Il contesto era la soluzione di un sistema di equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti e esplicitamente di matrici e nient'altro , $A$ è una matrice e stop. Passaggi algebrici di prodotti di matrici con gli autovettori e la matrice diagonalizzata per arrivare alla soluzione (quando la matrice è diagonalizzablie). Niente di più. Non linearità non era proprio all'orizzonte.
Però può darsi che l'idea sia stata presa da qualche parte dove si parla anche sistemi non lineari, che qui però non c'entravano. Penso che sia come dici, l'idea in altri contesti, che non conosco, non è sbagliata, ma qui era fuori contesto, mi pare.
Ma poi è ripetuto pure per il limite, perché dire che poiché l'operatore $A$ è lineare il limite del prodotto $Ax(t)$ è il prodotto della matrice per il limite di $x(t)$? Sono le operazioni sui limiti, quando si fanno in analisi 1 (perché il livello del contesto del discorso non sia molto più in là) mica ci si va a intorcinare così.
Se ci fosse un operatore non lineare, lo chiamo $T$ per non confondermi con la matrice, la derivata fatta con la regole della derivazione di funzioni composte su:
$$z(t)= T(x(t)\tag {1}$$
e sarebbe diverso che nel caso lineare della matrice-operatore lineare, dove si avrebbe che è uguale a $A\dot x(t)$, credo volevi dire questo.
Ma vabbe', è la derivazione di funzioni composte, stiamo parlando, quando parliamo di operatori, di fatto di funzioni da $mathbb{R}^n \rightarrow \mathbb{R}^n $. C'è qualcosa che viene dalla teoria degli operatori in analisi funzionale che aggiunge qualcosa ai vari teoremi sulle regole di derivazione? A parte usare nomi diversi?
Ma insomma, va bene, ha senso, solo un po' fuori contesto e con riferimenti ridondanti a cose non necessarie.
Probabilmente sono nozioni prese da altri contesti dove hanno più senso.
Comunque poi ci ripenso, ora sono fusa. Anzi, scusate se ho parlato a vanvera ma sto crollando.