionale.
Per semplicità partirò da un problema ellittico, ossia un problema che si incontra in generale studiando situazioni di equilibrio (non linciatemi, lo so che teoricamente si può avere un problema ellittico tempo-dipendente, ma parlo di casi ingegneristicamente significativi).
In parole comprensibili da un ingegnere (come me e te), si moltiplicano tutti i termini dell'equazione differenziale (i cui operatori sono da intendersi nel senso delle distribuzioni) per delle opportune funzioni test con regolarità "sufficiente".
A questo punto si integrano tutti i termini nel senso di Lebesgue.
Sfruttando la formula di integrazione per parti (mono o multidimansionale, a seconda della natura del problema) si abbatte di un grado la derivata di ordine massimo
Esempio:se consideri il comune problema di Poisson, prima di applicare la formula di int per parti avevi:
(-int(d^2u/dx^2)*v*dx)=(int(f*v)*dx) su tutto il dominio dove con u indico la funzione incognita, con f la forzante e con v la funzione test, mentre dopo aver usato l'int per parti ottieni: -du/dx(a)*v(a)+du/dx(b)*v(b)+int((du/dx)*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) su tutto il dominio.
Supponiamo che il problema iniziale avesse condizioni al bordo di Dirichlet omogenee.
Dal momento che per applicare un teorema di cui ti dirò più tardi, la soluzione u e le funzioni test v devono appartenere allo stesso spazio, e dal momento che sai che u(a)=u(b)=0, puoi prendere le funzioni v appartenenti ad uno spazio V tale che v(a)=v(b)=0, quindi i due termini fuori dal segno di integrale scompaiono.
Rimane perciò int(du/dx*dv/dx*dx)=int(f*v*dx) sul dominio; questa è la cosiddetta formulazione debole.
Ciò che abbiamo fatto è bello solo a parole, perchè non ci siamo mai posti il problema della sensatezza delle nostre azioni. Affinchè tutto funzioni dobbiamo richiedere una certa regolarità alle funzioni integrande, sufficiente almeno a garantire l'esistenza dei suddetti integrali.
Per far questo si richiede che, sia la soluzione u che le funzioni test v, appartengano ad opportuni spazi. Nella fattispece si richiede che queste due funzioni appartengano allo spazio H^1, ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile con derivata a quadrato sommabile. tale spazio è uno spazio di Hilbert e anche uno spazio di Sobolev. Per quanto riguarda la forzante, è sufficiente (anche se riduttivo) richiedere che appartenga ad H^0 (detto anche L^2) ossia lo spazio delle funzioni a quadrato sommabile (in realtà abbiamo bisogno di una regolarità inferiore, ad esempio la delta di dirac va bene anche se non è a quadrato sommabile).
A questo punto ci si chiede se la soluzione esista, sia unica e dipenda con continuità dai dati.
dato che abbiamo scelto u e v appartenenti allo stasso spazio V definito come un sottospazio di H^1 tale che u e v siano nulle sulla frontiera del dominio, a patto di dimostrare qualche altra ipotesi (su cui non mi dilungo, perchè abbastanza pesanti da spiegare a parole ma che puoi trovare su ogni testo) possiamo applicare un fondamentale teorema di analisi funzionale, noto come Lemma di Lax-Milgram (la cui dimostrazione è particolarmente simpatica!) che garantisce la buona posizione del problema.
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Messaggioda Mistral » 26/01/2005, 21:48

<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote"><i>Originally posted by GIOVANNI IL CHIMICO</i>

Qualcuno mi sa dare una infrinatura generale su cosa siano?
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La principale applicazione anche se non l'unica applicazione degli elementi finiti si trova nell'analisi strutturale. Il metodo che per altro è molto antico nei suo principi di base, ha avuto il suo sviluppo con i programmi spaziali della NASA. Tra l'altro il codice ad elementi finiti più noto e più diffuso è il NASTRAN (NASA STRuctural Analysis) che deriva proprio dal codice originale sviluppato per la NASA.

In estrema sintesi nell'analisi strutturale si approssima il campo di spostamenti incognito dovuto ad una distribuzione di carichi noti, con una funzione di tipo "spline" che e definita in ogni elemento finito (in genere un parallelepipedo non regolare) come un polinomio di grado n in x,y,z (coordinate spaziali). Queste funzioni sono costruite in modo da garantire la continuità al confine tra due elementi, degli spostamenti e delle sue derivate fino ad un certo grado, semplicemente imponendo l'uguaglianza degli spostamenti ai nodi dell'elemento (vertici del parallelepipedo).

A questo punto in analisi strutturale si applica un principio variazionale e imponendo il minimo di funzionale legato alla energia elastica immagazzinata si ottiene un sistema lineare nelle incognite "spostamenti nodali". Risolvendo il sistema si ha il campo degli spostamenti da cui poi si deduce tutto il resto (deformazioni, sollecitazioni interne etc...). Equivalentemente al principio variazionale si puo applicare il principio dei lavori virtuali ottenendo il medesimo sistema lineare.

Quando si entra nel campo di approssimazioni medianti funzioni spline ovviamente esistono molti modi di risolvere in maniera approssimata il problema. Il pregio degli elementi finiti in campo strutturale e di essere un metodo il cui l'intuizione del fenomeno fisico rimane molto importante. Tra l'altro il metodo degli elementi finiti può essere visto come una generalizzazione la soluzione delle travature iperstatiche dovuto a Castigliano/Menabrea/Betti...notare tutti Italiani.

Saluti
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Messaggioda Marco83 » 26/01/2005, 21:53

Nota di riguardo che non ho fatto prima (mea culpa): l'ugluaglianza tra gli integrali deve valere per ogni funzione test appartenente allo spazio V!!!!!!!!!!!!!!
Tuttavia tu mi dirai: ok tanta bella analisi, tante menate di teoria, ma dov'è l'approccio numerico???
A questo punto interviene l'istrionico Galerkin che dice: bene, dato che lo spazio V è infinito dimensionale e la cui base (ammesso che esista) è composta da un numero infinito di funzioni, sarebbe bello approssimare tale spazio con un suo gemello a dimensione finita.
Allora sostituiamo lo spazio V con lo spazio Vh in cui vivono le funzioni vh e la soluzione approssimata uh. Se scegliamo Vh come un sottospazio proprio di V, le conclusioni di Lax-Milgram si applicano pari pari.
A questo punto arriva l'esperto di algebra e mi dice: ma, dato che ora Vh è a dimensione finita, ogni funzione vh può essere espressa mediante combinazione lineare di un numero finito di funzioni di base qi.
Illuminazione! Anzichè testare su infinite funzioni vh basta testare su n funzioni qi (dove n è la dimensione dello spazio Vh). Ma dato che anche uh può essere espressa come combinazione lineare delle qi, le incognite risultano essere solo i coefficienti di tale combinazione. (abbiamo n incognite SCALARI!).
Il problema da differenziale è diventato un problema di algebra lineare (la linearità dipende dalla linearità dell'EDP di partenza).
A questo punto si ha la distinzione tra metodi spettrali e metodi agli elementi finiti.
I metodi spettrali scelgono le funzioni di base qi ortogonali tra loro (polinomi trigonometrici, polinomi di Legendre, etc) in modo da ottenere una matrice diagonale (almeno nel caso 1D).
Questa scelta ha anche un difetto: tali funzioni si estendono su tutto il dominio, quindi il calcolo degli integrali risulta un po pesante (si usano le formule di integrazione gaussiane).
Una scelta alternativa è quella fatta con gli elementi finiti: le funzioni qi vengono scelte come polinomi di Lagrange (che ti ricorderai da calcolo numerico), ciè hanno supporto compatto (sono diverse da zero solo su un intervallo). In questo modo hai degli integrali semplicissimi da calcolare (per il caso 1D si fanno a mano in un attimo) e ottieni una matrice sparsa (tridiagonale in 1D). risolvendo il problema lineare Au=b ottieni il vettore u, ossia il vettore dei coefficienti della combinazione lineare che ti ridà la soluzione uk e il gioco è fatto.

Questa è veramente un'introduzione User Friendly; se vuoi qualcosa di più serio senza trascendere nel puramente formale ti consiglio "Modellistica Numerica per Problemi Differenziali" dell'onnipresente Quarteroni, mentre per la parte legata agli spazi funzionali guarda su "Equazioni a derivate parziali" dell'altrettanto ubiquo Salsa.
Un ottimo libro introduttivo se nn hai problemi con l'inglese è "Introductory Functional Analysis" di Daya Reddy.

Se ti serve qualche chiarimento o se qualcuno ha qualche appunto da farmi (ho scritto tutto in grande fretta, potrei aver dimenticato parti importanti), chiedi pure.

N.B. Ho omesso di introdurre la forma a(u,v) e il funzionale F(v) perchè sarebbero state veramente utili solo se avessi spiegato tutte le ipotesi di Lax-Milgram, ma in generale il problema viene affrontato in questa forma. Ripeto, questa voleva solo essere una breve introduzione.
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Messaggioda Marco83 » 26/01/2005, 22:03

Beh Mistral, se credi che la principale, o unica, applicazione degli elementi finiti sia nell'analisi strutturale, mi sa che non li conosci molto a fondo (oppure che la tua conoscenza si è arrestata a risultati parecchio obsoleti).
Ad oggi il metodo degli elementi finiti ha superato anche tutti quei problemi che ne limitavano l'applicazione a problemi iperbolici o non lineari e, insieme ai metodi a volumi finiti, rappresenta lo stato dell'arte in campi quali la fluidodinamica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica, la trasmissione del calore, lo studio delle onde(in verità questo campo è molto di punta per gli elementi finiti, ma i risultati sono già nettamente superiori a quello ottenibili con le comuni differenze finite). Inoltre, visti gli interessi di Giovanni, è da segnalare come rappresentino pressochè lo standard per tutti i problemi in chimica di processo e problemi di diffusione, trasporto e reazione (grazie ai vari sistemi di stabilizzazione).
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Messaggioda Mistral » 27/01/2005, 06:42

<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote"><i>Originally posted by Marco83</i>

Beh Mistral, se credi che la principale, o unica, applicazione degli elementi finiti sia nell'analisi strutturale, mi sa che non li conosci molto a fondo (oppure che la tua conoscenza si è arrestata a risultati parecchio obsoleti).
Ad oggi il metodo degli elementi finiti ha superato anche tutti quei problemi che ne limitavano l'applicazione a problemi iperbolici o non lineari e, insieme ai metodi a volumi finiti, rappresenta lo stato dell'arte in campi quali la fluidodinamica, l'elettromagnetismo, la meccanica quantistica, la trasmissione del calore, lo studio delle onde(in verità questo campo è molto di punta per gli elementi finiti, ma i risultati sono già nettamente superiori a quello ottenibili con le comuni differenze finite). Inoltre, visti gli interessi di Giovanni, è da segnalare come rappresentino pressochè lo standard per tutti i problemi in chimica di processo e problemi di diffusione, trasporto e reazione (grazie ai vari sistemi di stabilizzazione).
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Sicuramente non ho la tua conoscenza approfondita e appassionata, e non uso gli elementi finiti da più di 10 anni, lascio a Luca fare, se vuole, altri commenti sui teoremi citati se ce ne sono.

Il mio intervento si poneva semplicemente l'obiettivo di dare una visione veloce dei principi che sottendono al metodo, più che alle sue applicazioni. I principi sono per me: il tipo di funzione che usi per approssimare la soluzione e il modo in cui trovi questa funzione (minimizzare un funzionale o altro).

Saluti

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